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IDENTITÀ E SENSO DI APPARTENENZA

Sabato 14 gennaio 2017, alle ore 15.45, presso il convento San Giovanni Battista dei frati Minori di Atripalda, si è tenuto il primo incontro, per l’anno 2017, delle fraternità Ofs appartenenti alla Zona Interdiocesana di Avellino.
Nonostante il freddo e la neve dei giorni scorsi – e quella prevista per i giorni a venire – all’incontro hanno partecipato circa trentacinque Professi, in rappresentanza delle fraternità di: Atripalda, Avellino – Cuore Immacolato di Maria, Avellino – Roseto, Salza Irpina, Serino e Volturara.
La presenza degli Assistenti Spirituali ha visto la sola partecipazione di p. Lorenzo Scafuro, nella veste di Assistente Regionale Ofs e p. Lino Barelli, Assistente della fraternità di Atripalda.
Il tema dell’incontro: “Identità e Senso di Appartenenza”, ha avuto lo scopo di riflettere, per rafforzarla, sulla nostra identità di Francescani Secolari e sul senso di appartenenza alla Fraternità, imparando, innanzitutto, a camminare insieme, a prenderci cura gli uni degli altri e a relazionarci con chi ci è accanto.
L’incontro è stato guidato e animato da Antonio Aiello – vice ministro regionale e responsabile della Comunicazione – che nella presentazione ha messo subito in risalto come il non saper dialogare genera malintesi e, spesso, è il motivo per cui molte persone, soprattutto se all’inizio del percorso di fede, si allontanano dalla fraternità.
Se al suo interno manca il dialogo, una fraternità può rischiare anche di morire. Oggi si cerca di sopperire alla mancanza di dialogo attraverso l’uso dei “social” – come Whatsapp e Facebook – che spesso producono effetti opposti a quelli desiderati.
Prima di approfondire l’aspetto dell’Identità e su come relazionarci con l’“altro”, Antonio Aiello ha chiarito il significato di “Appartenenza”.
La Regola dell’Ofs solo all’art.13 ci dà un’indicazione su quello che è il senso di fraternità e di appartenenza, affermando che: “Il senso di fraternità li renderà – i Francescani Secolari – lieti di mettersi alla pari di tutti gli uomini, specialmente dei più piccoli, per i quali si sforzeranno di creare condizioni di vita degne di creature redente da Cristo”.
Cos’è e come si dimostra il senso di appartenenza?
La teoria ci dice che c’è la percezione dell’appartenenza. Si può appartenere ad un gruppo per somiglianza, per vicinanza ovvero, anche se non si condividono idee o valori, ma semplicemente un’occasione particolare.
Quando i fratelli di una fraternità non sentono di appartenersi per uno dei motivi anzidetti, la fraternità non funziona.
Non solo io appartengo alla fraternità, ma è la fraternità che appartiene a me e se io tengo a me stesso, non potrei mai fare del male alla mia fraternità, perché lo farei anche a me stesso.
Che linguaggio parlano i fratelli quando s’incontrano? Parlano del “noi” o dell’“io”?
Quando una persona si avvicina al cammino francescano, è necessario comprendere quali sono i suoi valori e come si modificano nel tempo e non solo indottrinarla.
Uno valori principali, per un francescano secolare, è la vita di fraternità; quindi dobbiamo riflettere quando qualcuno della fraternità non partecipa.
Dobbiamo coltivare lo spirito di appartenenza durante il percorso di formazione.
Non possiamo imporre a nessuno di appartenere, ma abbiamo il dovere di creare le premesse perché si formi il senso di appartenenza.
Quando c’è il senso di appartenenza, c’è la comunicazione con gli altri fratelli e c’è anche l’impegno del Professo nella vita fraterna.
A volte, però, accade che il Consiglio della Fraternità è caricato da troppi impegni perché, probabilmente, non è stato capace di coinvolgere emotivamente i confratelli, cioè di renderli corresponsabili della vita di fraternità.
C’è il rischio, d’altro canto, che un senso di appartenenza troppo marcato porti la fraternità a chiudersi in se stessa, per cui coloro che si avvicinano ad essa per la prima volta sono visti come “diversi” e questa è la stessa logica che ritroviamo, amplificata, nelle sette e nel fondamentalismo.
Gli appartenenti a questi gruppi (sette e fondamentalisti) smettono anche di pensare, perché sono gli altri che lo fanno per loro.
Qualcuno potrebbe pensare che il senso di appartenenza c’è oppure no, invece va coltivato.
In una sua canzone – l’Appartenenza – Giorgio Gaber diceva: «l’appartenenza è avere gli altri dentro se», ma per arrivare a questo livello, dobbiamo prima imparare a conoscere l’altro.
Come faccio ad accrescere la mia appartenenza tanto da avere l’altro dentro di me?
Il primo passo è relazionarmi con il fratello e imparare a comunicare con lui.
C’è un momento, nel nostro percorso di formazione, in cui “conosciamo” la fraternità e verifichiamo se ci sentiamo parte di essa, se il riscontro è positivo vuol dire che siamo sulla buona strada.
Se, invece, non riusciamo a relazionarci con l’altro, vuol dire che c’è mancanza di comunicazione e questo può essere problematico per una fraternità.
Fino a qualche anno fa esisteva solo il telefono per comunicare con l’altro, quando non era possibile farlo di persona, oggi ci sono i social – facebook, whatsapp, ecc. – e la comunicazione è sempre più distaccata.
Dopo aver affrontato il discorso sull’appartenenza e introdotto quello della comunicazione, il viceministro regionale propone un quiz che vuole essere semplicemente un momento per staccare l’attenzione dal relatore e riflettere su se stessi, sui propri atteggiamenti e su come instaurare una comunicazione efficace.
A conclusione del test, Antonio riprende le fila del discorso sottolineando che nelle fraternità ci sono spesso problemi di tipo relazionale: le relazioni sono fondamentali per creare spirito di appartenenza e l’ascolto, in particolare, è una parte essenziale della comunicazione.
Il Signore apre la dialogo con il popolo d’Israele dicendo: «Ascolta, Israele…» (Dt 6,4). Nel libro Qoèlet (3,7) è scritto: «…C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare…».
Oggi, invece, i media ci dicono che parlare è “potere”, mentre ascoltare è “debolezza”.
Comunicare significa soprattutto ascoltare, ma nessuno ci insegna a farlo.
È necessario, però, distinguere tra udire e ascoltare.
Il vero ascolto crea un clima di fiducia e invoglia chi ci sta di fronte ad aprirsi.
La maggior parte delle volte ci illudiamo di ascoltare, ovvero ascoltiamo solo quello che vogliamo sentire, quindi facciamo un ascolto selettivo e raramente prestiamo attenzione a tutto il messaggio.
Nella relazione tra persone solo l’ascolto attivo crea comunicazione. Per avere un ascolto attivo devo ascoltare l’altro senza preconcetti, questo perché alcune volte abbiamo la convinzione che chi ci sta di fronte non abbia nulla da insegnarci.
La cattiva predisposizione verso il fratello, mentre si parla, è percepibile anche con il linguaggio non verbale, il cosiddetto linguaggio del corpo, e questo condiziona il dialogo con la persona che abbiamo di fronte, mentre con l’ascolto attivo diamo fiducia al fratello.
Al contrario, il fratello non si sente considerato e, quindi, non all’altezza.
Il linguaggio non verbale, come detto in precedenza, è riconosciuto come il linguaggio del corpo che è importante come l’ascolto; Khalil Gibran (poeta e filosofo albanese) diceva: «Ascolta la tua donna quando ti guarda, non quando ti parla.».
I segnali del corpo sono vari, uno di questi è l’assenso con il capo o l’inclinarsi verso l’interlocutore; se chi ci ascolta sta facendo altro (guarda il cellulare…), mentre parliamo, vuol dire che non ci ascolta, perché non è interessato a quello che diciamo, il contrario è, invece, se il suo sguardo è rivolto verso noi.
Nella fraternità è fondamentale creare un clima di fiducia che abbatta le difese del fratello e lo aiuti ad aprirsi.
Il senso di appartenenza in fraternità si crea imparando ad ascoltare.
Nel rapporto interpersonale, oltre a saper ascoltare – conclude Antonio – è necessario educare il fratello ad un ascolto attivo.
L’incontro termina poco prima delle ore diciotto, per consentire alle fraternità appartenenti alla diocesi di Avellino di partecipare alla Santa Messa durante la quale il vescovo di Avellino, Mons. Francesco Marino, trasferito da poco alla Diocesi di Nola, saluta la comunità locale.




