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CINEMA E RISORGIMENTO

Le proposte del Cinecircolo RiCreaAzione per festeggiare i 150 anni dell’Unità d’Italia.

1860 – I Mille di Garibaldi di Alessandro Blasetti 1934 Siamo nella Sicilia dei Borboni, all’indomani della rivolta di Palermo soffocata nel sangue dei giustiziati della Gancia. Francesco II di Borbone e Sofia di Baviera, regnanti delle Due Sicilie, oppongono al crescente odio del popolo reggimenti mercenari stranieri. In una gola montana alcuni picciotti siciliani si nascondono. A uno di loro, Carmeliddu, viene affidata una delicata missione: avvisare i patrioti genovesi che i picciotti siciliani sono pronti in attesa di Garibaldi. Carmeliddu deve lasciare la donna che ama Gesuzza e partire. Dopo una difficile traversata verso Civitavecchia e quindi Genova durante la quale Carmeliddu ha modo di conoscere le diverse posizioni degli italiani, arrivato a Genova dopo un momento di incertezza viene a sapere che Garibaldi parte alla volta di Sicilia dove si scontrerà con le truppe borboniche a Calatafimi.
Piccolo mondo antico di Mario Soldati 1941
Nella prima metà del secolo XIX in alta Italia il giovane rampollo di una nobile famiglia sposa, contro il volere della dispotica ava, la nipote di un modesto impiegato. La vita dei due coniugi è amareggiata dalla ostilità della nobile e arcigna signora la quale, non contenta di aver cacciato di casa suo nipote e di averlo diseredato, fa destituire dal Governo Austriaco il sostenitore della famigliola, che è appunto il modesto impiegato statale. Intanto il giovane sposo si associa ai movimenti rivoluzionari che serpeggiavano in Italia. Durante una sua assenza la bimbetta che è venuta ad allietare il matrimonio, per una fatale imprudenza, perde la vita. La mamma si chiude in un dolore senza speranza. Soltanto quando il marito parte volontario per la guerra di Crimea, ritrova una ragione per ritornare ai suoi doveri di moglie. La arcigna vecchia, che è stata sconvolta dalla morte della bimba, si decide a riconoscere i propri torti e restituisce al nipote il patrimonio estortogli.

Un garibaldino in convento di Vittorio De Sica 1942
Agli albori del Risorgimento, un giovane garibaldino, ferito durante uno scontro con alcuni gendarmi, si rifugia in un collegio femminile, dove viene assistito da due allieve, Mariella e Caterinetta. La seconda apprende con stupore che il giovane è il fidanzato della compagna. Vittorio De Sica, alla sua quarta regia, si conferma estremamente abile nel dirigere gli attori e nel conferire al film un tono leggero e disincantato. All’epoca era difficile, comunque, intuire la sua imminente svolta neorealista.

Il brigante di Tacca del lupo di Pietro Germi  1952
1863: i bersaglieri del capitano Giordani devono liberare una zona della Lucania dai briganti di Raffa Raffa, fedeli ai Borboni. Il capitano è per i metodi spicci, il commissario Siceli predilige l’astuzia. Da un racconto di Riccardo Bacchelli, sceneggiato dal regista con F. Fellini, T. Pinelli e F. Tozzi. Moralista influenzato da Ford, Germi ha fatto un western militare di robusto impianto narrativo dove Nazzari campeggia come il monumento di sé stesso. La contrapposizione complementare tra A. Nazzari/soldato blu nordista e il commissario sudista e volpone è da sola una piccola lezione di storia.

Senso di Luchino Visconti 1954
Da un racconto (1883) di Camillo Boito: sullo sfondo della guerra italo-austriaca del 1866 una contessa veneta tradisce, per amore di un vile ufficiale austriaco, la causa della liberazione nazionale. Uno dei capolavori di L. Visconti che vi riesce a conciliare visione critica della storia e gusto del melodramma, passione estetica e chiarezza razionale, Verdi e Bruckner, innata vocazione decadentistica e ideali progressisti. Al di là di alcune forzature ideologiche e psicologiche, scandito da un’ammirevole coesione cromatica e scenografica (fotografia di G.R. Aldo, che morì durante le riprese e vinse un Nastro d’argento postumo, e R. Krasker), è un dramma di lussuria e di morte che si sviluppa con l’implacabile necessità di una tragedia romantica che trova nell’epilogo l’impietosa sconfessione del proprio romanticismo.

La grande guerra di Mario Monicelli 1959
Durante la Prima Guerra mondiale vengono arruolati due soldati, Oreste Jacovacci, romano pigro e truffatore, e Giovanni Busacca, un “lumbard” ante litteram, ladro e fanfarone. Strana coppia di amici-nemici, i due vigliacchissimi soldati al fronte, nella terribile realtà delle trincee, tra morte, prostitute e aneddoti grotteschi si adoperano come possono per cercare di salvare la pelle.

