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FUNERALI DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI

Ieri, 3 settembre 2012, sono stati celebrati i funerali del Cardinale Carlo Maria Martini, cui hanno preso parte, oltre le migliaia di fedeli (circa ventimila), diversi personaggi politici, tra cui, su tutti, il Presidente del Consiglio Mario Monti.
Vogliamo ricordare il Card. Martini con le parole dal Santo Padre, Benedetto XVI, scritte nel messaggio inviato in occasione dei funerali:
«Cari fratelli e sorelle,
in questo momento desidero esprimere la mia vicinanza, con la preghiera e l’affetto, all’intera Arcidiocesi di Milano, alla Compagnia di Gesù, ai parenti e a tutti coloro che hanno stimato e amato il Cardinale Carlo Maria Martini e hanno voluto accompagnarlo per questo ultimo viaggio.
«Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 118[117], 105): le parole del Salmista possono riassumere l’intera esistenza di questo Pastore generoso e fedele della Chiesa. È stato un uomo di Dio, che non solo ha studiato la Sacra Scrittura, ma l’ha amata intensamente, ne ha fatto la luce della sua vita, perché tutto fosse «ad maiorem Dei gloriam», per la maggior gloria di Dio. E proprio per questo è stato capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l’unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell’amore. Lo è stato con una grande apertura d’animo, non rifiutando mai l’incontro e il dialogo con tutti, rispondendo concretamente all’invito dell’Apostolo di essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 4,13). Lo è stato con uno spirito di carità pastorale profonda, secondo il suo motto episcopale, Pro veritate adversa diligere, attento a tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili, vicino, con amore, a chi era nello smarrimento, nella povertà, nella sofferenza.In un’omelia del suo lungo ministero a servizio di questa Arcidiocesi ambrosiana pregava così: «Ti chiediamo, Signore, che tu faccia di noi acqua sorgiva per gli altri, pane spezzato per i fratelli, luce per coloro che camminano nelle tenebre, vita per coloro che brancolano
nelle ombre di morte. Signore, sii la vita del mondo; Signore, guidaci tu verso la tua Pasqua; insieme cammineremo verso di te, porteremo la tua croce, gusteremo la comunione con la tua risurrezione. Insieme con te cammineremo verso la Gerusalemme celeste, verso il Padre» (Omelia del 29 marzo 1980).
Il Signore, che ha guidato il Cardinale Carlo Maria Martini in tutta la sua esistenza accolga questo instancabile servitore del Vangelo e della Chiesa nella Gerusalemme del Cielo. A tutti i presenti e a coloro che ne piangono la scomparsa, giunga il conforto della mia Benedizione».