DIO NON SI STANCA DI PERDONARE

La misericordia non è qualcosa di marginale nella vita di Francesco. Qualche giorno prima di morire, Francesco, ad Assisi, detta il suo testamento, perché non era più in grado di scrivere, poiché quasi ceco.
Il testamento (Fonti Francescane 110) è, probabilmente, il testo più fedele al suo pensiero, perché è molto semplice e si vede che non c’è stata rielaborazione.
In questo scritto, Francesco rivela che la sua vita è cambiata per un incontro che non è stato il crocifisso: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.”
Il suo peccato che Francesco ritiene principale è di considerarsi il centro del mondo, attento solo a se stesso e alla sua immagine.
Quando incontra il lebbroso però, Francesco viene in contatto con un mondo che è lontano dal suo modo di vivere. Anche solo vedere i lebbrosi gli era molto amaro, perché era completamente disinteressato ai loro problemi e la sua vita era molto distante dalla loro.
Il Signore, però, lo portò da loro.
La prigionia di Perugia mina le certezze di Francesco il cui spirito inizia a vacillare. Quando si sta male, ci si accorge di quelli che stanno male.
Francesco cambia la sua vita nell’incontro con il dolore altrui, nel momento in cui lui stesso era fragile, mentre prima aveva una corazza che lo distaccava da tutto.
In questo incontro, il Padre Serafico fa esperienza di misericordia. Quell’esperienza di misericordia seguita da altri incontri di quel tipo, pian piano lo cambiò.
Per noi sono importanti le esperienze di volontariato che possono cambiarci, com’è avvenuto per Francesco. Non sono le chiacchiere che ci cambiano, ma l’incontro con il dolore.
La Scala dei valori di Francesco si trasforma. Tutto il mondo di prima lo mette da parte, ecco che avviene il capovolgimento dei valori.
La lettera a un ministro (Fonti Francescane 235) fu scritta all’incirca nel 1223, in un periodo di grande difficoltà per Francesco che, molto probabilmente, termina con le stimmate. I compagni dicono che si era rattristato e si era chiuso in se stesso. Il ministro generale voleva lasciare la guida dei frati, per cui Francesco gli scrive questa lettera.
Tutta questa lettera è un canto di misericordia. Francesco invita il ministro a fare in modo che non ci fosse un solo frate che non leggesse nei suoi occhi il suo perdono, prima di andarsene via. E se non chiedesse misericordia, sarà il ministro stesso che deve chiedergli se vuole essere perdonato.
Non serve a niente passare sotto la porta Santa, se non facciamo un passo verso l’altro: In questo modo la porta sarebbe più una condanna che altro.
La lettera ai fedeli (Fonti Francescane 191) si pensa che fosse il primo documento di Francesco rivolto ai fedeli del Terz’Ordine, in realtà non è proprio così. Questa lettera è datata molto probabilmente 1225. In essa dice che chi esercita il giudizio devono farlo con misericordia, altrimenti il Giudizio del Signore sarà senza misericordia. Il Signore perdonerà a noi nella misura in cui noi abbiamo perdonato gli altri. Francesco all’inizio fa esperienza di misericordia sulla sua vita, poi la misericordia diventa elemento centrale della sua vita.
Alla fine della sua vita non riesce a scrivere nella Regola l’importanza del perdono, perciò lo aggiunge nella Lettera ai Fedeli.
La Porta è Cristo che sta dall’altra parte della porta e ci aspetta.

Mons. Felice Accrocca
Arcivescovo di Benevento
Discorso all’Ordine Francescano Secolare
in occasione del Giubileo arcidiocesi di Benevento