Viva L’Italia di Roberto Rossellini 1960
La spedizione dei Mille del 1860 guidata da Garibaldi, dallo scoglio di Quarto (5 maggio), sino all’incontro di Teano (26 ottobre) con re Vittorio Emanuele II. Pur con alti e bassi di stile e di tono, nonostante i compromessi storico-ideologici di sceneggiatura, il film raggiunge i suoi scopi: togliere l’epopea garibaldina dal mito e dall’oleografia (con un Garibaldi miope e reumatico, ridotto alla sua misura domestica: Ricci con la voce di Emilio Cigoli) e dare alla rievocazione storica la spoglia concretezza di una cronaca. Il tono cresce nell’ultima parte col mirabile inciso alla corte di Napoli, l’incontro di Teano, la partenza per Caprera: momenti in cui verità storica e umana coincidono in poesia.

Il Gattopardo Luchino Visconti 1963
Dal romanzo postumo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: mentre nel 1860 Garibaldi e le sue camicie rosse avanzano in Sicilia, Tancredi, nipote del principe don Fabrizio di Salina, si arruola volontario e si fidanza, col consenso dello zio, con Angelica, figlia di un nuovo ricco. Dopo essere andato, come tutti gli anni, nella sua villa di campagna a Donnafugata, il principe dà un ballo nel suo palazzo di Palermo dove l’aristocrazia festeggia la scongiurata rivoluzione. Splendida e fastosa illustrazione del passaggio della Sicilia dai Borboni ai sabaudi e della conciliazione tra due mondi affinché “tutto cambi perché nulla cambi”, è un film sostenuto dalla pietà per un passato irripetibile che ha il suo culmine nel ballo, lunga sequenza che richiese 36 giorni di riprese.

Bronte: Cronaca di un massacro. Florestano Vancini del 1972
Sicilia, 1860. Mentre, in attesa di Garibaldi, l’avvocato liberale Nicola Lombardo progetta una riforma agraria, scoppia a Bronte (Catania) una violenta rivolta popolare. Il generale Nino Bixio fa arrestare 150 rivoltosi e, per dare l’esempio, fa fucilare i 5 maggiori indiziati. Ispirato a Libertà, novella poco nota di G. Verga, basato su documenti d’epoca, scritto con N. Badalucco, F. Carpi e Leonardo Sciascia. F. Vancini affronta l’argomento con serietà e impegno, espone i fatti con secca, implacabile precisione e raggiunge in alcuni momenti un dolente afflato epico. Lucida lezione di controinformazione storica, duramente attaccato da destra (“parlava male di Garibaldi”), ma anche da sinistra perché troppo riformista (?), suscitò un ampio dibattito tra storici, intellettuali, politici. Girato nell’estate 1970 in Iugoslavia e prodotto anche dalla RAI in un’edizione televisiva di 3 puntate (165´), mai messa in onda. Distribuito in una versione filmica di 110´ cui seguì nel 2001 quella di 126´ restaurata.

In nome del Papa re di Luigi Magni 1977
Una contessa, madre di un rivoluzionario accusato con due amici di aver compiuto un attentato in una caserma, si rivolge a un giudice della Sacra Consulta perché la aiuti, ma il Monsignore scopre di essere il padre dell’arrestato. Una parte di verità storica c’è, la fantasia e la bravura di Manfredi hanno fatto il resto e il sodalizio Magni-Manfredi ha funzionato ancora.

L’eroe dei due mondi di Guido Manuli (film di animazione)1995
Una tempesta fa naufragare in una caletta di un’isola Piccolo, il figlio del comandante di un battello da pesca, ed il cagnolino Spazzola. Deciso a ritrovare il padre e i due fratelli maggiori, sicuro com’è che venti e mare li abbiano fatti naufragare sulle stesse coste, Piccolo incontra un uomo di età molto avanzata il quale indossa un poncho e un grande cappello di paglia. L’isola è quella di Caprera e il vegliardo, che vive in solitudine attorniato da quattro animali (il cavallo Quarto, il gattone Radetzky, la bizzosa capra Caprera e Piemonte, un pappagallo brasiliano), racconta di aver conosciuto Garibaldi. Nelle 24 ore necessarie per ritrovare i suoi cari, il bambino ascolta le parole semplici del vegliardo, che per lui riepiloga le vicende della storia d’Italia, contesa fra le grandi Potenze Europee. Poi le avventure del giovane eroe nato a Nizza quando andò in Brasile; la conoscenza di Anita, in seguito divenuta sua sposa; il trasferimento dei due in continente al momento delle vicissitudini della neonata Repubblica Romana; la morte di Anita nelle paludi di Ravenna; la spedizione dei mille garibaldini in Sicilia e, infine, i precedenti, gli Uomini e gli eventi dell’Italia e dell’unità del paese. L’ingenuo, ma attento Piccolo apprende infine stupito dal padre, ritrovato con i fratelli in salvo sulle coste dell’isola, che il vecchio ed amabile narratore è proprio Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei Due Mondi, che saluta i suoi ospiti in partenza, restando solo con gli amici animali a vegliare sulla Patria al di là del mare.