Da Castel Gandolfo, 3 Settembre 2012
BENEDICTUS PP. XVI




ANNO DELLA FEDE

Benedetto XVI nella sua Lettera Apostolica Porta fidei ha scritto che “Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo” (n. 2). Alla luce di questo pensiero, ha indetto un Anno della fede che avrà inizio nella felice coincidenza di due anniversari: il cinquantesimo dell’apertura del Concilio Vaticano II (1962) e il ventesimo della pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992).
Dall’intera Chiesa proviene un pensiero di sincero ringraziamento al Santo Padre per avere voluto questo Anno. L’attesa è grande come pure il desiderio di voler corrispondere in modo pieno e coerente.
L’Anno della fede, anzitutto, intende sostenere la fede di tanti credenti che nella fatica quotidiana non cessano di affidare con convinzione e coraggio la propria esistenza al Signore Gesù. La loro preziosa testimonianza, che non fa notizia davanti agli uomini, ma è preziosa agli occhi dell’Altissimo, è ciò che permette alla Chiesa di presentarsi nel mondo di oggi, come lo fu nel passato, con la forza della fede e con l’entusiasmo dei semplici. Questo Anno, comunque, si inserisce all’interno di un contesto più ampio segnato da una crisi generalizzata che investe anche la fede. Sottoposto da decenni alle scorribande di un secolarismo che in nome dell’autonomia individuale richiedeva l’indipendenza da ogni autorità rivelata e faceva del proprio programma quello di “vivere nel mondo come se Dio non esistesse”, il nostro contemporaneo si ritrova spesso a non sapersi più collocare. La crisi di fede è espressione drammatica di una crisi antropologica che ha lasciato l’uomo a se stesso; per questo si ritrova oggi confuso, solo, in balia di forze di cui non conosce neppure il volto, e senza una meta verso cui destinare la sua esistenza. È necessario poter andare oltre la povertà spirituale in cui si ritrovano molti dei nostri contemporanei, i quali non percepiscono più l’assenza di Dio dalla loro vita, come una assenza che dovrebbe essere colmata. L’Anno della fede, quindi, intende essere un percorso che la comunità cristiana offre a tanti che vivono con la nostalgia di Dio e il desiderio di incontrarlo di nuovo. È necessario, pertanto, che i credenti sentano la responsabilità di offrire la compagnia della fede, per farsi prossimo con quanti chiedono ragione del nostro credere.Il Papa ha indicato in Porta fidei gli obiettivi verso cui indirizzare l’impegno della Chiesa. Ha scritto: “Desideriamo che questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucaristia… Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio” (Pf 9). Un programma arduo che si immette, anzitutto, all’interno della vita quotidiana di ogni credente, e nella pastorale ordinaria della comunità cristiana, perché si ritrovi il genuino spirito missionario necessario per dare vita alla nuova evangelizzazione. A questo riguardo sono contento di poter dare notizia che la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha approvato il formulario di una s. Messa speciale “Per la Nuova Evangelizzazione”. Un chiaro segno perché in questo Anno e alla vigilia del Sinodo dedicato alla nuova evangelizzazione e trasmissione della fede si dia il primato alla preghiera e specialmente alla s. Eucaristia fonte e culmine di tutta la vita cristiana.
Insieme a questo percorso quotidiano, la Nota di carattere pastorale che la Congregazione per la Dottrina della fede ha pubblicato lo scorso 6 gennaio propone diverse iniziative concrete che possono trovare riscontro a livello di Conferenze Episcopali, diocesi, parrocchie, associazioni e movimenti. Come si sa, al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione è stato affidato il compito di proporre, animare, coordinare eventi a carattere universale. Di seguito, illustro alcune iniziative che sono state approvate e saranno momenti caratterizzanti lo svolgimento dell’Anno della fede.
1. È stato preparato, anzitutto, il logo che segnerà tutti gli avvenimenti di quest’Anno. Esso rappresenta una barca, immagine della Chiesa, in navigazione sui flutti. L’albero maestro è una croce che issa le vele le quali, con segni dinamici, realizzano il trigramma di Cristo (IHS). Sullo sfondo delle vele è rappresentato il sole che associato al trigramma, rimanda all’Eucaristia.
2. A partire da questo momento entrerà in funzione il sito che sarà disponibile in versione multilingua e direttamente consultabile all’indirizzo www.annusfidei.va.Il sito è stato progettato in maniera innovativa ed è consultabile da tutti i dispositivi mobili e tablet attraverso la scelta di componenti e tecnologie di nuova concezione. Offre, quindi, l’opportunità di conoscere tutti gli appuntamenti previsti con il Santo Padre e gli eventi di maggior rilievo delle Conferenze Episcopali, delle Diocesi, dei Movimenti e delle Associazioni. Da oggi è fornito in italiano e inglese mentre dai prossimi giorni verrà aggiunta l’edizione in lingua spagnola, francese, tedesca e polacca.
3. È pronto anche l’inno ufficiale dell’Anno della Fede. Credo, Domine, adauge nobis fidem è il ritornello che permane come invocazione al Signore perché abbia ad aumentare in tutti noi la fede, sempre così debole e bisognosa della sua grazia.
4. Nei primi giorni di settembre uscirà nelle diverse lingue il Sussidio pastorale, Vivere l’Anno della Fede, preparato per accompagnare, in primo luogo, la comunità parrocchiale, e quanti vorranno inserirsi nell’intelligenza dei contenuti del Credo.
5. Una piccola immagine del Cristo del Duomo di Cefalù accompagnerà tutti i pellegrini e i credenti nelle varie parti del mondo. Nel retro si trova scritta la Professione di fede. Uno degli obiettivi dell’Anno della fede, infatti, è fare del credo la preghiera quotidiana imparata a memoria, come era consuetudine nei primi secoli del cristianesimo. Secondo le parole di S. Agostino: “Ricevete la formula della fede che è detta Simbolo. E quando l’avete ricevuta imprimetela nel cuore e ripetetevela ogni giorno interiormente. Prima di dormire, prima di uscire, munitevi del vostro Simbolo. Nessuno scrive il Simbolo al solo scopo che sia letto, ma perché sia meditato”.
[…]
Come ha ben scritto Benedetto XVI: “Solo credendo la fede cresce e si rafforza” (Pf 7). Questi eventi a carattere universale intendono essere solo un segno per ripercorrere insieme un tratto di storia che ci accomuna e rende responsabili per il momento che siamo chiamati a vivere. D’altronde, non si crede mai da soli. Il cammino da percorrere è sempre frutto di una vita di relazioni e di esperienza di comunità che permette di cogliere la Chiesa come primo soggetto che crede e che trasmette la fede di sempre. È una tappa di quella storia bimillenaria che “per fede” anche noi siamo chiamati a percorrere.

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GIOVANNI FALCONE … PER NON DIMENTICARE.

«Chi tace e chi piega la testa
muore ogni volta che lo fa,
chi parla e chi cammina a testa alta
muore una volta sola».