CON FRANCESCO D’ASSISI, UOMINI E DONNE DELLA MISERICORDIA

perdonoassisiL’Anno Santo della Misericordia, indetto da papa Francesco, è un “dono” dello Spirito Santo fatto alla Chiesa e all’umanità intera, perché ogni uomo possa riscoprire la dolcezza dell’abbraccio Misericordioso del Padre, ma non è solo questo. Avendo ricevuto questo “dono”, tutti noi siamo chiamati a “restituire” al nostro prossimo l’“abbraccio” del Padre, facendoci testimoni di Misericordia.
È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza.” (M.V.10).
Come essere “testimoni di Misericordia”? Papa Francesco ci indica la strada maestra: “Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri.” (M.V.9).
Non basta, però, essere testimoni, la nostra testimonianza deve essere credibile e per essere tale è necessario che ciascun credente viva in prima persona la misericordia; “il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre”. (M.V.12)
Il Papa esorta tutte le parrocchie, i movimenti e le associazioni … a diventare “oasi” di misericordia.
Questo invito coinvolge anche l’Ordine Francescano Secolare, fondato circa ottocento anni fa da San Francesco d’Assisi, per coloro che volevano vivere il Vangelo senza separarsi dal “mondo”, conservando lo stato di laici e diventando “luce del mondo e sale della terra”.
La chiesa attende anche da noi, Francescani Secolari, la testimonianza dell’esperienza del Vangelo vissuto alla maniera di Francesco, uomo della “fraternità e della misericordia”.
La misericordia, infatti, fu il primo frutto dell’avvicinamento di Francesco d’Assisi al Signore, come affermò lui stesso: «Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo». (Testamento di S. Francesco, Fonti Francescane 110)
«Ci sono stati alcuni – afferma padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap – che sono arrivati a Cristo partendo dall’amore per i poveri e vi sono stati altri che sono arrivati ai poveri partendo dall’amore per Cristo. Francesco appartiene a questi secondi… Francesco ha dapprima sperimentato la misericordia di Dio verso di lui, la misericordia come dono gratuito, ed è questo che lo ha spinto e gli ha dato la forza di avere misericordia dei lebbroso e dei poveri».
Il poverello di Assisi chiedeva anche ai suoi frati, in particolare ai suoi “superiori” – considerati i “servi” dell’Ordine – di essere uomini della misericordia; nella “lettera a un ministro”, Francesco così li esortava: «Non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi misericordia per tali fratelli» (Lettera a un ministro — FF 235).
San Francesco aveva l’ardente desiderio che la Misericordia del Signore arrivasse ad ogni cuore, ferito dal peccato e dalla sofferenza, soprattutto quella provocata dai conflitti che al suo tempo coinvolgevano tutto il tessuto sociale: conflitti tra i popoli, con la guerra fra la Francia e la Germania e le Crociate in Terra Santa tra i cristiani e i musulmani; ma anche conflitti all’interno delle famiglie e all’interno della Chiesa.
In questo contesto, in una notte del 1216, Francesco, mentre era immerso nella preghiera alla Porziuncola, come sempre faceva, vide una luce, una luce molto forte e, sopra l’altare, vide il Cristo e alla sua destra la Madonna e gli angeli, che gli chiesero cosa desiderasse per la salvezza delle anime. La risposta immediata fu: «Santissimo Padre, benché io sia misero e peccatore, ti prego di concedere ampio e generoso perdono».
«Egli, alzatosi di mattina, chiamò frate Masseo da Marignano, suo compagno, col quale si trovava, e si presentò al cospetto di papa Onorio, e disse: “Santo Padre, di recente, ad onore della Vergine Madre di Cristo, riparai per voi una chiesa. Prego umilmente vostra santità che vi poniate un’Indulgenza senza oboli».
Il papa rispose: «Questo, stando alla consuetudine, non si può fare, poiché è opportuno che colui che chiede un’Indulgenza la meriti stendendo la mano ad aiutare, ma tuttavia indicami quanti anni vuoi che io fissi riguardo all’Indulgenza». San Francesco gli rispose: «Santo Padre, piaccia alla vostra santità concedermi, non anni, ma anime». Ed il papa riprese: «In che modo vuoi delle anime?». Il beato Francesco rispose: «Santo Padre, voglio, se ciò piace alla vostra santità, che quanti verranno a questa chiesa confessati, pentiti e, come conviene, assolti dal sacerdote, siano liberati dalla colpa e dalla pena in cielo e in terra, dal giorno del battesimo al giorno ed all’ora dell’entrata in questa chiesa». Il papa rispose: «Molto è ciò che chiedi, o Francesco; non è infatti consuetudine della Curia romana concedere una simile indulgenza». Il beato Francesco rispose: «Signore, ciò che chiedo non viene da me, ma lo chiedo da parte di colui che mi ha mandato, il Signore Gesù Cristo». Allora il signor papa, senza indugio proruppe dicendo tre volte: «Ordino che tu l’abbia».
Questa è la prima testimonianza storica ufficiale – il racconto è risalente al 1310 ed è inserito nel diploma del Vescovo Teobaldo di Assisi, scritto per chiudere la questione e inviato a tutte le sedi episcopali d’Italia – che racconta come a Francesco venne l’idea di chiedere questa straordinaria indulgenza, disponibile per tutti, senza limiti di tempo e senza necessità di elemosina. Era una rivoluzione per l’epoca: nel Medioevo, infatti le indulgenze erano lucrate solo nei grandi santuari della cristianità (Gerusalemme, Santiago, Roma) e questo richiedeva anche uno sforzo economico per raggiungerli.
La richiesta di Francesco scandalizzò la curia del suo tempo.
Così, forse per non contrapporsi troppo al volere dei vescovi i quali avevano paura di ledere, con questa concessione, gli interessi dei grandi pellegrinaggi, l’indulgenza richiesta da Francesco fu limitata nel tempo (solo il 2 agosto) e nello spazio (solo nella chiesetta della Porziuncola).
Teobaldo infatti racconta delle immediate rimostranze dei vescovi, che temevano che questo luogo, facile da raggiungere e senza offerta obbligatoria, facesse scomparire l’importanza delle indulgenze nei luoghi santi e a Roma. Per questo il Papa, non volendo comunque annullare ciò che aveva già concesso, contenne la richiesta di Francesco; questa limitazione, però, non scoraggiò affatto il Poverello, tanto che il 2 agosto dello stesso anno, dopo aver predicato davanti alla chiesetta e ai vescovi ivi radunati, disse: «Io vi voglio mandare tutti in paradiso e vi annuncio una Indulgenza che ho ottenuto dalla bocca del sommo pontefice. Tutti voi che siete venuti oggi, e tutti coloro che ogni anno verranno in questo giorno, con buona disposizione di cuore e pentiti, abbiano l’Indulgenza di tutti i loro peccati» …
Francesco aveva in mente un perdono più vicino all’uomo comune, al povero, al semplice e soprattutto possibile per tutti: ecco perché scelse un luogo facilmente raggiungibile e chiese al papa che fosse una concessione “senza obolo”, con la sola clausola della confessione sacramentale e della conversione del cuore.
A ottocento anni dall’approvazione dell’indulgenza per la chiesetta della Porziuncola, papa Francesco indice il Giubileo della Misericordia, con lo stesso proposito del Poverello d’Assisi: portare a tutta l’umanità – e a tutto il creato – l’abbraccio misericordioso del Padre.
Icona di questo Giubileo è Gesù, strumento della misericordia del Padre, che carica sulle sue spalle l’uomo smarrito, con tutte le sue ferite, corporali e spirituali.
Quell’uomo rappresenta tutta l’umanità, ma in particolare i più deboli, i poveri, gli emarginati: gli ultimi, come amava definirli San Francesco.
Tutti noi Francescani Secolari, sull’esempio del Santo di Assisi, siamo chiamati ad avere compassione per il prossimo che soffre ai margini della strada, lasciandoci coinvolgere nella vita dell’altro, donando amore, tenerezza, misericordia.
Anche perché, aspetto importantissimo, «la misericordia rende l’uomo capace di rendere lode a Dio», osserva fra Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano.
«In Francesco d’Assisi – afferma Martinelli – questa capacità è espressa in modo mirabile nel Cantico di Frate Sole. Non è un inno spensierato, come potrebbe sembrare a prima vista, ma scritto da Francesco alla fine della sua vita dopo un lungo cammino di sequela di Gesù fino alle stimmate, dove il Poverello diventa uomo conformato perfettamente a Cristo, anche e soprattutto nel dolore della Sua passione. Francesco vive il rapporto con la realtà in modo così sublime e pieno perché è un uomo profondamente riconciliato con se stesso, con gli altri, con le cose e con Dio. La misericordia lo ha reso cantore della lode per tutte le creature che è espressione di un nuovo umanesimo: l’uomo è tale se è capace di lode, ecco la vera statura dell’uomo!».
Fra Paolo Martinelli suggerisce, in particolare a noi Francescani, di: «Essere uomini nuovi in Cristo, capaci così di conversione e di agire fuori dagli schemi e dalla logica del mondo, per poter essere rigenerati dalla misericordia di Dio al fine di rinnovare le nostre relazioni con noi stessi, gli altri, il creato e Dio. Con questa forza e consapevolezza tutti i francescani – religiosi, suore e laici – vivranno il Giubileo come tempo favorevole per sperimentare e donare misericordia».
Mi piace, a questo punto, concludere con le parole del Ministro nazionale dell’Ordine Francescano Secolare d’Italia, Remo Di Pinto che nell’annunciare il 2016 come anno straordinario della missione – non a caso denominata Per-Dono – afferma: «Vogliamo fare esperienza dell’abbandono silenzioso a un abbraccio d’amore: quello del Padre che viene incontro a ogni uomo per mettergli l’anello al dito, fargli indossare l’abito della festa e i calzari. I calzari ci invitano a metterci in movimento, si devono consumare per la strada, come Francesco, perché possiamo diventare testimoni del Perdono ricevuto… Ciò che serve ad ogni uomo e ad ogni donna è fare esperienza dell’amore misericordioso del Padre, sentirsi accolto con profonda dolcezza da uno sguardo, da un abbraccio forte, dolce, caldo e rassicurante che è più forte di ogni peccato, che dona il coraggio di affidarsi e dona speranza. Per i francescani secolari e per i giovani della Gioventù Francescana, questo è l’inizio del pellegrinaggio verso la misericordia di Dio, per divenirne segno nel mondo. È l’inizio del viaggio che ci conduce alla Porta Santa per divenire noi stessi Porta Santa, immagine piena della fraternità che contraddistingue la nostra esperienza, che ci rende responsabili dell’altro, non attraverso una immagine chiusa e perfetta di seguaci privilegiati o di famiglie portatrici di felicità artificiale, che giudica chi non è conforme a modelli inavvicinabili, come isole irraggiungibili. C’è piuttosto il bisogno di condividere la fragilità, la debolezza, ma insieme a questa i segni del perdono, esperienza di un incontro: questo riduce le distanze e accoglie, questa è fraternità, porta di speranza! … Gesù chiede di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Con questo spirito ci siamo proposti di vivere un Anno della missione, a cui abbiamo dato proprio il titolo “Per Dono”: per essere segno di fraternità nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa, che dice a ciascuno con il Vangelo: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mt 5,19)».