I Viceré di Roberto Faenza del 2007
Il racconto inizia a metà Ottocento, nel corso degli ultimi anni della dominazione borbonica in Sicilia, alla vigilia della nascita dello stato italiano. Protagonista è la famiglia Uzeda, discendente dei Viceré di Spagna. Attraverso gli occhi di un ragazzino, Consalvo, l’ultimo erede degli Uzeda, si svelano i misteri, gli intrighi, le complesse personalità degli appartenenti alla famiglia, tutti dominati da grandi ossessioni e passioni. In lotta l’uno con l’altro, gli Uzeda si combattono per l’eredità della principessa Teresa e per i desideri contrastanti di ognuno.
Consalvo cresce così in una famiglia in perpetua guerra. E’ confortato nei suoi primi anni dall’amore della madre, condannata a morte prematura, e dall’affetto della sorellina, complice di ogni ventura. Ma si trova in conflitto, sin da bambino, con un padre superstizioso e tirannico, il principe Giacomo, più interessato al patrimonio di famiglia che all’amore per i propri cari, pronto a lasciar morire la moglie e a risposarsi poco dopo con una cugina.

Noi credevamo di Mario Martone del 2010
Tre ragazzi del sud (Domenico, Angelo e Salvatore) reagiscono alla pesante repressione borbonica     dei moti del 1828 che ha coinvolto le loro famiglie affiliandosi alla Giovane Italia.
Attraverso quattro episodi che li vedono a vario titolo coinvolti vengono ripercorse alcune vicende del processo che ha portato all’Unità d’Italia.
A partire dall’arrivo nel circolo di Cristina Belgioioso a Parigi e al fallimento del tentativo di uccidere Carlo Alberto nonché all’insuccesso dei moti savoiardi del 1834.
Questi eventi porteranno i tre a dividersi. Angelo e Domenico, di origine nobiliare, sceglieranno un percorso diverso da quello di Salvatore, popolano che verrà addirittura accusato da Angelo (ormai votato all’azione violenta ed esemplare) di essere un traditore della causa. Sarà con lo sguardo di Domenico che osserveremo gli esiti di quel processo storico che chiamiamo Risorgimento.




150 ANNI: IMPARIAMO A DIRE “NOI”

Canzone dell’appartenenza
(Giorgio Gaber)

L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un’apparente aggregazione
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé. Uomini
uomini del mio passato
che avete la misura del dovere
e il senso collettivo dell’amore
io non pretendo di sembrarvi amico
mi piace immaginare
la forza di un culto così antico
e questa strada non sarebbe disperata
se in ogni uomo ci fosse un po’ della mia vita
ma piano piano il mio destino
é andare sempre più verso me stesso
e non trovar nessuno.L’appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza
è assai di più della salvezza personale
è la speranza di ogni uomo che sta male
e non gli basta esser civile.
E’ quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa
che in sé travolge ogni egoismo personale
con quell’aria più vitale che è davvero contagiosa.
Uomini
uomini del mio presente
non mi consola l’abitudine
a questa mia forzata solitudine
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto un luogo un posto più sincero
dove magari un giorno molto presto
io finalmente possa dire questo è il mio posto
dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo.
L’appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un’apparente aggregazione
l’appartenenza
è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza
è un’esigenza che si avverte a poco a poco
si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo
è quella forza che prepara al grande salto decisivo
che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti
in cui ti senti ancora vivo.
Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi.




AAA CERCASI … Ancora sulla festa della donna

Una canzone di oggi e una  di ieri, scopri le differenze!