Giovanni Falcone




IL VOTO

Secondo me, se va avanti così, va a finire che a votare non ci va piùnessuno. No, dico, è una cosa grave. Grave per chi? Per la gente, no. Per iPartiti, nemmeno, tanto rimane tutto uguale. Lo Stato è lì, bellosolido. E allora perché è grave? Ma se in America, che sono sempre piùavanti di noi, non va a votare quasi nessuno. Che democrazia, eh! Stiamo diventando americani anche in questo. E pensare che nel dopoguerra si picchiavano per andare a votare. Si picchiavano nelle strade, gran passione, nelle piazze, scontri, comizi, bianchi, neri, repubblicani, monarchici, destra, sinistra, tutti alle urne, anche le donne finalmente. Il suffragio universale. Adesso, quella domenica lì, quelli di sinistra vanno a Riccione, quellidi destra vanno in Sardegna… il “naufragio universale”. Ma perché fate le elezioni d’estate, che vince sempre il mare. Il fatto è che la gente non pensa, o forse non sa, che appena gli arriva il certificato elettorale… DLIN!… scatta il suo contributo di lirequattromila che verrà diviso proporzionalmente tra i Partiti. Ma se uno non va a votare, le quattromila lire le paga lo stesso? Certo. Ma come sarebbe a dire? Uno entra in un supermercato, non compra la mostarda perché gli fa schifo, mica gliela fanno pagare. E se gli fanno schifo i partiti? DLIN! Quattromila. Certo che se le quattromila lire invece di farcele pagare ce le dessero, avrebbero risolto il problema dell’affluenza alle urne. D’altronde il voto è un diritto-dovere. Anche questa è bella. Che sia un diritto lo abbiamo capito tutti. Che sia un dovere, ultimamente nonl’ha capito nessuno. Che mestiere strano quello del politico. È l’unico mestiere in cui unodice: «Io sono il più bravo». E se lo dice da sé. E te lo scrive, e telo grida, nelle piazze, nei comizi. «Io sono l’uomo giusto al posto giusto». Complimenti. Quello che mi piace dei politici è la faccia come il culo. Eccoli qua. Verifichiamo gli schieramenti. Ci mettiamo davanti a un tavolo con tutti gli omini e… D’Alema di qua, Berlusconi di qua, belli lontani… per ora. Veltroni vicino a D’Alema, Fini vicino a Berlusconi. Quando si dice ‘vicino’, si fa per dire. Bertinotti a sinistra, più a sinistra, ancora più a sinistra…. Oddio mi è sceso dal tavolo. E adesso come faccio? Prodi… lo mando in Europa. Casini vicino a Berlusconi, più indietro, indietro un casino. Di Pietro da questa parte, anche se andrebbe dall’altra, ma non importa. Maledizione! Cossutta mi sta risalendo sul tavolo. Dini, Dini lo bacio… che diventa un gran figo. Segni… Segni lo butto via. Bossi lo metto su un tavolo a parte, che gioca da solo. La Bonino… la Bonino per ora la tengo qui, in sospeso, poi casomai si fa un referendum. Buttiglione… lo metto di qua e lui salta di là, poi salta di qua, e poi salta di là. Sta’ fermo, Rocco! Che mi rovini il giochino! Macché, saltano tutti, Buttiglione, la Pivetti, Scognamiglio, Masi, anche Mastella è sempre lì che si prepara. Ma sì, ma sì, ma sì, saltatepure. Tanto si sa benissimo che invertendo l’ordine dei fattori il prodotto purtroppo non cambia. E allora come si fa a tacciare di sterile menefreghismo uno che non vota? Potrebbe essere un rifiuto forte e cosciente di ‘questa’ politica. No, perché non è mica facile non andare a votare. Soprattutto non è bello farlo così, a cuor leggero, o addirittura farsene un vanto. C’è dentro il disagio di non appartenere più a niente, di essere diventati totalmente impotenti. C’è dentro il dolore di essere diventati così poveri di ideali, senza più uno slancio, un sogno, una proposta, unafede. È come una specie di resa. Ma al di là di chi vota e di chi non vota, al di là dell’intervento, aldi là del fare o non fare politica, l’importante sarebbe continuare a ‘essere’ politici. Perché in ogni parola, in ogni gesto, in qualsiasi azione normale, in qualsiasi momento della nostra vita, ognuno di noi ha la possibilità di esprimere il suo pensiero di uomo e soprattutto di uomo che vuol vivere con gli uomini. E questo non è un diritto. È un dovere.

