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SAN FRANCESCO E IL SULTANO – Considerazioni finali

Nella giornata di studio “San Francesco e il Sultano” ho scoperto che la storia non era come ce l’avevano raccontata. Da tutte le fonti attendibili emergono sia l’avidità e le scelleratezze dei cristiani (considerate che eravamo noi i deliberati invasori di un popolo che fino ad allora non ci aveva dato alcun fastidio), sia la cortesia del Sultano nell’accogliere Francesco -un uomo del nemico!- ascoltandolo volentieri e lasciandolo persino libero di predicare.
Il sultano voleva la pace, ci aveva offerto la Terrasanta gratis, e le autorità cristiane rifiutarono. Lo fecero per calcoli politici ed economici, ma resta il fatto che rifiutarono. Quindi, per logica conseguenza, da quel momento in poi tutto il carico di sofferenze e morti a causa delle crociate poteva essere evitato. Avremmo avuto il possesso di Gerusalemme e di tutta la Terrasanta, all’unica condizione di non molestare chi già vi abitava; avremmo fatto la pace col mondo islamico, si sarebbe sviluppato un rispetto reciproco, e tante stragi non sarebbero mai avvenute, comprese quelle che succedono oggi. Credo che noi stiamo pagando le conseguenze delle cattive azioni dei nostri antenati.
Tornando al passato, la gente fu mandata a morire e ad uccidere senza nemmeno il pretesto di una necessità morale (liberare il Santo Sepolcro dalle mani degli infedeli), dato che il luogo richiesto ci era stato offerto gratis. Inoltre, i predicatori, per reclutare volontari, parlavano della liberazione dei luoghi santi, e poi in concreto chi si arruolava si ritrovava in Egitto e perfino a Tunisi. Dunque quel che interessava alle autorità civili e religiose era l’annientamento dei regni islamici dovunque fossero, la conquista di territori e ricchezze, e non certo la Terrasanta, zona poco redditizia. Tant’è vero che fu lasciata al suo destino.La cosa che più sbalordisce è che gran parte della documentazione era già presente negli archivi (lettere, cronache) ed è stata volutamente ignorata. Ho diffuso gli appunti nella mia fraternità e via mail anche ad altre fraternità toscane: pensavo che fossero scoperte importantissime, che avrebbero avuto una vasta eco. Macché. Ignorate. Delle rivelazioni uscite in quel convegno non si trova traccia neanche su internet; sono scritte solo in un numero della rivista dei frati minori “Studi Francescani 108/3-4 (2011)”, “Francesco e il Sultano. Atti della Giornata di Studio (Firenze, 25 settembre 2010)”.
Mi sono chiesta a lungo il perché di tutto, sia dell’ostinazione dei crociati a rifiutare la pace offerta dal sultano, sia della mancanza di interesse alla verità oggi. Poi ho visto questa citazione di Dietrich Bonhoeffer:

Per il bene, la stupidità è più pericolosa della malvagità. Contro il male è possibile protestare, opporsi anche con la forza. Ma contro lo stupido non abbiamo difese, perché ai fatti che non quadrano con i suoi pregiudizi egli non crede affatto e qualora non potesse sfuggire all’evidenza lo stupido metterà semplicemente da parte, come non rilevanti, quei fatti. E in questo è molto fiero di sé; anzi, diventa pericoloso in quanto, con facilità e rabbiosamente, passerà al contrattacco.”

(D. BONHOEFFER, Resistenza e resa, cit., 64-66).

Patrizia Mancini OFS Siena




E TU DA CHE PARTE STAI?