ANNUNCIA … LA MISERICORDIA CHE IL SIGNORE HA AVUTO PER TE

Sabato 18 giugno 2016, presso Piazza “Caduti in Guerra”, in Lacedonia, si è tenuto il terzo incontro delle fraternità Ofs appartenenti alla Zona Interdiocesana di Avellino.
All’appuntamento sono intervenute le fraternità di Atripalda, Avellino Cuore – Immacolato, Avellino – Roseto, Volturara, Montella, Serino, Lioni e Lacedonia.
Il tema dell’incontro, traendo spunto dalla Bolla d’indizione del Giubileo della Misericordia – la Misericordiae Vultus – è stato: «ANNUNCIA … LA MISERICORDIA CHE IL SIGNORE HA AVUTO PER TE» (MT 5,19).
In un passo del citato documento, Papa Francesco ci esorta così: «È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza».
A queste parole fanno eco quelle pronunciate da Papa Giovanni Paolo II, nel Messaggio alle componenti della Famiglia Francescana (29/9/1976), quando affermava: «Comprendete la vostra vocazione, vivendola e annunciandola».
Il Papa desidera una Chiesa – e quindi una Fraternità – in uscita, non rinchiusa nell’edificio materiale, ma in cammino per le strade del mondo, per essere quell’ “ospedale da campo” dove curare le debolezze dell’uomo ma, soprattutto, per essere annunciatori di speranza.
Questa breve premessa per spiegare la scelta di svolgere l’incontro in una piazza, sotto il sole “appena caldo”, e non in una comoda sala, con tutti i comfort del caso. Certo questo è stato solo un segno, che da molti non è stato nemmeno colto, perché ha prevalso il “disagio” provocato da Fratello sole, ma almeno possiamo dire di averci provato.
In questa piccola scommessa un ruolo fondamentale è stato svolto dalla fraternità locale che ha voluto fortemente che questo appuntamento avesse luogo a Lacedonia e, quindi, ha messo in campo tutte le sue risorse organizzative, perché l’incontro si svolgesse al meglio.
Luogo dell’incontro è stato piazza dei Caduti in Guerra, adiacente alla chiesa di San Francesco, in modo che, in caso di pioggia, ci fosse un luogo alternativo dove riunirsi.
Nella piazza è stato allestito un gazebo ai lati del quale sono stati posizionati alcuni pannelli, predisposti per accogliere i cartelloni preparati dalle fraternità locali, con le varie opere di misericordia, corporale e spirituale, da esse realizzate.
Accanto al gazebo principale è stata allestita una sorta di cappella, con il crocifisso di San Damiano, per chi avesse voluto fermarsi per un momento di preghiera personale.
Le fraternità sono arrivate alla spicciolata, dalle 16.30 alle 17.00, anche perché Lacedonia non è proprio dietro l’angolo e per tutti i presenti il viaggio è durato più di un’ora. Il segnale più importante, da questo punto di vista, è stato vedere che, finalmente, alcune fraternità si sono organizzate insieme per fittare un pullman e condividere il viaggio.
Alle ore diciassette l’incontro ha avuto inizio in chiesa, con un momento di preghiera, perché il sole era ancora alto in cielo e la piazza non offriva alcun riparo.
Dopo la preghiera, il delegato di Zona, ha fatto una breve introduzione all’incontro, ripercorrendo le tappe che hanno caratterizzato il cammino della Fraternità Zonale nel corso dell’anno.
Il percorso formativo ha avuto la Misericordia come filo conduttore. Infatti nel primo incontro Zonale la fraternità ha meditato sulla Misericordia che ciascuno di noi ha ricevuto (parabola del Padre Misericordioso); nel secondo incontro, come essere misericordiosi verso il prossimo, prendendo sulle nostre spalle il peso delle sue sofferenze (parabola del buon Samaritano); nell’ultimo incontro l’impegno a vivere e testimoniare la misericordia, per cui il tema della giornata è stato:
«ANNUNCIA … LA MISERICORDIA CHE IL SIGNORE HA AVUTO PER TE» (MT 5,19)
Dopo la presentazione, il delegato di Zona ha lasciato la parola alla ministra della fraternità locale – che ha ringraziato i presenti per la loro partecipazione – e al sindaco di Lacedonia, dott. Antonio Di Conza, eletto da pochi giorni alla carica di primo cittadino, che ha partecipato all’incontro per tutta la sua durata.
In rappresentanza del Prim’Ordine, p. Antonio Garofano, OFM, Assistente Spirituale delle fraternità Ofs di Lioni e Lacedonia, ha curato tutto l’aspetto spirituale dell’incontro.
Al termine della presentazione, visto che il sole, per molti, era diventato più sopportabile e che l’incontro era stato pensato come testimonianza alla comunità, i convenuti si sono trasferiti su piazza Caduti in Guerra, antistante la chiesa, dove si sono avuti i vari interventi.
Il primo è stato di Angela Di Lauro, Consigliera Regionale Ofs, delegata per il settore Evangelizzazione e Presenza nel Mondo: Laicato missionario e attività di servizio.
Angela ha spiegato ai presenti cosa significa la sigla EPM e che importanza ha per l’Ofs. Considerata l’età media abbastanza elevata e la distanza, non solo fisica, dalla fraternità regionale e nazionale, Angela ha dovuto più volte ritornare sul concetto che L’OFS è sempre più EPM, attraverso il servizio e la testimonianza che, senza il primo, rimane poco credibile.
È stata questa l’occasione per presentare i vari progetti regionali che l’Ordine sta curando, grazie alla buona volontà di tante persone, come: la vacanza “Una mano per un sorriso”, il “Week-end della letizia”, “Navigando per il creato”, ecc.
Ciascuna iniziativa è stata presentata nelle sue linee essenziali, Angela, però, ha voluto soprattutto trasmettere ai presenti l’importanza di sentirsi parte di questi progetti, attraverso un contributo materiale, economico o anche solo con la preghiera.
Dopo Angela Di Lauro c’è stato l’intervento di Pierfrancesco Bruno, presidente regionale Gi.Fra. – eletto da poco più di un mese – che ha portato la sua bellissima testimonianza sul progetto nazionale “Fratelli immigrati”, a cui anche la Gi.Fra. Regionale di Campania e Basilicata sta dando un importante contributo.
Pierfrancesco ha improntato il suo intervento, in particolare, sull’accoglienza, partendo dalla famiglia di Nazareth che, in terra straniera, non ha avuto nessuno che l’accogliesse. Maria e Giuseppe rappresentano i migranti del nostro tempo che nessuno vuole ospitare, perché sono: sporchi, pericolosi, tolgono lavoro ai nostri concittadini, ecc….
Molto forte è stato il racconto della sua esperienza vissuta al centro accoglienza di Rosarno, dove i nostri “fratelli immigrati” vivono in condizioni molto difficili, a causa del sovraffollamento e dell’assenza dei servizi minimi.
Tutti noi possiamo fare qualcosa per loro, è questo il messaggio di Pierfrancesco, non nascondiamoci, perciò dietro l’età o altro, ognuno può dare il proprio contributo, senza andare necessariamente a Rosarno, ma recandoci presso i centri a noi più vicini, come quello di Avellino e Conza della Campania (AV).
L’ultima testimonianza è stata quella della fraternità di Serino che ha condiviso con i presenti l’esperienza del “week-end della letizia”, cioè la vacanza invernale destinata a bambini e ragazzi che vivono situazioni di difficoltà dal punto di vista familiare e sociale.
Nel racconto di Daiana, giovane francescana di Serino, traspariva ancora l’emozione di quei giorni in cui tutta la sua fraternità si era adoperata per far sì che questi bambini potessero vivere dei giorni indimenticabili; alla fine di questa esperienza era stata proprio la Fraternità che aveva ricevuto tanto, nell’essersi donata.
A rafforzare questo suo pensiero c’è stato l’intervento di Alfonso – ministro della fraternità Ofs di Serino – che ha sottolineato come la gioia più grande sia stata vedere come tutta la fraternità ha risposto a questo “richiamo di bene”, mostrando di essere “un cuor solo e un’anima sola”.
Dopo questi interventi è stato lasciato del tempo libero, perché i presenti potessero avvicinarsi ai cartelloni che alcune fraternità della Zona hanno preparato, per mostrare le varie opere di misericordia compiute a livello locale. Lo spirito di questa iniziativa è stato non solo condividere, con le altre fraternità, le attività svolte ma, soprattutto, suscitare nei presenti una maggiore sensibilità nei confronti di chi vive nel bisogno.
Alle 18.45, tutti i convenuti si sono ricompattati e, guidati dalla fraternità di Lacedonia, hanno attraversato il paese per dirigersi, in pellegrinaggio, presso la cattedrale, per il passaggio della Porta Santa.
Il corteo, con l’avvicinarsi alla cattedrale, è diventato sempre più numeroso, accogliendo al suo interno anche alcuni presenti della comunità locale: in chiesa eravamo oltre cento persone!
Dopo il passaggio della Porta Santa, abbiamo recitato tutti insieme il vespro e poi abbiamo visitato il “pozzo di san Gerardo”, dove ci è stato raccontato un miracolo che il santo avrebbe fatto in quel luogo.
L’incontro si è concluso intorno alle ore 20, con un ricco buffet offerto dalla fraternità locale e con il saluto di arrivederci a dopo l’estate.