AAA Cercasi

Cercasi avvenente signorina ben fornita intraprendente,
giovane brillante,
ma più di ogni altra cosa dolce e consenziente

Cercasi apprendista,

virtuoso onesto imprenditore garantista
offre a donzelle in carriera un opportunità di ascesa inaudita
donna giovane illibata – AAA Cercasi
donna usata già rodata – AAA Cercasi
donna sicula o padana, oriunda, clandestina

Vediamo come balli a suon di samba o cha cha cha
a colpo d’occhio sei portata e molto telegenica
ma forse ti interessa più la musica…

Cercasi badante
un ottantenne miliardario affascinante
offre a cagne di strada un’opportunità di vita più “agiuata”

Donna impenitente e ladra – AAA Cercasi
donna santa e incensurata – AAA Cercasi
deceduta il giorno prima, basta che sia bona
Come baceresti se dovessi fare cinema
scena prima ciak motore azione poi si gira,
o forse ti interessa la politica?…

Ministro degli affari a luci rosse o di cosmetica
al giorno d’oggi tra i due sessi non vi è differenza
il Bel Paese premia chi più merita

Come canteresti “Anima mia” o “Finché la barca va”?
Al primo ascolto sembri assai portata per la lirica
o forse ti interessa l’astrofisica?…

Carmen Consoli

La fata

(Edoardo Bennato : da Burattino senza fili – 1977)

C’è solo un fiore in quella stanza

e tu ti muovi con pazienza
la medicina è amara ma
tu già lo sai che la berrà

Se non si arrende tu lo tenti
e sciogli il nodo dei tuoi fianchi
che quel vestito scopre già
chi coglie il fiore impazzirà

Farà per te qualunque cosa
e tu sorella e madre e sposa
e tu regina o fata, tu
non puoi pretendere di più

E forse è per vendetta
e forse è per paura
o solo per pazzia
ma da sempre
tu sei quella che paga di più
se vuoi volare ti tirano giù
e se comincia la caccia alla streghe
la strega sei tu

E insegui sogni da bambina
e chiedi amore e sei sincera
non fai magie né trucchi, ma
nessuno ormai ci crederà

C’è chi ti urla che sei bella
che sei una fata, sei una stella
poi ti fa schiava, però no
chiamarlo amore non si può

C’è chi ti esalta, chi ti adula
c’è chi ti espone anche in vetrina
si dice amore, però no
chiamarlo amore non si può




8 Marzo 2011 SE NON ORA, QUANDO?

Con la manifestazione del 13 febbraio le donne hanno portato in piazza se stesse, le loro storie, la forza della loro presenza nella società.
Hanno riempito le strade di donne reali, quelle che studiano e lavorano e quelle che si prendono cura degli affetti e della crescita, in famiglia.
Le donne che non compaiono sui giornali, in televisione, sono scese in massa a capovolgere luoghi comuni che non corrispondono alla realtà.
Le donne in Italia sono il 60% dei laureati, il 33% del totale dei ricercatori, meglio che in Europa, ferma al 29%.
Le donne sono il 42% dei magistrati, il 32% dei medici, il 39% degli avvocati, come le loro colleghe europee, a riprova che dove vale il merito, esse si fanno strada,
E ancora, le donne che lavorano in fabbrica, nel sociale, nei servizi, nella scuola, al Nord e al Centro sono il 75%. Solo al Sud il tasso di occupazione delle donne è bassissimo, ma è tutto il Sud ad essere stato abbandonato a se stesso, con conseguenze pesanti sull’occupazione, sia per le donne che per gli uomini e con uno spreco drammatico di risorse giovanili.
In Italia solo in politica e nei cda delle grandi aziende, dove c’è cooptazione, cioè le donne sono scelte da uomini potenti, la presenza delle donne scende vertiginosamente rispetto al resto d’Europa.
Paradossalmente, proprio la politica che dovrebbe rappresentare il paese reale ne è colpevolmente lontana, e quel che è peggio proietta sull’intero paese una immagine minoritaria e poco autorevole delle donne.
Questo 8 marzo acquista un senso nuovo proprio da questa esplosione di realtà, vero antidoto ad un immaginario femminile vecchio e fuori corso, offerto da televisioni e media come unico modello. Un modello che offende tutti, le donne e soprattutto gli uomini.
Dai luoghi della “minorità” in cui le si vorrebbero confinate, le donne sono uscite come un fiume in piena e si sono mostrate quali sono: creative, libere, colte, responsabili, capaci di pensare e proporre un mondo altro, un mondo buono per le donne e per gli uomini.
Esse pensano ad un paese che non abbia al suo centro solo il danaro ed il mercato, ma che sappia tener conto dei bisogni della vita, della sua qualità e dei diritti che la proteggono.
E allora salta agli occhi quanta retorica si fa in Italia sulla famiglia, sul valore dell’educazione della famiglia e quanto poco, invece, si fa per essa e per le donne, sulle quali ricade la totalità del lavoro di cura.
Che ricaduta avranno sulla famiglia e sulle donne gli ultimi provvedimenti di questo governo?
– Taglio dei fondi per le politiche sociali.
– Taglio dei fondi per le politiche per la famiglia.
– L’azzeramento del fondo per gli asili nido.
– Mancato finanziamento della imprenditoria femminile che ha avuto successo al Sud e in modo particolare in Irpinia.
– Cancellazione della legge approvata dal governo Prodi per impedire le dimissioni per le giovani donne lavoratrici in caso di gravidanza.
– Cancellazione del fondo antiviolenza sulle donne.
Per questo
– Pensando ad una idea di futuro diversa sia per gli uomini che per le donne
– Pensando al doppio si delle donne al lavoro e alla maternità
Questo 8 marzo non chiediamo nulla.
Ma, partendo dalla nostra esperienza, della quale ci fidiamo perché legata alla vita e ai nostri saperi, diciamo che:
– Non ci piace il welfare inteso solo come assistenza e non come sostegno allo sviluppo e alla valorizzazione dei diritti di cittadinanza, come ci dice l’Europa.
– Non ci piace l’attuale organizzazione dei tempi di lavoro, in cui è assolutamente ininfluente il punto di vista delle donne.
– Non ci piacciono i contratti che costringono le donne a licenziarsi, in caso di maternità.
– Non ci piacciono “gli assegni familiari”, concessi solo a chi è sposato o lavora, relegando nella povertà le donne ei bambini non protetti.
– Non ci piace che, nelle statistiche, le donne che si occupano del lavoro di cura siano considerate “inattive”.
– Non ci piace, oggi, la maternità punita.
In Italia il tasso di natalità è il più basso d’Europa: 1,4 figlio per donna.
Il 27% delle donne è indotta a lasciare il lavoro dopo il primo figlio.
– Non ci piace che in Campania 70 donne su 100 stiano ferme, a casa e non per scelta.
– Non ci piace un Sud senza progetti, pensato come marginale e improduttivo. Se c’è sviluppo, si creano opportunità di lavoro per tutti: donne e uomini.
– Non ci piace una televisione chiassosa e stordente, falsamente gioiosa, che propone un modello femminile stereotipato e noiosamente ripetuto.
Questo 8 marzo le donne vogliono prendere nelle loro mani la loro vita e quella del loro paese.
Perché questo, così come è, non è un paese per donne
Né un paese per uomini
Né un paese per bambini
Né un paese per vecchi