Giorgio Gaber




IL RISVEGLIO DELLE COSCIENZE AL RINTOCCO DELLE CAMPANE

Questo titolo mi sembra che riassuma al meglio i contenuti del XXIX Convegno Ecclesiale della Diocesi di Avellino sul tema: “Educazione e nuova evangelizzazione in un mondo che cambia” che si è svolto nei giorni 19 – 20 – 21 aprile 2012, presso l’Istituto d’Arte “P. A. De Luca” di Avellino.
Insieme al nostro Vescovo Mons. Francesco Marino, ha aperto i lavori del convegno Mons. Mariano Crociato Segretario Generale della C.E.I. parlando entusiasticamente all’assemblea numerosa e qualificata, rappresentativa di tutte le forme associative e comunitarie della Chiesa locale.
“È possibile educare alla fede?” è la domanda che nella sua illuminante relazione mons. Crociata ha posto come avvio di una riflessione sulla scelta educativa che i vescovi italiani propongono nel noto documento: “Educare alla vita buona del Vangelo”, contenente gli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020. Compito primario della chiesa, nella duplice veste di evangelizzatrice ed educatrice attraverso tutti i suoi membri sia chierici che laici, è di presentare Cristo, di offrirlo come modello da imitare e riproporre in ogni credente che voglia responsabilmente aderire alla fede cristiana e mantenere le sue promesse di battezzato.
Testimoniare quest’esperienza trasformante dell’incontro con Dio, diventa il centro dell’azione di ogni cristiano che deve fare della chiesa il luogo privilegiato di preghiera e annuncio, affinché venga risvegliato e riconosciuto questo dono del padre che ci rende abili protagonisti per preparare, formare ed accompagnare ogni persona nella sua esperienza di vita, tenendo vivo il ricordo dell’incontro che ha mobilitato tutta la propria vita.Mons. Crociata, a questo scopo, ci esorta ad essere consapevoli di trovarci sempre alla presenza di Dio che, con la sua parola, dà senso a tutto il nostro modo di essere e di agire, di uomini dalla fede adulta.
La fede è un dono di Dio che, fin dalla nascita, è già dentro di noi, fa parte del patrimonio che abbiamo dalla nascita, ma per imparare a riconoscere quello che si ha dentro, c’è bisogno di esplicitarlo attraverso il confronto e lo stimolo dell’altro.
Il bambino, soprattutto, ha bisogno di avere accanto a sè adulti maturi che credono veramente , perché, guardando l’adulto, cercherà di imitarlo, per questo bisogna essere veri ed autentici.
Dalla incompiutezza di questa gradualità nascono tante devianze, dissociazioni, si sfocia nel pessimismo e scetticismo, fino al rifiuto della trascendenza, entrando in un’ottica di autonomia che porta, inevitabilmente, alla solitudine, a situazioni di disumanità che bloccano e spaventano.
Educare vuol dire: costruire comunità, relazioni significative che partono dalla famiglia, ma che coinvolgono tutta la società. Vivere secondo la fede, alla luce della vita buona del Vangelo, significa migliorare l’ambiente e, quindi, la storia.
Credere nella grazia, nella sua potenza crea nuovi metodi per trasmettere la fede, perché hanno già al loro interno tale forza. Continuava Mons. Crociata e conclude: tante sono le realtà che cambiano, che mettono in crisi, che fanno tremare, ma la fede ci deve rendere appassionati per poterle affrontare, restando orientati a Dio, troveremo il modo migliore per abitare da adulti questo mondo.
Il giorno seguente si sono affrontate le tematiche ed elaborato proposte in diversi gruppi di lavoro, esattamente dieci che abbracciano gli ambiti di tutto l’orizzonte ecclesiale quali: l’iniziazione cristiana, l’affettività, la cittadinanza, il lavoro e la festa, la tradizione, le comunità ecclesiali, la società e la vita parrocchiale.
I laboratori sono risultati molto fruttuosi per la vivacità che contraddistingue gli operatori ecclesiali che da veri fratelli si aprono a vecchi e nuovi orizzonti, per offrire modalità concrete, stimoli e consigli, per rendere con rinnovato spirito di servizio l’amore a Dio e al prossimo.
Il nostro vescovo S. E. Mons. Marino nella comunicazione conclusiva del convegno ha raccolto tutte le istanze emerse dalla lettura degli elaborati da parte dei capigruppo ed ha paternamente garantito che il rinnovamento messo a fuoco e auspicato dallo spirito di tutti i presenti, partirà da nuove pastorali diocesane che abbracciano tutti gli ambiti sociali e in particolar modo la famiglia, che non può essere lasciata da sola ad affrontare il disastro antropologico dovuto alla frammentazione globale, alla crisi economica e di valori e alle conseguenti rotture di una memoria cristiana che non ci deve far cadere in sterili nostalgie del passato, ma fortificarci e spingerci verso una nuova evangelizzazione che vedrà impegnati i laici insieme ai parroci nelle famiglie e nei luoghi dove si incontra maggiormente carenza di fede e di vera testimonianza.
Nuovi missionari e nuovi profeti, quindi, che non prescindono dalla formazione permanente, ma più specifica per l’annuncio, presso le sedi diocesane o parrocchiali (evangelizzazione ad intra) ma che arrivano e coprono l’intero territorio, per raggiungere tutti i figli e le figlie di Dio (evangelizzazione ad extra).
Augurando che questo fermo proposito venga sostenuto dallo Spirito Santo, il Vescovo ha invocato su tutta la comunità ecclesiale una nuova Pentecoste che, come fiamma, possa accenderci di speranza, audacia e coraggio, per annunciare liberamente e nella gioia, il Vangelo di Gesù Cristo.
L’ultima giornata del convegno si è conclusa con la celebrazione eucaristica e l’ordinazione di due diaconi.
Fin qui, quasi fedelmente, ho riportato la notizia, ma ora vorrei aggiungere le mie impressioni.
Ho visto una marea di gente; ho visto l’impegno e il desiderio di dare, di ospitare; ho visto tensione, preoccupazione, ma non rassegnazione. Ho rivisto vecchi amici, sempre in prima linea: altri non c’erano. Ho stretto nuove amicizie. Ho cercato di pregare e di cogliere in ogni volto la volontà di essere fratelli, di non giudicare l’altro, ma aiutarlo a non restare ai margini di una storia che si divincola da ogni schema mentale, da ogni pregiudizio, da ogni vizio, per metterci in pausa, in festa, renderci gradualmente migliori.
Insomma, mi è proprio piaciuto.
Grazie allo staff e a quanti hanno collaborato a creare una bella atmosfera di Chiesa in cammino.
Pace e bene.