Il Delegato di Zona
Ciro d’Argenio




AMORIS LAETITIA

esortazione sull'amore nella famigliaNei giorni 10, 11 e 12 giugno 2016, presso le suore Francescane di Santa Lucia di Serino (AV), si è tenuto il campo scuola dell’Ordine Francescano Secolare di Avellino – Roseto.
Il tema portante del campo è stato l’approfondimento dell’Esortazione Apostolica, scritta da Papa Francesco sull’Amore nella Famiglia: l’Amoris Laetitia.
L’argomento è stato trattato da don Enrico Russo che, oltre ad essere un parroco, ha intrapreso il percorso di formazione per entrare anche lui nella grande famiglia dell’Ordine Francescano Secolare.
Parlando dell’Amoris Laetitia, don Enrico sottolinea come questa sia un’esortazione sulla gioia dell’amore che scaturisce da due Sinodi (2014 e 2015) dedicati alla famiglia.
Il Papa parla dell’Amore avendo in considerazione le diverse culture dei paesi del mondo. Non è un documento solo per gli addetti ai lavori, cioè vescovi e presbiteri, ma tutti possono trovare in essa ispirazione. L’Amoris Laetitia ha delle peculiarità: nasce, nel tempo, dalle varie udienze del mercoledì, oltre che dall’esperienza dei due Sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015; il Papa non ha voluto, con essa, dare delle risposte per i singoli casi; ultimo aspetto è l’influenza della spiritualità di Sant’Ignazio.
Questo documento va letto a piccoli sorsi e non tutto di getto.
Il Papa ci dice che se ogni giorno non ci meravigliamo dell’amore, ne perdiamo la gioia.
Perché ha usato la parola laetitia? Questa parola nell’antico dialetto significava voce e quindi Comunione, la Letizia è la bellezza dello stare insieme, quindi non c’era parola più adatta con cui dare il titolo a questa Esortazione.
Il Papa punta sulla ordinarietà dell’amore, in particolare nel rapporto tra chiesa e famiglia. Il Santo Padre vuole dimostrare che la famiglia è il momento vitale della Chiesa. È la famiglia, come diceva Paolo VI, ad essere chiesa domestica.
Sant’Ignazio affermava che nelle piccole cose, quindi nella quotidianità, si trova la gioia. Il Papa mette in evidenza tutti quelli che sono i passaggi con cui definiamo la persona che amiamo, nel tempo, chiamandola prima l'”amore mio”, poi “mio marito”, “il Padre dei miei figl”i, fino a diventare quasi uno sconosciuto.
Nel secondo capitolo il Papa affronta quelli che sono i fenomeni ambigui che si vivono in famiglia: la snaturalizzazione dell’amore (si dorme nello stesso letto, ma non si sa l’altro cosa ha fatto durante il giorno). Cerchiamo tutte le forme d’amore che ci fanno stare bene, ma non quello che ci da la gioia dell’amore. Noi viviamo la nostra vita come una collezione di gioie e per fare ciò siamo disposti ad anteporre i propri spazi a quelli della famiglia. L’identità umana è concentrata su se stessa, sul proprio benessere e non sulla voglia di stare insieme come famiglia, prevale l’egoismo nella scelta di stare bene con se stessi. Queste situazioni “imperfette” non portano necessariamente al fallimento del rapporto, ma in esse è possibile trovare anche i semi di una rinascita. Il Vangelo della famiglia cura proprio questi semi e noi, presbiteri e laici, dobbiamo imparare a coltivare questi semi. I semi vanno annaffiati con l’acqua dell’integrazione e non con l’esclusione.
Nel capitolo 5, il Papa ci parla del ruolo di genitori e dei nonni. Il filo rosso che collega tutte queste relazioni è quello di non aver paura di amare.
Come si può annunciare il Vangelo della famiglia, oggi? La prima cosa è la conversione missionaria. Dobbiamo essere capaci di ascoltare le famiglie ed essere testimoni dell’amore presso di esse.
Un altro aspetto è quello della negoziazione per il bene della famiglia, alla continua ricerca di un equilibrio che ci renda più uomini e più donne. C’è bisogno di più tempo per stare di fronte all’altro e soprattutto questo tempo deve essere più di qualità.
Non bisogna mai rassegnarsi ad una curva discendente dall’amore; per superare la crisi bisogna essere presenti e non fuggire, bisogna continuare a fare le stesse cose di sempre.
Nel secondo giorno del convegno la fraternità si è suddivisa in due gruppi, per approfondire le piste di riflessione (vedi link in basso) preparate da don Enrico. La stessa tematica, poi, è stata meditata nell’Adorazione (vedi link in basso) che ha concluso questo primo approccio all’Esortazione di Papa Francesco.

amoris laetitia_piste_riflessione

adorazione




IL SERVIZIO AI FRATELLI

san-francesco-e-lebbroso-mosaicoFrancesco d’Assisi si fa servo perché vuole seguire Gesù Cristo, così si spoglia come Cristo si è spogliato dalla sua natura divina:
Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.” (Fil 2, 5-8)

La scelta di Francesco è anche una scelta sociale, sceglie di stare con i minores, cioè con gli ultimi. La regola di Francesco è: prendersi cura dell’altro, questa è l’anima del suo servizio. Come una madre si prende cura del proprio figlio, così Francesco invita i suoi seguaci a prendersi cura del fratello spirituale. Ai piedi della croce Gesù dona Maria a Giovanni come per dire che lui deve imparare da Maria a fare da madre alla chiesa, quindi l’anima del servizio è di essere come una madre, per il proprio fratello. La premura di Francesco per il fratello è, quindi, lo stile della madre.
Se dobbiamo amarci tra noi non dobbiamo amarci come fratelli, ma come una madre ama il proprio figlio. Il sentimento che deve animare il nostro essere a servizio della fraternità è, quindi, il prendersi cura.
In particolare, il servizio è finalizzato affinché gli altri possano entrare o rimanere nella volontà di Dio. L’accompagnamento, l’esortazione, la correzione, il rimprovero deve essere come quello di una madre e questa deve essere la caratteristica di chi è incaricato a prendersi cura dei fratelli.
Il servizio è la caratteristica che Francesco assume nel seguire Gesù Cristo e nel servizio Francesco, come Gesù, si rivolge in particolare agli ultimi (la minorità).
L’impegno fondamentale di un francescano è vivere il Vangelo alla maniera di San Francesco, cioè facendosi servo di tutti soprattutto degli ultimi. I francescani secolari devono accogliere i fratelli con atteggiamento umile e cortese, così come farebbe una madre, perché sono un dono di Dio.
San Giacomo diceva di non poter dire di amare Dio che non vediamo, se non amiamo il fratello che vediamo. I francescani si rendono, quindi, fratelli degli ultimi, per i quali si sforzano di creare condizioni di vita migliori. Quando facciamo un’opera buona è come se stessimo “restituendo” i doni che abbiamo ricevuto. I carismi che lo Spirito ci ispira abbiamo la responsabilità di viverli anche nel sociale, questo è importante per dare un contributo alla realizzazione di un mondo migliore.
I francescani devono essere presenti nella società, attraverso la testimonianza coraggiosa, sia individuale che comunitaria, devono essere capaci anche di andare contro corrente.
In tale ottica, anche il lavoro è una missione a contribuire alla crescita della società, oltre che a procurare i beni per il sostentamento personale.
Il lavoro deve essere vissuto con responsabilità; anche la preparazione professionale è un servizio che si offre alla comunità.
Nel cammino di formazione del Francescano, come citano le Costituzioni, non può mancare il servizio. Quando un novizio bussava alla porta della fraternità di Francesco, lui lo mandava presso i lebbrosi, quello era per lui il noviziato. Il servizio, quindi, è posto come condizione necessaria al cammino di formazione iniziale e permanente del Francescano secolare.
I punti 31.1 e 31.2 delle Costituzioni dell’Ordine Francescano Secolare, parlano delle elezioni del ministro. L’ufficio del ministro è un impegno a servire il fratello con disponibilità (anche se non lo si fa con piacere) e responsabilità. Si tratta di una chiamata al servizio; il Signore chiama a servire con uno sforzo maggiore la fraternità, a spendersi di più, non è una chiamata per i meriti, ma è un discernimento fatto dai fratelli attraverso lo Spirito Santo.
Il punto 32 delle Costituzioni afferma che il compito del consigliere è temporaneo, perché nessuno deve legarsi alla poltrona. Si deve essere disponibili tanto ad accettare che a lasciare il servizio, accettando di metterci in disparte, anche dopo aver dato tanto, perché siamo tutti “servi inutili”.
Al punto 100 le Costituzioni parlano del servizio all’interno della Chiesa, attraverso la collaborazione anche con altri gruppi, partecipando alla vita della diocesi e ai consigli pastorali della parrocchia, per mettere a servizio della Chiesa il nostro carisma francescano.
Quando svolgiamo il nostro servizio con gioia stiamo annunciando Gesù Cristo.