Centrodonna Avellino

centrodonna.av@libero.it




THE ARCORE’S NIGHTS

… Anche se c’è veramente poco da ridere … ogni tanto bisogna anche sdrammatizzare!!!




… E I FRANCESCANI STANNO A GUARDARE!!!

Sul numero n. 12 di Adista-notizie del 19 febbraio 2011 è pubblicato un interessante articolo nel quale sono riportate le voci di protesta di numerosi parroci di fronte allo scempio delle pubbliche istituzioni che sta avvenendo in Italia e al silenzio assordante dei vertici della Chiesa cattolica.
Allego di seguito l’articolo in questione e per brevità rimando i lettori interessati a pezzi simili circolanti in rete in questi giorni; ad esempio, un articolo pubblicato su la Repubblica del 23 febbraio nel quale vengono riportati passi di analogo tenore tratti da giornali diocesani di tutta Italia.
Mi pongo, però, e pongo a voi, alcune domande: in tutto questo i francescani dove sono? L’Ordine dei Frati Minori non dice nulla? E l’OFS d’Italia neanche?
I nostri vertici, ormai si è capito, non ci sollecitano al dialogo, di certe cose si preferisce non parlare; ma possiamo provare a responsabilizzarci da soli…
Pietro

LA CHIESA CHE SOFFRE E LA CHIESA CHE “S’OFFRE”.
ANCORA APPELLI A BAGNASCO DA PARROCI E PRETI

35988. ROMA-ADISTA. Non è solo una questione di scollamento tra “pastori” e popolo di Dio: la novità che il Ruby gate sta portando alla luce è che qualcosa si sta incrinando all’interno dello stesso rapporto tra la gerarchia cattolica ed il clero impegnato nelle diocesi. Si fanno infatti espliciti, tra i preti e i parroci, disagi e dissensi sinora non manifestati pubblicamente, o almeno non in modo così diffuso e con toni così aspri come sta avvenendo nelle ultime settimane. Basta scorrere gli interventi pubblicati sul precedente numero di Adista (v. Adista n. 10/11) o gli interventi che si moltiplicano sulle pagine della stampa cattolica, istituzionale e no.Certo, c’è ancora chi (e non sono pochi), tra i preti come tra i credenti, continua a riconoscersi nel blocco sociale e culturale che sostiene la politica del centrodestra e si identifica nella leadership di Berlusconi. Ma allo stesso tempo si approfondisce il solco che separa i diplomatici silenzi e le misurate parole con cui Vaticano e Cei prendono prudenti distanze da Berlusconi, da quanti, nella base ecclesiale, si dicono scandalizzati tanto dal comportamento del presidente del Consiglio quanto dalla “copertura” (implicita od esplicita) che sinora gli è stata garantita dai vertici della Chiesa. Voci a cui si aggiungono quelle di altri parroci e preti che hanno scritto ad Adista, e che pubblichiamo qui di seguito. (valerio gigante)Don Francesco Pasetto – parroco della chiesa dei ss. Vito e Modesto a Lonnano, Pratovecchio (Ar):
«L’impressione sta diventando sempre più nitida: in Italia i cristiani investiti di qualche potere, ai potenti tutto perdonano mentre ai poveracci niente risparmiano.
Casi Eluana e Welby: onorevoli del partito al governo e monsignori di Santa Romana Chiesa si strappano le vesti a “tutela della persona”. Senza distinguere fra “eutanasia attiva” ed “eutanasia passiva” o “indiretta”, vanno giù impietosamente, parlando di “barbarie”, di “assassinio”, di spregio della vita.