Eugenia Iannone




MONARCHIA ASSOLUTA

Papa Benedetto XVI

Mi è recentemente capitato di dover aiutare mio figlio (classe quinta elementare) in una ricerca scolastica: oggetto del compito era il significato di monarchia assoluta.
Mi sono subito diretto su Wikipedia, un sito molto utile per chi, avendo poco tempo a disposizione, sia alla ricerca di informazioni sintetiche, schematiche e dotate anche di una discreta attendibilità.
Non mi era ignoto il significato generale di assolutismo monarchico – un tipo di ordinamento istituzionale in base al quale tutto il potere è concentrato nelle mani di una sola persona, il sovrano – né che si trattasse di una forma di governo ormai quasi in disuso, limitata a pochi stati nazionali: non sapevo, però, quali fossero.
Ho così appreso che questi Stati sono sette: il Brunei, l’Oman, il Quatar, l’Arabia Saudita, lo Swaziland, gli Emirati Arabi Uniti e … la Città del Vaticano.
Il Brunei è un sultanato; il sultano è Hassanal Bolkiah, quello che ha la collezione di Ferrari, Bentley e Rolls-Royce; quelle vere, ovviamente, non i modellini. Per non parlare della carta da parati rivestita d’oro e dei diamanti sulla rubinetteria.A capo dello Swaziland c’è il re Mswati III, quello che si sposa circa una volta l’anno scegliendo la sua nuova moglie tra tutte le vergini del suo regno nel corso della cosiddetta “Danza dei giunchi”, nella quale diverse migliaia di adolescenti danzano nei costumi tipici locali – cioè seminude – al suo cospetto: ha 37 anni e pare che attualmente abbia 13 mogli e 25 figli. Il suo è uno dei paesi più poveri del mondo ma lui vive in un lusso sfrenato.
Non mi sono peritato di raccogliere informazioni sugli altri sovrani, tutti compresi fra i dieci uomini più ricchi del mondo: non nutro simpatia per chi ha redditi troppo elevati e, peggio ancora, li ostenta.
Solo mi domando e dico: senza neanche bisogno di scomodare le teorie politiche di Montesquieu o di appellarsi a ecclesiologie conciliariste, non sarebbe opportuno ripensare alla gestione interna del potere nella Chiesa, non fosse altro per non vedere il nostro benedetto papa – che volenti o nolenti ci rappresenta tutti – accomunato a certa gente? Qualche malpensante potrebbe essere indotto a credere che non è molto dissimile…

Pietro Urciuoli




AUGURI




DA “DON” A DONNA

DON ANDREA GALLO

Una riflessione di Don Gallo sulla condizione femminile: a che serve la parità senza liberazione?

Il romanzo di Sibilla Aleramo Una donna, uscito nel 1906, anticipò con grande intuizione il cammino da percorrere per riscattare la dignità femminile. Ma per la donna, in questo periodo buio, che perpetua la morale dominante, assorbita anche dalle forze rivoluzionarie, sono più che mai necessari punti di riferimento saldi e coraggiosi. Alcune parità raggiunte (o concesse?) sono lusinghe, mentre per vivere la vita occorre rinunciare alle sue lusinghe. La donna deve riflettere seriamente sulla “conquista” di una parità con l’uomo. Oggi la donna può desiderare di essere pari a un oppressore, a un erede di un’egemonia ideologica? Le conquiste sociali impongono un cambiamento di mentalità. La lotta è soprattutto nel campo delle idee. La donna deve avere ben chiaro che per il fatto di essere stata per troppo tempo serva e strumento del potere maschile, non ha ancora una “sua” cultura. Nel ricercare l’identità femminile, la donna deve stimolare l’uomo a liberarsi della figura che lui le ha costruito e che si è abituato a cercare. Uomo e donna devono imparare a perdere e a perdersi: devono superare l’educazione storica mistificante che annebbia spesso anche i progetti rivoluzionari. Donna e uomo devono in questo cammino considerarsi in uno stato permanente di rivoluzione, e devono raggiungere la parità in uno scambio di servizio fraterno, che non ostacoli una personale autonomia. La donna non deve fare del sacrificio familiare un culto religioso, non deve lasciarsi usare per essere consolazione di una condizione di vita che non si deve cambiare, o per placare le ansie e le delusioni maschili; deve inventare alternative, anche nel rapporto di coppia. Quali i punti di riferimento per una autentica lotta femminile? Coinvolgersi con le donne più sfruttate, con la donna piegata dalla fatica per la sopravvivenza quotidiana. Si arriva così a capire che la vera uguaglianza altro non è che la conseguenza di un’organizzazione sociale che non deve produrre sfruttati né programmare sfruttatori. La donna, nel tentativo di liberazione personale, libera così anche l’uomo e compie un atto di amore rivoluzionario.

Don Andrea Gallo (da “Se non ora, adesso”)




IL MARTELLO DELLE STREGHE

Caccia alle streghe: istruzioni per l’uso.
Il Malleus maleficarum (Martello delle streghe) venne redatto nel 1486 da due domenicani e divenne il principale “manuale” per la caccia alle streghe. A leggerlo oggi viene la pelle d’oca. Da una parte si pensa: è inconcepibile, assurdo, diabolico. Dall’altra: è storia passata.
Certo, oggi non è più così . Oggi non si manda più nessuno al rogo.
Ma il nostro è anche il mondo in cui ci sono persone che negano l’Olocausto.
Perciò bisogna conoscere il passato, perché, come per gli ebrei e gli zingari e le “streghe”, l’intolleranza, la discriminazione e la violenza si possono ripresentare (e si ripresentano) in forme sempre nuove, più sottili, subdole, raffinate. Meno cruente, certo, ma non per questo meno devastanti.
L’articolo che segue può essere un invito alla riflessione e all’approfondimento personale.
Nella speranza che arrivi presto il giorno in cui le donne vengano considerate per quello che sono: né angeli né streghe, persone.