NON SAPETE INTERPRETARE I SEGNI DEI TEMPI?

Intervento di Michele Antonio Corona all’Assemblea nazionale dell’Ordine Francescano d’Italia che si è tenuta ad Assisi dal 15 al 17 aprile 2016.
Michele CoronaI farisei e i sadducei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova e gli chiesero di mostrar loro un segno dal cielo.  Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: “Bel tempo, perché il cielo rosseggia!”  e la mattina dite: “Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo!” L’aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli?  Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno, e segno non le sarà dato se non quello di Giona». E, lasciatili, se ne andò.” (Matteo 16, 1-5)

In questo brano i sadducei e i farisei mettono alla prova Gesù che apre anche a loro una porta, dà una possibilità di salvezza.
I sadducei e i farisei vogliono capire se Gesù può insegnare loro qualcosa.
La prima tentazione è quella di scaricarci dalle nostre responsabilità, quando c’è qualcuno accreditato che ci dice cosa dobbiamo fare. Farisei e sadducei fanno proprio questo e se Gesù parla sintonizzandosi con il loro pensiero, allora lo ascolteranno. Farisei e sadducei avevano ideologie religiose e politiche diverse tra loro, ma, in questa circostanza, si uniscono per mettere in difficoltà Gesù. Essi si avvicinano, insieme, per valutare il “rabbi”, cioè Gesù. Vogliono far decadere un progetto profetico che, in quanto tale, è lungimirante. Essi chiedono un segno a Gesù, questa è la loro tentazione, un segno che sia eclatante.
Gesù risponde alla provocazione guardando al quotidiano, a ciò che è presente nel nostro mondo. Quando gli chiedono un segno dal cielo, Gesù risponde parlando dei segni dei tempi, parla di una pluralità che è profetica.
I profeti non dicono tutti le stesse cose, anzi a volte si contraddicono: La parola profetica tiene conto dei tempi, quindi quello che vediamo oggi può significare qualcosa, mentre domani, la stessa cosa può significare altro.
Anche Francesco d’Assisi i lebbrosi li ha sempre visti, ma ad certo punto essi diventano per lui un “segno”.
Gesù utilizza dei proverbi comuni per screditare quello che stanno facendo farisei e sadducei, egli propone il criterio della possibilità della continua trasformazione, cioè insegna ad essere duttili al cambiamento dei tempi, superando il: “Si è sempre fatto così”.
La richiesta di farisei e sadducei è: mostraci dei segni; Gesù invece chiede di interpretare i segni dei tempi, chiede pazienza, per qualcosa di prossimo, che sta per accadere e che loro potrebbero non vedere subito. Come il potatore che pota con lungimiranza: anche se sfronda la pianta oggi, lo fa per raccogliere più frutti domani.
Con la potatura le radici rimangono, quindi potare sì, ma non tagliare tutto, perché è importante non tagliare il ceppo, che per noi cattolici è la Chiesa.
Non dobbiamo, però, chiuderci in noi stessi, ma aprirci alle altre realtà della Chiesa, per aiutarla a crescere insieme ad esse. Francesco chiede ai suoi di rimanere nella Chiesa, di ascoltarla, di aiutarla, di essere lievito.
Quali sono i segni che Gesù mostrerà? I segni dei tempi. Quando Gesù appare nel cenacolo, mostra i segni nelle mani e nel costato, quindi i segni delle ferite che si sono trasformate in feritoie di Grazia. I segni dei tempi oggi non sono i nostri successi, ma le nostre ferite, perché attraverso questi segni parla Gesù. Anche quando appare ai discepoli di Emmaus il segno che lo rende riconoscibile è l’interpretazione della scrittura, ma soprattutto quando si “spezza” per noi.
Come Gesù si spezza per noi, così anche nelle fraternità dobbiamo metterci al passo con gli ultimi, non dobbiamo lasciarli indietro, non dobbiamo andare con chi va più veloce. Bisogna imparare a dosare le forze di tutti.
Anche l’ultimo, però deve rispettare il primo e sforzarsi di più, per cogliere lo stimolo di chi lo precede nel cammino di fede.




IL SALUTO ALLE VIRTÙ DI SAN FRANCESCO D’ASSISI

il saluto alle virtùIl saluto alle virtù è una laude di San Francesco. La laude è una sorta di poesia che si utilizzava, all’epoca di san Francesco, per dare degli insegnamenti, attraverso il racconto di storie.
Anche Francesco utilizzava questo metodo per la sua predicazione. In quel tempo, la predicazione era consentita solo ai chierici. I predicatori itineranti, come Francesco e i suoi frati, potevano solo fare delle esortazioni al popolo.
I predicatori ufficiali dovevano dare i contenuti alle predicazioni, i predicatori itineranti, invece portavano al popolo il messaggio dell’esortazione.
«In ogni sermone che viene proposto alla riunione dei fratelli allo scopo di edificare, due cose sono necessarie, la lettura e l’esortazione, affinché la lettura sia aumentata la scienza e dall’esortazione sia corretta la vita. La lettura serve infatti all’aumento della scienza, l’esortazione alla correzione della vita» (sermone anonimo).
Francesco parla di Gesù, partendo dalle virtù che furono di Gesù. Le virtù sono lo stile di vita di Gesù. Quando Francesco annuncia la mitezza, la povertà, l’umiltà, ecc. in realtà annuncia Gesù che ha incarnato quelle virtù.
La parola latina virtus deriva dal latino di vir = uomo e si riferisce ai valori dell’uomo da utilizzarsi in battaglia: forza fisica, coraggio, ecc.
Francesco quando parla di virtù si riferisce allo Spirito Santo che infonde la forza per essere uomini virtuosi. La virtù è, quindi, un dono di Dio.
Nell’ammonizione 27 (Fonti Francescane 177), Francesco contrappone la virtù al vizio che è l’opposto della virtù. Francesco dice che per perdere un vizio, bisogna esercitare la virtù:

Dove è amore e sapienza,
ivi non è timore né ignoranza.
Dove è pazienza e umiltà,
ivi non è ira né turbamento.
Dove è povertà con letizia,
ivi non è cupidigia né avarizia.
Dove è quiete e meditazione,
ivi non è affanno né dissipazione.
Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa,
ivi il nemico non può trovare via d’entrata.
Dove è misericordia e discrezione,
ivi non è superfluità né durezza.

Bisogna vivere secondo lo Spirito, perché solo così potremo vivere una vita virtuosa.
Anche di Maria, Francesco tesse le lodi attraverso le virtù. Francesco dice che le virtù sono un dono dello spirito, perché rendono gli uomini da infedeli, fedeli a Dio. Lo Spirito di Dio gratuitamente riversa nel cuore dell’uomo il dono delle virtù, per farlo diventare Santo e per renderlo consapevole della sua fede. Esercitare le virtù ci rende consapevoli della effettiva sequela di Gesù.