La Curia romana nel 2006 è arrivata a negare le esequie religiose a Piergiorgio Welby; mentre nel luglio 2009, quando l’Agenzia Italiana del Farmaco ha autorizzato l’impiego della pillola RU486, il presidente della Cei si è detto “amareggiato, triste, preoccupato”, condannando l’atto come segno di “deriva” o “crepa della civiltà”. Contemporaneamente, però, di fronte a episodi pubblici di mercificazione della donna, di sfruttamento della prostituzione persino minorile, di orge erotiche organizzate per divertire il capo, di pratica del “fottere senza amore” esaltata come espressione di virilità e di modernità, Sua Eminenza si è mostrato diplomaticamente equilibrato, pacatamente cauto. Già un alto prelato del Vaticano, non Lele Mora, aveva cercato, con una sottile interpretazione della “legge”, il modo per favorire il presidente del Consiglio, sostenendo la possibilità di tenere insieme “comunione con il Corpo di Gesù” e negazione sistematica dell’“agape”.
In questa situazione, per molti cristiani la domanda più urgente e inquietante è divenuta questa: come restituire alla nostra amata Chiesa la forza profetica necessaria a gridare dai tetti con il Battista “Non ti è lecito…!” e, con il Maestro, “Guai a voi ricchi…, guai a voi sazi…, guai a voi che ora ridete…, guai a voi quando tutti parleranno bene di voi…”»?

Don Mario Longo – Parrocchia ss. Trinità, Milano:
«Dobbiamo dire tutto il nostro sdegno e la nostra riprovazione per il signor Berlusconi che, vestendo panni di difensore della fede, della famiglia, della libertà, dell’amore e dei costumi, si dimostra solo un vecchio falso e laido (non laico, laido) che strumentalizza la sua finta e falsa immagine di cattolico con il suo comportamento scandalosamente irrisorio di ogni regola cristiana.
Un persona falsa e starei per dire un fariseo, senza voler insultare i farisei, che dopo aver rovinato per 30 anni con i programmi tutti dedicati “alla famiglia” come il Grande Fratello, Beautiful, domeniche pomeriggio con ballerine seminude, si permette di dire anche lui bestemmie in pubblico, giustificato da alcuni monsignori… questo è troppo, questo è il vero scandalo!
Se se ne sono accorti anche in Vaticano e persino la Cei ha dovuto intervenire, vuol dire che proprio siamo al colmo.
Basta, basta, basta: è ora di smetterla. O forse bisogna tenerlo buono e giustificarlo perché difende i valori cristiani? O perché dà i soldi alle scuole cattoliche o instaura il quoziente famigliare? Basta!».

Lettera firmata – Livorno:
«Non è da ora e solo per i motivi che oggi hanno tanta risonanza sulla cronaca, che personalmente avverto un profondissimo disagio, al limite dell’angoscia, per quanto è sotto gli occhi di tutti: lo scempio che si sta facendo della legalità, delle regole fondamentali del vivere civile e democratico, l’uso sistematico della menzogna, la conseguente manipolazione della verità per difendere e promuovere interessi di parte a svantaggio del bene comune, l’insopportabile deriva del consenso, legittimato non solo dall’ignoranza ma ancor di più da basse sollecitazioni populiste tanto più diffuse quanto più indegne, l’arroganza del potere che di giorno in giorno si riavvolge su se stesso per difendersi e isolarsi dai veri problemi in cui si dibatte la gente, la sfacciataggine di chi tutto si può permettere, anche di non rendere conto delle proprie malefatte… Come prete mi sono domandato tante volte se noi, persone che dovrebbero aver a cuore la vita non solo eterna dei fratelli, facciamo abbastanza per aiutare le persone ad aprire gli occhi in un sussulto di consapevolezza e di assunzione di responsabilità. “Voi siete la luce del mondo”, “voi siete il sale della terra”, ci ricorda il Matteo di questi giorni… Ho l’impressione che la “luce” sia fioca e che il “sale” serva a ben poco, se dopo una quindicina d’anni non siamo riusciti a smascherare certi figuri che ci governano col loro cristianesimo di facciata e a prenderne idealmente e concretamente le distanze al punto da non apparire pericolosamente accondiscendenti o colpevolmente conniventi».