Maria Urciuoli

Nella valutazione storica del fenomeno costituito dalla caccia alle streghe, che ha investito l’Europa per quasi cinque secoli, è in atto da qualche tempo una tendenza revisionista che punta a ridimensionare le responsabilità della Chiesa, ad abbassare il numero presunto delle vittime, a limare la crudeltà delle procedure adottate nei processi. È esemplificativo, in questo senso, il volume La vera storia dell’inquisizione, di Rino Cammilleri, che si traduce in un incredibile elogio dell’Inquisizione e dei suoi metodi.È pur vero che bisogna ritenere ormai superati certi studi sull’Inquisizione e sulla stregoneria maturati nel clima della polemica anticlericale dell’Ottocento, che parlavano di milioni di morti, di centinaia di migliaia di processi individuali e collettivi, di un accanimento giudiziario sempre e comunque privo di misericordia. Ma neppure è possibile, come ha commentato qualcuno, minimizzare fino al punto di trasformare una “leggenda nera” in “leggenda rosa”.
Chiunque, trovandosi schiacciato tra le due opposte tesi, voglia cercare di cogliere quale si avvicina di più alla realtà, ha a disposizione uno strumento importante per farsi un’opinione propria e di prima mano: l’edizione italiana del Malleus maleficarum, il più famoso e importante manuale inquisitoriale per la caccia alle streghe, opera di due domenicani tedeschi: Jakob Sprenger ed Heinrich Krämer (detto “Institor”), pubblicato per la prima volta nel 1486.
Leggere quelle pagine è come entrare nell’incubo, nel delirio, nella follia assoluta: il diavolo è ovunque, è lui che manovra per rendere sterili gli esseri umani, per fare morire i bambini, per distruggere i raccolti e gli armenti, per provocare malattie e pestilenze. Le strategie diaboliche si concretizzano grazie alle fedeli alleate di Satana: le streghe. È infatti prevalentemente tra le donne che il Maligno fa proseliti: né potrebbe essere altrimenti, visto che per Sprenger e Krämer il termine latino foemina trova la sua autentica etimologia nella contrazione dei vocaboli “fe” e “minus”, ovvero “che hanno minor fede”.
Sterilità, mortalità infantile, carestia, pestilenze sono in realtà i grandi mali dell’epoca, causa ed effetto della povertà. Addebitandone la responsabilità alle streghe, il manuale di Sprenger e Krämer fa delle donne il capro espiatorio di ogni calamità, e contro di loro aizza l’odio della comunità. A rischiare maggiormente la calunnia, la delazione, l’imputazione infamante e mortale sono proprio le donne più anziane, più povere, più sole, più indifese. Basta poco per far nascere un’accusa di stregoneria. Basta, ad esempio, che un bambino muoia e che la madre sconvolta dal dolore ricordi uno sguardo, un’attenzione, una frase rivolta al figlio da una vicina di casa con cui non è in buoni rapporti. O basta che una poveretta viva in disparte, o che non vada abbastanza spesso in chiesa. Le accuse sono spesso anonime, i testimoni a carico restano ignoti all’accusato, nessun avvocato si presta a difendere i presunti rei per paura di essere tacciato di complicità, quando occorre ci sono minacce e inganni per estorcere le confessioni, e se questi non bastano c’è una tortura ben dosata, che può essere reiterata per giorni e giorni a patto che eviti di far morire l’imputato.
È un meccanismo…infernale. All’inquisitore tutto è concesso, anche di giurare solennemente che in caso di confessione renderà salva la vita al reo confesso, salvo, a confessione ottenuta, mandarlo ugualmente a morte. Di trucchi e violenze il Malleus è una vera antologia, come nelle pagine in cui si spiega che le presunte streghe devono essere spogliate e rasate in ogni parte del corpo, anche sul pube, affinché l’inquisitore possa ricercare sui loro corpi il sigillo del patto diabolico, un punto della cute insensibile al dolore, per trovare il quale si punzecchia la malcapitata.
Ma il tratto davvero saliente del Martello delle streghe, questo il titolo italiano del Malleus, è un altro: l’assoluta misoginia, il disprezzo e l’odio nei confronti delle donne. Un odio chiaramente patologico, tant’è che la traduzione italiana del Malleus reperibile in libreria è quella proposta per la prima volta nel 1977 dall’editore Marsilio, con prefazione dello psichiatra Armando Verdiglione, come testo esemplificativo della psicopatologia sessuale.