Ieri sera, 8 ottobre 2012, è andata in onda su LA7 una trasmissione televisiva sul Concilio Vaticano II dal titolo “Di chi è la Chiesa?” condotta da Gad Lerner. Ospiti in studio: il card. Angelo Scola, lo storico del Concilio Alberto Melloni, il prete operaio Giovanni Nicolini, il direttore di TV2000 Dino Boffo, il giornalista Giuliano Ferrara, lo storico Roberto de Mattei, la fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti Chiara Amirante.
Personalità molto diverse che hanno presentato i propri punti di vista spesso contrastanti se non irriducibili, a testimonianza di quanto siano differenti le visioni che ancora oggi vi sono del Concilio; visioni talmente variegate da non essere riassumibili, se non a prezzo di inaccettabili semplificazioni, nelle ben note ermeneutiche della continuità o della rottura. La collocazione stessa degli ospiti nello studio sottolineava questa diversità di vedute: progressisti da un lato, tradizionalisti dall’altro, il cardinale Scola nel mezzo. Una curiosità: per quanto attestati su posizioni diverse, quasi tutti hanno richiamato a più riprese la figura di Francesco d’Assisi, dividendosi anche su questo: chi sosteneva che fu sempre fedele alla chiesa di Innocenzo III, chi invece a dire che pur senza contestare niente e nessuno fece comunque di testa sua.Seguendo il dibattito televisivo ho maturato alcune riflessioni e quella che voglio condividere con voi è questa. Sappiamo bene che la vita, in tutte le sue manifestazioni, ci obbliga spesso a scegliere da che parte stare: nella sfera pubblica siamo chiamati ad accordare il nostro consenso a questa o quella formazione politica, nell’attività lavorativa siamo chiamati a decidere come impostare la nostra professione, nel nostro privato siamo chiamati a scegliere i criteri ai quali ispirare la nostra condotta e quella della nostra famiglia. Ebbene, questo vale anche con riferimento alla Chiesa: anche nella Chiesa siamo chiamati a scegliere da che parte stare. La Chiesa è una, certo, ma al suo interno coesistono visioni diverse, spesso anche radicalmente diverse; la Chiesa è una realtà complessa, problematica, decifrarla non è facile. C’è una fede del cuore e una fede dell’intelletto e vanno alimentate entrambe. Le reliquie, ad esempio, alimentano sicuramente la fede del cuore ma per alimentare la fede dell’intelletto occorre ben altro: occorre studiare e documentarsi con serietà e impegno. E se alimentare la fede del cuore è importante perché ci dona quel senso di pace interiore di cui abbiamo così tanto bisogno, alimentare la fede dell’intelletto non è meno importante perché volenti o nolenti dobbiamo scegliere da che parte stare; non importa quale sia la scelta purché sia una scelta consapevole, motivata, ponderata. Non possiamo sottrarci a questo dovere; significherebbe privare la Chiesa del nostro contributo, significherebbe seppellire i nostri talenti. Beninteso, anche questa in fondo è una scelta: le conseguenze però le conosciamo.

9 ottobre 2012
Pietro Urciuoli, francescano

Ecclesiaspiritualis.blogspot.it




COME ANDÒ A FINIRE LA QUINTA CROCIATA?