Giovanni Bruno – (prete-operaio in pensione):
«Come tutti sanno, i vertici della Chiesa si sentono impegnati dal Concordato con lo Stato italiano e da ciò derivano privilegi ma anche catene, tra cui la peggiore è la diplomazia.
Chi detiene il potere nella Chiesa ha la libertà di dettare regole sulla moralità pubblica, ma non potrà mai come Giovanni Battista dire al capo di turno: “non ti è lecito stare con una donna che non è tua”. Giovanni Battista ha perso la vita per il suo coraggio; i vertici della Chiesa non possono mettere a rischio la struttura e la vita della Chiesa».

Don Giorgio De Capitani – Parrocchia S. Ambrogio in Monte di Rovagnate (Lc):
«Adesso tutti fanno finta di scandalizzarsi, a iniziare dai nostri media cattolici, per salvarsi la faccia. C’è da piangere nel vedere quanto le nostre comunità cristiane siano sull’altra sponda. Io non credo più in una riscossa popolare, men che meno in un atto d’orgoglio del popolo di Dio. L’unica via possibile qui in Italia è quella scelta dagli egiziani che sono passati alle vie di fatto».

Don Antonio Di Lalla – parroco di Bonefro (Cb):
«La Chiesa istituzionale italiana ha un atteggiamento del tutto simile al ranocchio. Se questo infatti viene calato in una bacinella di acqua calda immediatamente schizza fuori, se invece si trova in un contenitore di acqua fredda e sotto viene acceso un fuoco lento vi resta fino a lasciarsi bollire senza nessuna reazione. C’è sempre un mons. Fisichella pronto a contestualizzare qualsiasi “porcata”, dalla vergognosa legge elettorale alle depravate nottate del premier, dal Pacchetto Sicurezza alla morte atroce, o meglio all’assassinio programmato, dei bambini rom: gli euro elargiti dal governo hanno lessato le coscienze ecclesiastiche, per fortuna non ancora quelle ecclesiali. Perciò protesto».

Don Carmine Miccoli – coordinatore regionale Pastorale Sociale e del Lavoro Abruzzo-Molise, Lanciano (Ch):
«Per ministero, mi capita spesso di muovermi per questo Paese e di stare in contatto con molte persone, spesso dichiaratamente “lontane” dalla Chiesa; la domanda che più spesso ho ascoltato, in qualche momento di confidenza, durante queste ultime settimane, è: “Perché la Chiesa non dice nulla sul presidente del Consiglio e sul suo governo?”. A tutti/e ho risposto, in maniera spesso imbarazzata, ma con tutta la sincerità che potevo, che se la Chiesa dovesse “rompere” in maniera forte e netta con l’attuale governo e col suo “padrone”, dovrebbe riconoscere un ventennio (almeno!) di silenzi, ambiguità e compromissioni; una cosa del genere “costerebbe” alla Cei non solo in termini politici e, ahimè, economici, ma soprattutto in quanto a credibilità del suo magistero e della sua presenza ecclesiale e civile. Ecco, questo è quanto rispondo agli altri: ma io, per primo, non mi accontento più di queste parole. Fino a quando resteremo, noi credenti, a discutere tra noi, a parlare senza ascoltarci, e non inizieremo a “rompere” il silenzio e le complicità che ci hanno fatto diventare tutt’uno con quanto di peggio quest’Italia esprime? Abbiamo poco tempo, prima di essere cancellati dalla storia e condannati da tutti quegli uomini e quelle donne che attendevano da noi la Parola del Vangelo e hanno ricevuto parole fumose e silenzi omertosi».