Difficile dar torto al professor Verdiglione: basterebbe citare il brano in cui si descrivono i differenti modi in cui le streghe si accoppiano con il diavolo, con la minuziosa analisi sulle caratteristiche fisiche del seme diabolico; o quello in cui si spiega come le streghe riescono a portar via agli uomini il loro membro virile, per poi farne una…raccolta che conservano in uno scrigno o, chissà perché, nei nidi degli uccelli sugli alberi. O ancora si potrebbe ricordare il brano in cui si raccomanda all’inquisitore di ricercare sul corpo dell’imputata un amuleto diabolico, verificando che esso non sia celato nei luoghi “più segreti e innominabili”. O un altro, in cui si consiglia di cercare di far piangere la strega, poiché “secondo quanto riferiscono antichi racconti degnissimi di fede” le streghe non possono versare lacrime, e il motivo di questo mistero viene rintracciato in un detto per il quale un’umile lacrima penetra il cielo e sconfigge il demonio.
Oggi si potrebbe ridere di questa raccolta di farneticazioni, mix di vecchie leggende popolari, superstizioni, ingenuità e fandonie di ogni specie messe in fila in veste di trattato “scientifico” organico. Si potrebbe riderne se non fosse che il Malleus ha avuto una diffusione sconosciuta ad altri manuali inquisitoriali precedenti, ad esempio quello di Bernard Gui sull’inquisizione degli eretici. Fatto è che il Malleus ha visto la luce negli anni dell’invenzione della stampa, e ciò gli ha assicurato numerose edizioni, e nei secoli successivi non poche ristampe. Il suo influsso nella persecuzione delle presunte streghe è stato dunque decisivo, tanto quanto la sua enorme notorietà. Bisogna inoltre aggiungere che il Malleus ebbe come viatico, come autorevole “raccomandazione”, una bolla papale: la Summis desiderantes affectibus, promulgata il 5 dicembre 1484 da Innocenzo VIII, con cui si accreditava la tesi di un’umanità ovunque assediata da Satana e dalle ignobili magie delle streghe, e si dava carta bianca agli stessi Sprenger e Krämer per inquisire gli alleati del diavolo nelle terre di lingua tedesca, ordinando alle autorità ecclesiali e civili di quei luoghi di proteggere i due inquisitori e collaborare con loro. Il Malleus, perciò, nacque con una patente pontificia di autorevolezza che nessun altro libro del genere ebbe né prima né dopo.
Tuttavia va chiarito che il Malleus, di per sé, non è l’unico responsabile della follia della caccia alle streghe. L’opera di Krämer e Sprenger è il prodotto maturo di un meccanismo che si era messo in moto circa tre secoli prima, con la caccia all’eretico, per consumare la quale con più efficacia era stata creata la prima Inquisizione. Non è un caso che, per affidare al braccio dell’Inquisizione la caccia alle streghe, si rese necessario assimilare teologicamente e giuridicamente il reato di stregoneria a quello di eresia.
Originariamente tutto si inquadra dunque, tanto nella caccia all’eretico quanto in quella alle streghe, in una volontà di controllare le coscienze, di assicurare l’ortodossia delle masse con qualsiasi mezzo. La tesi principale degli odierni difensori dell’Inquisizione è proprio questa: nei secoli del Medio Evo l’unità culturale dell’Europa è stata assicurata dal collante della religione cristiana; difendere e diffondere l’ortodossia, anche a caro prezzo, era l’unico modo per plasmare una civiltà europea. La cristianizzazione dell’Europa in quell’epoca non era poi così scontata: soprattutto nelle campagne, che guarda caso fornì l’humus della caccia alle streghe e delle leggende sul sabba, la fede cristiana era spesso epidermica, e talvolta conviveva con i residui di credenze magiche e di antichi culti.
Rispetto alla caccia all’eretico, però, la caccia alle streghe sembra aver oltrepassato il fine originario del controllo dell’ortodossia: per una serie di concause il meccanismo sfuggì di mano e diventò “epidemico”, non più nemmeno cattolico. La Riforma di Lutero, infatti, rigettò ogni cosa del cattolicesimo tranne la caccia alle streghe, che nei paesi protestanti continuò a mietere vittime più che nella stessa area cattolica, anche se lì l’Inquisizione non arrivava più. La stessa America puritana conobbe i suoi episodi, celebre quello delle “streghe” di Salem.
Tutti questi parametri vanno tenuti in conto nel considerare il fenomeno della caccia alle streghe e la natura del Malleus. Un fenomeno che per certi versi resta ancora inspiegabile alla luce delle sue dimensioni e della sua durata, e perciò un fenomeno da soppesare con cautela: senza farsi prendere la mano dalla “leggenda nera” dell’Inquisizione, ma anche senza farsi guidare dalla voglia di cancellare responsabilità incancellabili, per le quali lo stesso Giovanni Paolo II, a nome della Chiesa, non ha esitato a chiedere pubblicamente scusa all’umanità durante il Giubileo del Duemila.