Il 5 novembre 1219 la città di Damietta venne conquistata dai cristiani; fu un massacro. Il vescovo Oliver von Paderborn scrisse che, quando la città cadde, su 80.000 abitanti, solo 3.000 vennero lasciati in vita. I corpi vennero lasciati ovunque, a nutrimento dei cani.
I crociati saccheggiarono e cominciarono subito a litigare tra loro per la spartizione del bottino, poi il cardinal Pelagio impose l’ordine prospettando la marcia verso il Cairo. Altri scontri armati, devastazioni e saccheggi. Il sultano ripeté l’offerta di pace in cambio della Terrasanta, nuovamente respinta dai crociati, i quali proseguirono la guerra a oltranza, avvicinandosi al Cairo. Allora il sultano fece aprire le dighe del Nilo, impantanando i carri e i pesanti armamenti dell’esercito crociato. Fu la disfatta totale. I guerrieri erano ormai bloccati e impotenti, alla mercé dei saraceni. A quel punto il sultano offrì ai crociati una tregua di otto anni. Essi accettarono.
Il comandante crociato Giovanni di Brienne disse a Pelagio: “Ah, signor legato, se solo ve ne foste rimasto in Spagna! Siete stato Voi a precipitare la cristianità in rovina!”Il cronista Oliviero di Colonia, parlando della generosità degli arabi dopo la firma del trattato col sultano al-Kamil, scrisse: “…Quegli stessi egizi di cui noi avevamo appena ucciso le famiglie, che avevamo rapinato e cacciato da casa e beni, vennero ora a curarci e salvarci, noi che eravamo in loro balìa, dalla morte per fame…”
Lo stesso sultano, nell’anno 1229, offrirà di nuovo la Terrasanta all’imperatore Federico II, il quale aveva giurato di impegnarsi nella crociata, ma con il continuo rimandare s’era trovato scomunicato. L’imperatore otterrà Gerusalemme tramite negoziati amichevoli con il sultano, evitando la guerra, ma invece di vedersi levare la scomunica, egli si vedrà piombare addosso la collera del papa, fino all’incredibile proclamazione di una crociata contro di lui. L’imperatore sarà sollevato dalla scomunica e dalla persecuzione nel 1231, ma solo al prezzo di porre alcuni suoi territori sotto il dominio della Chiesa.
Si calcola che nel corso delle crociate (un paio di secoli) abbiano perso la vita circa due milioni di esseri umani, in un’epoca nella quale l’Europa contava al massimo 18 milioni di abitanti.
Gerusalemme, lasciata senza difese, finirà assalita e conquistata nel 1244 da bande nomadi di un oscuro popolo asiatico, i Corasmi, scacciati dalle loro terre dall’orda dei mongoli di Gengis Khan.
Le crociate successive avranno altri obiettivi, l’Egitto e perfino Tunisi. La Terrasanta non interessava più alle grandi potenze cristiane; i principati Franchi di Siria vennero lasciati al loro destino. I sultani d’Egitto completarono in pochi decenni la riconquista del territorio. L’ultima fortezza crociata, Acri, cadde nel 1291 dopo un’eroica difesa condotta dai Templari.
Nessuno venne loro in aiuto.

Aggiunta storica personale di
Patrizia Mancini

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FRANCESCO E IL SULTANO NELLA LETTERATURA E NELLA LEGISLAZIONE FRANCESCANA

La conversione del Sultano Melek-el-Kamel, chiesa di San Francesco, Montefalco.

A margine del contributo di Patrizia Mancini – che ringrazio per la benevola attenzione prestata a questo blog – mi permetto di aggiungere qualche considerazione personale sull’argomento  per uno scambio di cortesia con una consorella la cui conoscenza è appena iniziata e per un approfondimento a vantaggio dei francescani eventualmente interessati.

Mi permetto di aggiungere qualcosa, dicevo, attingendo alla letteratura e alla legislazione francescana.

Letteratura. L’incontro di Francesco col sultano è descritto nella Vita Prima di Tommaso da Celano al cap. XX, nei Fioretti al cap. XXIV e nella Legenda maior al cap. IX ma l’episodio dell’ordalia è riportato soltanto da san Bonaventura. La genesi della Legenda maior fornisce una spiegazione plausibile di questa circostanza. Il capitolo generale di Narbona del 1260 espresse la necessità di disporre di una biografia ufficiale di san Francesco e ne affidò la redazione a Bonaventura da Bagnoregio, ministro generale e teologo di chiara fama; il testo di Bonaventura nacque dunque con un intento dichiaratamente celebrativo, teso all’esaltazione mistica del santo delle stimmate e per tale motivo non è esente da una certa retorica. Questa retorica si manifesta in molti episodi, alcuni dei quali inventati di sana pianta dal Dottore Serafico: uno di questi è la descrizione dell’incontro di Francesco col sultano Malik-el-Kamil. Nella sua narrazione Bonaventura sostiene che durante tale incontro Francesco avrebbe lanciato un’ordalia al sultano; un passaggio attraverso il fuoco al quale avrebbero dovuto assoggettarsi Francesco stesso e i sacerdoti del sultano per dimostrare quale delle due religioni fosse quella vera. Questa narrazione falsa doppiamente la realtà; in primo luogo perché l’episodio è completamente inventato, in secondo luogo perché l’atteggiamento di Francesco verso il sultano e verso i musulmani in generale fu sempre di rispetto e di benevolenza non certo di competizione o di sfida. Non è un caso se lo storico Theophile Desbonnets, in un fondamentale saggio significativamente titolato Dall’intuizione all’istituzione, descrive la Legenda maior come «una magnifica sintesi di vita spirituale che però si rivela anche come l’operazione perfettamente riuscita di imbalsamazione di un morto al quale si vuole negare ogni interferenza con la vita reale».