IL SALUTO ALLE VIRTÙ (Fonti Francescane 256-258)

Ave, regina sapienza,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la santa e pura semplicità.
Signora santa povertà,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la santa umiltà.
Signora santa carità,
il Signore ti salvi
con tua sorella, la santa obbedienza.
Santissime virtù,
voi tutte salvi il Signore
dal quale venite e procedete.
Non c’è assolutamente uomo nel mondo intero,
che possa avere una sola di voi,
se prima non muore [a se stesso].
Chi ne ha una e le altre non offende,
tutte le possiede,
e chi anche una sola ne offende
non ne possiede nessuna e le offende tutte.
e ognuna confonde i vizi e i peccati.
La santa sapienza
confonde Satana e tutte le sue insidie.
La pura santa semplicità
confonde ogni sapienza di questo mondo
e la sapienza della carne.
La santa povertà
confonde la cupidigia, I’avarizia
e le preoccupazioni del secolo presente.
La santa umiltà
confonde la superbia
e tutti gli uomini che sono nel mondo
e similmente tutte le cose che sono nel mondo.
La santa carità
confonde tutte le diaboliche e carnali tentazioni
e tutti i timori carnali.
La santa obbedienza
confonde tutte le volontà corporali e carnali
e ogni volontà propria,
e tiene il suo corpo mortificato per l’obbedienza
allo spirito e per l’obbedienza al proprio fratello;
e allora l’uomo è suddito e sottomesso
a tutti gli uomini che sono nel mondo,
e non soltanto ai soli uomini,
ma anche a tutte le bestie e alle fiere,
così che possano fare di lui quello che vogliono
per quanto sarà loro concesso dall’alto del Signore.

Questa è l’icona di Gesù. Nel brano 775 delle Fonti Francescane, Tommaso da Celano afferma che il saluto alle virtù fu scritto proprio da San Francesco. La prima considerazione è che le virtù hanno origine da Dio. Le virtù, dunque, sono sempre un dono, anche quando sono acquisite. Le virtù possono fruttare solo con la morte, conversione, di se stessi. Dio mette nel mio cuore il seme affinché io sia caritatevole… io devo mettere l’impegno a morire a me stesso. Francesco ci esorta ad avere cura almeno di una virtù. Sarebbe utile individuare un nostro vizio e pensare alla virtù che ad esso si contrappone, esercitandomi su di essa.
Dobbiamo lottare contro le nostre fragilità che ci rendono esposti al pericolo, per fare questo abbiamo bisogno del dono della Grazia. Dal peccato originale non potremmo mai rialzarci se non ci aggrappassimo a Gesù, attraverso il Battesimo. La Grazia è necessaria all’uomo per diventare perfetto.
Esiste una sinergia tra le virtù. Se hai una virtù le possiedi tutte. Questo perché la virtù ha una sola origine: lo Spirito Santo che si manifesta in modi diversi. L’esercizio della virtù confonde i vizi. Il vizio stesso è confuso davanti all’esercizio delle virtù. L’impegno nelle virtù diventa lo stimolo alla conversione. Voglio conformarmi a Cristo e lo posso fare solo vivendo le sue virtù, morendo a me stesso, ai miei vizi.
Le sei virtù si equilibrano tra loro, perciò se non le hai tutte è come se non ne avessi nessuna. Francesco propone l’esercizio delle virtù come un cammino, per cui la pienezza delle virtù può dipendere da tanti fattori che possono variare da persona a persona.
La virtù per eccellenza è Gesù, LUI è la fotografia delle virtù.
San Paolo quando parla dei frutti dello Spirito Santo, parla delle virtù, per questo la virtù è un dono che va chiesto al Signore, tutti però possono avere il Dono dello Spirito, anche un ateo. Si chiude alla virtù l’uomo che non vuole la Grazia e nemmeno l’illuminazione dello Spirito. La virtù è per tutti anche per chi non crede; il fedele a Dio è colui che segue questa spinta, anche se non crede.




TESTIMONI DI MISERICORDIA

Sabato 19 marzo 2016, ore 16.30, presso il convento di San Francesco a Folloni, in Montella (AV), si è tenuto il secondo incontro di formazione della Zona Interdiocesana di Avellino, dal tema: «ANNUNCIA … LA MISERICORDIA CHE IL SIGNORE HA AVUTO PER TE» (MT 5,19).
All’incontro hanno preso parte circa cinquanta fratelli e sorelli appartenenti alle Fraternità Ofs di Avellino (Roseto), Lacedonia, Lioni, Montella, Salza Irpina, Serino e Volturara Irpina.
Il tema dell’incontro rappresenta la continuazione dell’approfondimento che la fraternità si è proposta all’inizio dell’anno fraterno, in armonia con l’anno della Missione “Per-Dono”, proposto dall’Ofs d’Italia, e l’Anno Santo della Misericordia, indetto da Papa Francesco.
Nel primo incontro, grazie a Suor Emanuela – sorella clarissa di S. Lucia di Serino – la fraternità Zonale ha riscoperto e sperimentato la Misericordia del Padre che, nel suo abbraccio, accoglie tutti noi, ridonandoci la dignità di figli.
Ora quella stessa Misericordia siamo chiamati a “donarla ai fratelli che sono accanto a noi e che incontriamo sul nostro cammino, in tutti quegli ambienti dove, da laici cristiani e francescani siamo inseriti. Restituire al prossimo, anche se in situazioni difficili o ostili, l’abbraccio benedicente del Padre misericordioso che nella nostra vita abbiamo provato: è questa l’esperienza dell’essere missionari di misericordia” .
Perché è da questo, come diceva il nostro serafico Padre San Francesco «… voglio conoscere se tu ami il Signore ed ami me suo servo e tuo, se ti diporterai in questa maniera, e cioè: che non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi sempre misericordia per tali fratelli» .
L’incontro ha avuto inizio, con la preghiera del vespro, nel luogo dove la leggenda vuole che San Francesco, arrivato a Montella chiedesse ospitalità al feudatario presso il castello del paese. In assenza del signore, il castellano, ignaro della fama del poverello di Assisi, lo scacciò. Francesco, insieme ai suoi confratelli, si rifugiò allora nel bosco di Folloni, all’epoca infestato dai briganti, e passò la notte sotto un leccio. Quella notte nevicò abbondantemente e “quantunque non avesse cessato, in tutto quel tempo, di far assaissima neve, nulladimeno non toccò quella né l’albero, né il luogo ove i frati dormivano” . Il castellano insieme a tutta la popolazione accorsero la mattina dopo, e assistito al miracolo, chiesero a san Francesco di lasciare nel luogo due frati affinché realizzassero un convento.
Dopo aver raccontato le origini del convento di san Francesco a Folloni, Fra Cyrille Kpalafio – dell’Ordine Frati Minori conventuali di Montella, Assistente Regionale Gi.Fra. e della locale fraternità Ofs – ha introdotto l’argomento del giorno illustrando il significato della compassione di Dio che è paragonabile a quella sensazione che la madre nutre nei confronti del figlio quando gli dà la vita. Dio, dunque, è come la madre, sempre pronto ad accogliere il figlio, a giustificarlo, anche quando sbaglia.
Nel Vangelo di Luca (10, 25-37) in cui è raccontata la parabola del buon Samaritano, quando il dottore della Legge pone la domanda a Gesù su cosa fare per meritare il regno di Dio, già cade in errore, perché crede che andare in Paradiso sia una questione di meritocrazia.
Questo è uno dei motivi per cui Dio e la religione non vanno d’accordo; infatti Gesù ha sempre rimproverato scribi e farisei, per la loro ipocrisia e per il fatto che trasmettevano al popolo il messaggio dal nostro modo di comportarci derivavano i benefici di Dio.
Gesù propone una nuova religione non è l’uomo che offre un sacrificio a Dio, ma è Dio che si offre all’uomo.
Alla domanda del maestro della Legge: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» Gesù, dopo aver ascoltato il suo parere, afferma: «Hai risposto bene; fa questo e vivrai», a voler significare che tutto quello che aveva detto il maestro della legge avrebbe dovuto iniziarlo iniziando dall’oggi non dal domani.
Quando il giovane, per giustificarsi, chiede chi sia il suo prossimo, Gesù gli risponde attraverso la parabola del buon Samaritano.
Al tempo di Gesù – spiega Fra Cyrille – il prossimo era solo l’ebreo, mentre l’altro era lo straniero, per questo motivo c’era un po’ di confusione, allora Gesù, nella parabola, mette anche uno straniero: Il samaritano.
I samaritani erano considerati impuri, al punto che gli ebrei non potevano nemmeno toccarli e questo perché al tempo della deportazione del popolo di Israele in Babilonia, essi non furono esiliati e rimasero sul loro territorio, fondendosi, nel tempo, con le popolazioni pagane deportate in quei luoghi.
Tornando alla parabola, Fra Cyrille descrive il contesto in cui sono avvenuti i fatti raccontati da Gesù. Gerusalemme e Gerico erano distanti 27 km, con 1100 m di dislivello. Su quella strada c’erano molti briganti. Quei briganti erano ebrei!
Anche noi cristiano siamo capaci di lasciare sul ciglio della strada, mezzo morto, un nostro fratello.
Gesù chiede al giovane dottore della Legge: Chi potrebbe diventare prossimo di quel malcapitato che, tra le altre cose, quasi certamente era un ebreo?
Nella parabola passa per primo il sacerdote.
Il sacerdote, secondo la legge e la religione, ha fatto bene a non fermarsi (perciò Dio non ama la religione). I sacerdoti, infatti, quando dovevano esercitare il proprio servizio nel tempio, si dovevano purificare e per tre giorni non potevano toccare nessuno, nemmeno il padre, se questi stava morendo, altrimenti non poteva più officiare e, in tal caso, i fedeli lo avrebbero linciato.
Anche il levita ha osservato la religione ebraica.
Il samaritano era lo straniero odiato e visto che era nemico di quell’ebreo morente, avrebbe potuto finirlo, come facciamo noi, anche nel nostro piccolo.
Il samaritano era in viaggio, per i suoi affari personali, ma gli va vicino per sapere cosa gli è accaduto, per essere utile.
Una volta vicino gli fascia le ferite e le cura con l’olio. Il samaritano ha dedicato il suo tempo per l’altro, pur avendo un viaggio da compiere, cosa che, spesso non siamo in grado di fare noi che fingiamo di non vedere chi, accanto a noi, ha bisogno del nostro aiuto, perché abbiamo il cuore fisso nelle nostre cose.
Al termine di questa breve riflessione, Fra Cyrille ha illustrato una dinamica in cui, tutti i presenti dovevano calarsi nelle varie situazioni di vita concreta di fraternità, per far emergere quegli atteggiamenti che ci fanno somigliare sempre più al sacerdote e al levita e sempre meno al samaritano.
L’incontro si è concluso alle 18.30, con un buffet di dolci preparato con tanto affetto dalla fraternità di Montella.