Andrea De Pascalis




LUCIO DALLA: “FRANCESCO FAMMI VOLARE”

Lucio Dalla

Mi svegliai che era appena l’alba ed ero in una cella del convento di Assisi, pronto per andare alla messa, ed erano quasi le 6.00 quando arrivai nella cappella dove un padre officiava. Mi accorsi che il sonno era più denso del previsto e tutt’altro che finito, tant’è vero che appena cominciata la messa, caddi in un torpore anomalo e diverso dal classico rintronamento mattutino. Così che ricominciai a sognare. Questo nuovo sogno si ricollegava al precedente, mano a mano che proseguiva mi rendevo conto che era come il secondo tempo del primo sogno, ed ebbi la sensazione netta, e questa volta più precisa, che il sogno era Francesco. Francesco bambino, ragazzo e vecchio, tutti insieme. Diverso da come lo volevano tutti, madre, padre, amici. Diverso da come lo volevano tutti ma non diverso da come lo voleva Dio. Io incredulo mi avvicinavo e dicevo: “Ma sei proprio tu?” e lui, a mezzo sorriso, con l’aria di sfida che si ha nei confronti degli increduli, mi disse, indicando il saio: “Tocca” e in quel momento, appena ebbi tra le dita il tessuto del Santo, sentii l’odore del fieno tagliato, mi sembrò di essere in mezzo ad un campo di grano.Ritrassi la mano come da una fiamma o comunque da una scottatura, e mi sembrò che l’aria si scaldasse e dall’aria uscisse come un suono di battere d’ali che puoi sentire nelle piazze d’Italia o comunque nei paesi dove i colombi planano sui turisti. Fu proprio quel suono a rassicurarmi che Francesco era davvero Francesco, che la piazza era una delle tante piazze che normalmente si visitano la domenica e che io ero contento di essere lì. Senza alcun timore chiesi: “Cosa vuoi da me?” e lui, senza l’aria di voler correggermi e forse anche un po’ divertito, rispose: “Cosa vuoi tu da me? Tu mi conosci ed io conosco te” e io, un po’ ruffiano, un po’ per compiacerlo e un poco per i suoi piedi sporchi di terra e di fango che spuntavano dal saio, gli dissi, chiedendolo: “Camminiamo?”. E cominciammo a girare sfiorando i muri della piccola chiesetta dove l’altro frate diceva messa e fu un parlare silenzioso se non addirittura muto, se non per le risposte che Francesco dava all’altro padre mentre officiava come un qualsiasi chierichetto di una parrocchia di campagna intorno agli anni ‘30, comunque tra le due guerre mondiali.
Era curioso come le parole mi uscissero dalla bocca completamente mute e statiche, sembravano una fila di uova di gallina di un ordinato pollaio del Nord. Ma il mio cuore era un vulcano, i pensieri uscivano come lava e avevo la sensazione che fossero esattamente il contrario delle parole che li rivestivano. Francesco al mio fianco, mentre passava tra i banchi della chiesetta, con la stoffa del saio, li lucidava, li puliva, li ordinava in fila, come una qualsiasi servetta friulana faceva tutte le mattine nella casa dove lavorava. Passò anche davanti a una curiosa acquasantiera, che non era altro che una mano di pietra che nell’incavo teneva solo due o tre gocce d’acqua, e questa volta più decisamente mi sorrise dicendo: “Questo è un fiume, anche se fuori ci sono i fulmini”. Non mi azzardai neanche a chiedergli la spiegazione di quello che mi aveva detto. Gli dissi solamente: “Anch’io” e lui rispose semplicemente: “Lo so”. Questo breve dialogo, fatto durante la messa alla quale partecipavo, mi causò un momentaneo senso di colpa, come se stessi disturbando la funzione, e che io fossi ancora bambino in collegio e l’assistente come al solito dicesse: “Sei il peggio di tutti” e io gli rispondessi con orgoglio: “Lo so” e lui, come se avesse fatto un tredici al totocalcio, al massimo del piacere, mi dicesse col dito puntato verso la porta: “Fuori!” Questo strano senso di colpa mi ha sempre seguito come un qualcosa di inadattabile al misticismo obbligato, un poco coatto, delle chiese, da San Pietro all’ultima chiesaccia del Bronx, mentre all’aperto mi sentivo vicino a Dio come una zolla vicino all’albero, o nella terrazza di casa mia di notte, sotto un cielo stellato mi perdo ancora oggi dentro una di quelle stelle.
Francesco ritrasse la mano dall’acquasantiera, mi guardò e mi disse che anche per lui era sempre stato così, che Dio è dappertutto, negli alberi, nelle piante, nei fischi lontani dei treni, nel filo spinato, nei denti e nelle bocche che sorridono come nelle lacrime degli occhi che piangono, per non parlare negli animali, perfino nel pallone quando entra nella porta e fa goal, e che forse, qualche volta, a Gesù in ritardo, è capitato di saltare una delle grandi chiese addobbate e di aver continuato a pregare suo Padre per strada in mezzo al traffico. Il suono della ‘R’ nella parola ‘traffico’ mi svegliò improvvisamente, ma mi svegliai con una grande stanchezza alle ali, come un passero che ha sbattuto contro l’inferriata della sua gabbietta. Mi resi conto che, per quanto meravigliosa e calda la chiesetta dove si svolgeva la funzione, quella strana atmosfera di dolce inconveniente che sentivo durante il sogno era finita e che il vero tempio, la vera casa di Dio, è la nostra anima, anche quella più buia o più difficile da raggiungere, e che Francesco siamo noi al momento della speranza, quando siamo in attesa e confusi e lo sono soprattutto i nostri sensi e, in un mondo come quello che ci circonda, la nostra pace. E mentre pensavo e sentivo questo e il frate a conclusione della messa diceva: “La pace sia con voi” io gli risposi: “Francesco, fammi volare!”.

Lucio Dalla

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