Legislazione. Ma le considerazioni forse più interessanti derivano da un’analisi comparata del modo con cui l’argomento della missione presso i musulmani è trattato nelle due regole francescane. Com’è noto, benché fosse ostile a ogni forma di giuridicismo, negli ultimi anni della sua vita Francesco dovette rassegnarsi a scrivere una regola che presentò al capitolo del 1221. Si trattava sostanzialmente di una sistematizzazione di norme comuni di comportamento elaborate a partire dal 1210 nel corso degli incontri dei frati a Santa Maria degli Angeli. La regola non fu mai sottoposta all’approvazione pontificia perché considerata troppo lunga (ben ventiquattro capitoli) e disorganica, dal tono più spirituale che giuridico; non si presentava, infatti, come un testo legislativo ma come un insieme di accorate esortazioni e di sublimi preghiere che si alternavano senza un vero e proprio nesso logico intersecandosi con molte citazioni bibliche care a Francesco. Fu quindi costretto a scriverne un’altra, più breve (dodici capitoli) e dal taglio più normativo, coadiuvato – e controllato – dal cardinale Ugolino, futuro papa Gregorio IX. La nuova regola fu sottoposta a Onorio III il quale l’approvò con la bolla Solet annuere del 29 novembre 1223; è la cosiddetta Regola bollata. Non si trattava di una regola completamente nuova ma di una profonda revisione della prima della quale però non conservava né il calore né l’ispirazione, soffocati dai giuridicismi curiali.
Ciò premesso è interessante esaminare come le due regole trattano l’argomento.
La Regola non bollata dedica alla questione il cap. XVI titolato Di coloro che vanno tra i saraceni e gli altri infedeli che recita così:

Dice il Signore: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe». Perciò qualsiasi frate che vorrà andare tra i Saraceni e altri infedeli, vada con il permesso del suo ministro e servo. Il ministro poi dia loro il permesso e non li ostacoli se vedrà che sono idonei ad essere mandati; infatti dovrà rendere ragione al Signore, se in queste come in altre cose avrà proceduto senza discrezione.
I frati poi che vanno fra gli infedeli, possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio a e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre e Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, poiché, se uno non sarà rinato per acqua e Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio.

Il testo dell’articolo prosegue con numerose citazioni evangeliche finalizzate a esortare i frati a rendere una testimonianza coraggiosa della propria fede, fino all’accettazione del martirio.
La Regola bollata tratta l’argomento all’ultimo capitolo, il cap. XII; il titolo è il medesimo ma il contenuto è ben diverso:

Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri poi non concedano a nessuno il permesso di andarvi se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati.

È ben evidente un cambio di prospettiva riguardante sia le modalità di svolgimento della missione sia la possibilità di accedervi.
Nella Regola non bollata Francesco si premura di sollecitare i frati a un atteggiamento benevolo verso i saraceni: i frati non devono fare liti o dispute ma devono confessare di essere cristiani in primo luogo con l’esempio e annunziare la parola di Dio solo quando «vedranno che piace al Signore». Di queste esortazioni – e di questo atteggiamento di profondo rispetto che consente di qualificare Francesco come il primo missionario moderno – non c’è più traccia nella Regola bollata. Non poteva essere diversamente, trattandosi della regola canonica di un ordine che nelle intenzioni del pontefice avrebbe dovuto sostenere la Chiesa nella lotta agli infedeli e agli eretici.
Per quanto riguarda l’accesso alla missione si osserva che nella Regola non bollata il centro dell’azione è il frate o, per meglio dire, «qualsiasi frate» che abbia ricevuto l’ispirazione del Signore. Il ministro, di norma, concede; anzi, Francesco si premura di ammonirlo a non porre ostacoli arbitrari dei quali dovrà «rendere conto al Signore». Nella Regola bollata il centro dell’azione è invece il ministro che, di norma, non concede «se non a quelli che riterrà idonei ad essere mandati»; e non c’è più traccia del monito di cui al testo precedente.