Pace e Bene




IL VOLTO DELLA MISERICORDIA

padre scognamiglioIl Capitolo Fraterno del 24 gennaio 2016 è stato uno speciale appuntamento inserito nel percorso del Giubileo straordinario che la Chiesa Universale sta celebrando, in tale contesto è intervenuto fr. Edoardo Scognamiglio – Ministro Provinciale della Provincia napoletana dei Frati Minori Conventuali – sul tema del Perdono e della Misericordia.
La sua riflessione ha riguardato innanzitutto il significato di Giubileo, per il quale mette in risalto alcuni pericoli.
Il primo pericolo del giubileo è il buonismo: si rischia di perdonare tutto senza dare un volto al male.
Il secondo grande pericolo è ridurre il giubileo ad una celebrazione: abbiamo aperto tante porte fino ad oggi, ma rischiamo di lasciare chiusa la porta del nostro cuore. Samo chiamati a fare un’esperienza vera di misericordia, a partire dalle nostre fraternità, e non limitata ad una particolare celebrazione.
È necessario riscoprire il valore della misericordia: Gesù Cristo è il Volto della misericordia del Padre, dice Papa Francesco nella bolla di indizione del giubileo. Dobbiamo quindi innamorarci innanzitutto del Volto di Cristo, per essere uomini di misericordia. Gesù non ha una missione da compiere: è la missione del Padre. La sua presenza in mezzo a noi è la misericordia del Padre. La misericordia vive di gratuità dell’amore di Dio. Senza la gratuità non c’è esperienza vera di misericordia.
Nella parabola del Padre misericordioso non si converte nessuno, lo scandalo della parabola sta nel fatto che il Padre gratuitamente accoglie il figlio che si è allontanato, non perché il figlio si sia pentito. Lo scandalo di questa parabola è che Dio ci viene incontro senza nemmeno sapere se il figlio si è convertito. In questa parabola noi siamo il figlio maggiore, cioè quello fedele che ha fatto sempre tutto, ma vive senza la gioia.
Il centro della parabola è che l’amore di Dio è gratuito. Anche Francesco lo aveva capito quando diceva: “L’amore non è amato”. Solo il Signore può aiutarci a compiere un cammino di perdono. Il perdono è un atto mistico. Alla fine della sua vita Francesco fa un’esperienza mistica di Gesù e vede così i suoi fratelli come un dono, nonostante le tante sofferenze che gli provocano.
Nella parabola del Padre misericordioso, Gesù esaspera alcune situazioni per creare un contrasto tra un fatto vero e uno finto, in modo che i presenti possano scegliere se stare dalla parte di Dio o degli uomini.
Noi ci siamo creati una falsa immagine di Dio. Crediamo che Dio ci perdoni per le opere che compiamo in quest’anno della misericordia, ma il giubileo dura tutta la vita.
Abbiamo anche una falsa immagine della famiglia e della fraternità. Una famiglia è perfetta quando c’è il confronto e si fa esperienza di perdono. Sono sante quelle fraternità quei luoghi dove abbonda il peccato, ma sovrabbonda la Grazia, il perdono.
Riguardo la shoah, qualcuno ci dice che noi non abbiamo il diritto di perdonare un bel niente, nel nome di chi non c’è più. Questa tesi vuole dire che il male è il male: No al buonismo. Se dobbiamo perdonare dobbiamo perdonare l’imperdonabile: il male subito. Dobbiamo fare un percorso di conversione davanti ad un torto subito. Il primo elemento da riconoscere è il male subito, un male che mi ha tolto qualcosa che non mi sarà più restituita. La prima cosa è accettare il male, il secondo elemento è condividere questo male, poi pregare per questo male e solo alla fine perdonare il male subito. Gesù sulla croce si è trovato davanti al male dell’umanità, Cristo porterà sempre nella sua carne i segni del male dell’umanità.
Se la mia vita è ancorata in Cristo, io potrò perdonare, altrimenti non posso perdonare.
La spiritualità del perdono è un cammino di conversione e guarigione. Quando diventeremo misericordiosi come il Padre noi saremo trasformati, anche se l’altro continuerà a peccare. Nel discorso della montagna l’evangelista ci dice che noi saremo perfetti come perfetto è il Padre nostro che è nei cieli.
Come realizzare una spiritualità del perdono nelle nostre fraternità? Soprattutto attraverso la preghiera, perché dobbiamo essere radicati in Cristo. Il bene non è banale, il male nella Bibbia è paragonato alle ombre e alle tenebre, ma queste sono inconsistenti, passano in un attimo. Vivere la misericordia significa che la nostra vita è orientata verso la luce. Dobbiamo custodire il fratello nel bene.
Noi non ci possiamo chiedere se l’altro si è pentito o meno, perché noi siamo chiamati ad essere misericordiosi come il Padre. Dobbiamo metterci nell’ottica di Gesù e non del fariseo.
Il perdono non è un atto umano, ma divino.
La parabola, in greco, significa l’accostamento di due realtà. La parabola ha una funzione di uncino, per gettare un ponte tra il nostro mondo e quello di Dio. Gesù parte sempre da un fatto vero e da uno inventato. Nella parabola del Padre misericordioso non si parla di conversione. Il Padre aspetta sull’uscio della porta, già sta aspettando il ritorno del figlio, senza sapere se il figlio si è convertito.
Fr. Edoardo conclude il suo intervento suggerendo a tutti i presenti di approfondire, in quest’anno della Misericordia, il tema della GRATUITÀ.