Nel tema della missione tra gli infedeli si riverbera quindi quel sofferto processo che nell’arco di pochi anni portò il francescanesimo ad assumere, da movimento spontaneo e laico, la struttura di un ordine monastico e clericale.

Pietro Urciuoli, francescano
ecclesiaspiritualis.blogspot.it

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SAN FRANCESCO E IL SULTANO – parte prima

Appunti dalla giornata di studio “SAN FRANCESCO E IL SULTANO”
25 settembre 2010 – “sala delle laudi”, convento San Francesco, Via A. Giacomini 3, Firenze.

Appunti di Patrizia Mancini, Ordine Francescano Secolare (Siena). Questi appunti non pretendono di essere completi, ho semplicemente annotato le cose che mi hanno colpito di più. Li fornisco come condivisione per tutti quelli a cui l’argomento può interessare.

***
Giuseppe Ligato, La crociata a Damietta tra legato papale, profezie e strategie.

Appunti:
1219 – L’esercito crociato, per scelta strategica, invece di dirigersi verso la Terrasanta invade l’Egitto e assedia la città di Damietta sul Delta del Nilo. Il sultano Malik-al Kamil, che ha già difficoltà interne al suo regno e non vuole altre seccature, offre Gerusalemme purché i crociati se ne vadano. Alcuni comandanti crociati sarebbero favorevoli, ma la pace viene respinta del legato pontificio, cardinal Pelagio. Il sultano allora offre l’intera Terrasanta, riservando per sé l’Egitto e qualche castello in Giordania. Si impegna persino a ricostruire le mura di Gerusalemme a proprie spese. Anche questa offerta viene respinta dal legato pontificio. Il papa avallò quel rifiuto (proposta non grata vel accepta) perché tenendo la situazione in stallo voleva mettere fretta all’imperatore Federico II, che si coinvolgesse anche lui nella crociata. Previsione e scopo: non il semplice recupero della Terrasanta, ma il ripristino della cristianità in tutto l’oriente. Delta del Nilo: voluto perché utile ai commerci pisani e genovesi. Idem l’Egitto intero.
La V crociata fu sospinta da profezie fasulle, o tradotte in modo astuto, o semplicemente male interpretate a causa dell’incomprensione di uno stile letterario: nel genere “profetico”, eventi già accaduti sono narrati col tempo verbale del futuro. Era lo stile tipico di queste composizioni, ma gli esegeti non lo sapevano. Nella cristianità si parlava di profetica certitudine; veniva fatta girare una profezia attribuita a un povero vagante (mai identificato) che dava l’assoluta garanzia dal Cielo che Gerusalemme sarebbe stata cristiana sotto il papa allora vivente (Onorio III). Paradossalmente, tale profezia si sarebbe realizzata davvero, se solo i cristiani avessero accettato l’offerta di pace del sultano. Ma la disponibilità dei capi crociati all’accordo si infranse contro l’intransigenza del legato pontificio e delle alte sfere della gerarchia ecclesiastica.
In realtà, quel che si voleva era l’annientamento dell’islam, sia in senso politico (Stato) sia in senso religioso.
***
Anna Ajello, I Frati Minori e i Saraceni agli inizi del XIII secolo.

Appunti:
L’incontro tra San Francesco e il Sultano ebbe una fortissima risonanza, deducibile dal numero altissimo di citazioni del fatto, nelle fonti (sia crociate sia laiche) e nell’iconografia. Per logica, quell’incontro probabilmente è accaduto davvero, perché cos’è accaduto dopo? La missione verso gli infedeli diventò il tratto distintivo e la vocazione specifica francescana. In Francesco c’era un aprirsi al mondo, “ad gentes”. Oggi potremmo dire che fu un inizio di globalizzazione. Fu un fatto storico: nei francescani c’era questa spinta verso sentieri sconosciuti e luoghi nuovi.Ma san Francesco, perché andò a predicare il Vangelo ai saraceni? voleva convertire il sultano o perseguiva il martirio? Difficile dirlo. Di sicuro la realtà che san Francesco si trovò davanti deve averlo lasciato stupefatto. Non solo l’accoglienza amichevole. Alla corte del sultano Malik-al-Kamil c’erano 5000 cristiani, perlopiù copti, ma anche operatori commerciali europei. Il papa di allora aveva lanciato la scomunica per chi, cristiano, commerciava coi musulmani. Le scomuniche venivano ripetute, segno che il fatto continuava. In pratica, questi rapporti commerciali venivano considerati “rapporti con il nemico”. Malik-al-Kamil era invece aperto, come si è appena detto. Roma cercherà di frenare i francescani nella loro missionarietà e originalità apostolica perché spesso il loro agire va in contrario alla politica papale. I francescani di fronte a questi ostacoli avranno varie reazioni: ansia di rinnovamento spirituale, missione per “recuperare la cristianità”; progetto culturale per recuperare i nemici con un colloquio (incontro tra San Francesco e il sultano visto come idea, come modo di agire).
La missione ad gentes, tra infedeli e in terre lontane, per san Francesco e i suoi frati significa:
I FRATI NON HANNO NEMICI. Neanche in quelli che tutti gli altri considerano nemici. Pensare a tutti gli uomini come potenziali amici. Uno specifico dell’ordine: andare in giro per il mondo, predicare la conversione (la penitenza) e la pace.
Le prime missioni francescane non danno frutti immediati ma danno frutti di conoscenza.
Francesco scoraggiò l’imitazione degli euforici per desiderio di martirio. Francesco non ama l’esaltazione.
I frati primi predicatori portavano con sé un bagaglio culturale con visione dell’islam negativa (leggende, canzoni, ecc.) ma cultura vera, poca. Anche dopo, partivano più o meno ignoranti e sospettosi, non certo per colpa loro, ma perché dipendenti da un corpus di testi classici (cluniacensi, arcivescovo di Toledo, bizantini) concepiti come polemistica anti-islamica (che comunque è sempre una via alternativa allo scontro).
Risultati dei contatti con i musulmani: ci fu conoscenza chiara del loro monoteismo assoluto, del loro concetto di rivelazione divina, e delle loro accuse al cristianesimo. I frati si accorgono della prossimità di islam e cristianesimo. Nasce l’idea di colloqui per alleanza intellettuale, armonia almeno filosofica. Scoprono che il saraceno è prossimo. Infine scoprono che l’islam non è un’eresia del cristianesimo, come gli avevano detto, è proprio un’altra cosa, a sé. I frati nel vedere le persone professare l’islam si interrogano su quanto nelle proprie terre ci sia la stessa sincerità e devozione. Pensano a come sono i cristiani (tiepidi). Scoprono che le minacce a volte vengono più dai cristiani locali che dai musulmani stessi. (Frate Egidio venne cacciato da Tunisi proprio dai mercanti cristiani, perché il suo predicare faceva danno agli affari). Inoltre imparano a predicare come insegnava san Francesco: non verbo ma exemplo. Le fonti francescane ci mostrano che riguardo alle missioni tra gli infedeli i frati oscillano tra paura e attrazione. Il fatto storico è che nasce un contatto, una via d’incontro. A volte dialogo, a volte scontro, ma è sempre un contatto. Anche quando i frati si convincono che è impossibile convertire i saraceni, sentono che è possibile viverci in mezzo mantenendosi cristiani. I frati così restano in Terrasanta anche dopo, in pace.
***

Padre Pacifico Sella, ofm – L’incontro tra frate Francesco e il Sultano

Appunti:
Il sultano d’Egitto, Malik-al-Kamil, era nipote (di zio) del Saladino. Naturalmente ci fu un uso ideologico del fatto e ci furono anche gli scettici (incontro storicamente avvenuto e poi stop). Invece Francesco aveva un piano operativo apostolico: uscire dallo “stretto” della cristianità di allora e cercare il contatto con chi è lontano e diverso. Inoltre, farlo persino in tempo di crociata, quando c’era sterminio di prigionieri da ambo le parti.
In missione di pace
Era il settembre del 1219, durante l’assedio di Damietta, città sul Delta del Nilo. Vi era una breve tregua nei combattimenti. Il Sultano era noto come persona mite. Da dati storici si deduce che probabilmente Francesco, più che convertire, sperava di ottenere la pace o almeno una tregua lunga; che in Gerusalemme e in Terrasanta ci fosse libertà di passaggio per i pellegrini, senza fargli pagare gabelle, in cambio del ritiro dei crociati dall’Egitto. Il sultano era in difficoltà, pronto ad accettare pur di salvare la città di Damietta e il suo trono. Offrì persino più del previsto: l’intera Terrasanta purché la guerra finisse. Purtroppo alcuni capi crociati e soprattutto il legato pontificio dissero di no. Perché questo no che a noi sembra assurdo? Perché con la pace interessi economici saltavano e guadagni previsti sfumavano. Se la proposta di accordo fosse stata accettata, ciò avrebbe completamente svilito la crociata rispetto alle sue motivazioni portanti. Essendo il fine della crociata la conquista della Terrasanta per via militare (con tutto ciò che implicava sul piano finanziario), l’ottenere tale scopo mediante un accordo diplomatico avrebbe comportato la conclusione della crociata stessa (e il fallimento di tutti coloro che in essa avevano finanziariamente investito…)
Nell’impresa di Francesco che oltrepassa le linee nemiche in cerca del comandante dell’esercito avversario, c’è la ricerca della pace attraverso il confronto dialogico. Francesco prevede il rischio di morte, ma non la cerca in se stessa.
Interpretazione della prova del fuoco di fronte al sultano, spesso raffigurata da Giotto in poi. Innanzitutto nessun fuoco è mai stato acceso: l’unica fonte che riporta tale prova (legenda maior di San Bonaventura) dice che essa era solo una proposta, oltretutto respinta dal sultano stesso.
Altro falso storico grave: i cosiddetti Verba Fratri Illuminati, nel Liber Exemplum ecc. [Fonti Francescane 2690-2691]. Si trovano nel Codice Ottoboniano Vaticano. Ora si è visto che questi Verba sono falsi, ma erano fatti così bene che hanno ingannato anche gli esperti (“e anche me”, aggiunge Padre Sella umilmente. “Lo riconosco, c’ero cascato anch’io”). Che c’era scritto? I Verba riportano presunte conversazioni tra san Francesco e il Sultano, in cui Francesco polemizza e dà ragione ai crociati. Detto in breve, prima il Sultano lo accoglie facendolo camminare su un tappeto tessuto a croci, e gli dice con scherno: ma come, tu calpesti la croce? E Francesco gli risponde: ma queste son le croci vostre, noi abbiamo la croce del Signore, voi avete le croci dei ladroni. Poi il sultano gli chiede: perché voi cristiani ci attaccate? È forse nell’insegnamento di Gesù? E lui gli risponde: sì, perché Gesù dice “se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo, se il tuo piede ti scandalizza, taglialo”; voi ci siete d’impedimento nella religione e dunque noi vi eliminiamo.
Ora sappiamo che questo dialogo è stato copiato da altre polemiche tra musulmani e cristiani. Il discorso è stato riscoperto di recente in una cronaca risalente alla prima crociata, cent’anni prima di san Francesco. Quindi chi aveva pronunciato quelle frasi non era lui. Il falso puntava a trasformare san Francesco in un sostenitore della guerra santa, invece che nell’uomo del dialogo che era stato. Purtroppo il falso funzionò. I futuri frati arrivarono a essere sostenitori delle crociate.
***

Alcune precisazioni del Prof. Franco Cardini.

Appunti:
Nonostante quel che si raccontava in Europa, i musulmani non avevano MAI impedito ai pellegrini cristiani di raggiungere i luoghi santi, purché pagassero un tributo. Prima che cominciassero le crociate era consentito anche il commercio. Durante la crociata, tutto sospeso. Legislazione eccezionale. Per chi pagava l’obolo c’era la scomunica. Guerra totale, senza pietà. Più che guerra di religione, era una guerra e basta.
Quando san Francesco partì, lui che ne sapeva dell’islam? Probabile una sorpresa sul credo islamico. Per loro Gesù è un grande profeta, viene detto SIGNORE Gesù, un titolo che non viene dato neanche a Maometto. Credono che il Signore Gesù tornerà dal cielo alla fine dei tempi per sconfiggere satana. Gesù è definito Spirito di Dio. Poi hanno anche il culto di Maria. Ovvero. Francesco scopre con sorpresa che esistono anche i punti di unione.
Il modus operandi dei frati martiri del Marocco è completamente diverso dal modus operandi prescritto da Francesco nella Regola non Bollata. Francesco proibisce la lettura di quel martirio. Oltre al motivo riportato dalle Fonti (non gloriarsi dell’eroismo altrui), l’avrà proibita anche per evitare un’imitazione del loro agire?
– Precisazione di un vescovo francescano: secondo la tradizione dell’Egitto, che là viene ancora insegnata nelle scuole, nella visita al sultano i due frati vengono a DISSOCIARSI dalle crociate e dicono che la loro fede (Gesù Cristo) non le approva.
Altri:
– Sulla prova del fuoco e la falsa polemica riportata nei Verba Fratri Illuminati:
La vera opinione di Francesco si ricava da ciò che lui ha scritto nel cap. 16 della Regola non Bollata. “I frati evitino contese e dispute di parole”. Questo avrebbe già proibito a Francesco di fare una disputa e la prova del fuoco.
– Francesco deve essere rimasto colpito dalla prassi dell’islam: nella lettera ai reggitori dei popoli chiede che un banditore, dall’alto di una torre, a ore fisse inviti alla lode di Dio: un muezzin. Nella ad universo populo – ovvero a tutti, cristiani e non – per dire Dio dice “l’Altissimo” che è una parola che possono accettare sia cristiani sia musulmani.
– Chiediamoci: chi è per noi il sultano oggi?
– Quando Francesco parla di stare tra i saraceni, il verbo stare presuppone una presenza fissa. Nella Regola non Bollata non c’è nessun accenno esplicito al martirio, nella Bollata nemmeno, anche se il rischio c’era e si sapeva: quindi Francesco non vuole che si vada là allo scopo di diventare martiri, ha in progetto lo stare, l’obiettivo di vivere insieme nella speranza di evangelizzare.
***
Chiara Frugoni, L’iconografia dell’incontro tra san Francesco e il sultano.

Attraverso la proiezione di numerose immagini di tavole dipinte, affreschi e quadri, la professoressa mostra come sia sempre stata rappresentata la sfida del fuoco acceso, in realtà mai avvenuta, oppure un incontro rigido tra avversari, e non il dialogo amichevole tra i due. Ovviamente il motivo di tali raffigurazioni sta nell’esaltare il santo come eroe e gli altri come arroganti (il sultano in trono) o vigliacchi (i sacerdoti islamici in fuga). Solo in una raffigurazione dei primi tempi, la tavola della cappella Baldi in Santa Croce a Firenze, si vede san Francesco che predica al sultano e a una folla di saraceni, tenendo nella mano sinistra il libretto del Vangelo, con la mano destra alta che pare accennare un segno di benedizione verso di loro. In questa raffigurazione, Francesco viene ascoltato con attenzione e con rispetto (persone comodamente sedute, occhi rivolti verso di lui). Un paio di saraceni hanno perfino la mano tesa verso Francesco. Naturalmente una simile immagine non tornava comoda per rappresentare il nemico infedele, quindi non ne fecero più.

***
Fine prima parte.

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