Don Giorgio Morlin – parroco a Mogliano Veneto (Tv):
«La situazione è talmente patologica e degenerata che, da un punto di vista soprattutto etico, i danni sono ormai irreversibili. E la Chiesa italiana in tutti questi anni cosa ha fatto? È stata alla finestra a guardare silenziosa il lento ma inarrestabile dissolvimento morale del tessuto civile che fino a qualche anno fa teneva coesi gli italiani attorno ad un nucleo portante di valori condivisi. E quando la magistratura italiana fa il suo dovere istituzionale nell’indagare puntualmente i reati emersi dalle intercettazioni, cosa dice la Cei? Sostanzialmente che il comportamento del premier è certamente scorretto, ma l’accanimento dei giudici è esagerato! Tipico linguaggio ecclesiastico, politico e cerchiobottista, più attento alla diplomazia interessata che alla profezia evangelica del Battista, il quale rivolgendosi coraggiosamente ad Erode, un potente dell’epoca, corrotto e corruttore, senza tanti giri di parole dice con forza: “Non licet!”».

Don Gianfranco Formenton – parroco a Sellano (Pg):
«Grazie card. Bagnasco per avere avuto il coraggio di avere pronunciato due parole magiche: “Disastro antropologico”. Perché è questo che avviene da vent’anni. La devastazione sistematica di una visione dell’uomo a mezzo di televisione e di prassi politica. Il “Disastro antropologico” è ciò che già tanti educatori hanno individuato da tanti anni in certi meccanismi mediatici che hanno devastato le menti e le coscienze dei nostri ragazzi che leggono negli atteggiamenti e nei comportamenti dei nostri politici una legittimazione di comportamenti che a loro sono negati con il voto di condotta. Peccato che non ci sia il coraggio, nella Chiesa Italiana, di chiedere perdono per avere “fornicato” con tali personaggi per ottenere regalie e vantaggi economici che dubito giovino alla libertà evangelica».

Don Maurizio Mazzetto – parroco a Rovegliana (Vi):
«Ho messo nel Foglio parrocchiale quindicinale di domenica 23 gennaio 2011 questa frase, tratta nientemeno che dal Mein Kampf di Adolf Hitler: “La massa ama chi più la domina”: … chi vorrà capire, capirà; ma penso sia questo ciò di cui dobbiamo preoccuparci .
Mentre sul Foglio parrocchiale successivo ho messo questo pensiero della Parola di Dio: “Felice l’uomo che ha posto nel Signore la sua fiducia, e non si è volto verso presunte potenze, né verso i fautori di menzogna” (Salmo 40,5)».

Don Luciano Scaccaglia – parroco di S. Cristina, Parma:
«“Il Paese chiede misura, sobrietà e disciplina. Ci sono troppe ‘fragilità’ etiche, politiche ed economiche. C’è un evidente disagio morale”. Così il presidente della Cei, card. Bagnasco. Tutto vero, però avremmo desiderato più coraggio, “il coraggio di andare fino in fondo nel combattere i mali evocati” (Vito Mancuso). Non è preciso affermare: il capo del governo ha torto, ma i magistrati non hanno ragione, esasperano. Occorre meno diplomazia e più profezia… meno parole pesate e bilanciate».




… PER NON DIMENTICARE!

Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango che non conosce pace che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.




IL NOME NON È TUTTO UN PROGRAMMA

All’Angelus in piazza San Pietro del 9 gennaio 2011 Benedetto XVI ha raccomandato ai genitori di non dare ai propri figli nomi che non siano compresi nel martirologio cristiano. Infatti, ha spiegato, «ogni battezzato acquista il carattere di figlio a partire dal nome cristiano, segno inconfondibile che lo Spirito Santo fa nascere “di nuovo” l’uomo dal grembo della Chiesa».
Probabilmente il pontefice ha inteso riferirsi alla moda, sempre più diffusa tra certi presunti vip, di attribuire ai figli i nomi più stravaganti: città, oceani, continenti, perfino marchi di fabbrica e eau de toilette. Sicuramente sarebbe auspicabile una maggiore sobrietà ma non bisogna esagerare con i reprimenda per non incorrere in contraddizioni.
Può giovare a tal proposito riportare alla memoria il caso di Francesco d’Assisi. È noto che Francesco nacque tra il 1181 e il 1182 durante un periodo di assenza del padre, in terra di Francia per lavoro; la madre pensò di chiamarlo Giovanni, in onore del Battista, ma il padre, al suo ritorno, gli mutò il nome in Francesco. Leggiamo la gustosa descrizione offerta da Nicola Papini nella sua Storia di San Francesco d’Assisi del 1825, considerata la prima biografia critica moderna del frate di Assisi.

In Assisi, antica città Vescovile dell’Umbria, Provincia ben nota d’Italia, nacque San Francesco nell’anno mille cento ottantuno dell’Incarnazione del divin Verbo, e probabilmente in Settembre: tempo infelice, e di dolorosa ricordanza, se per altre ragioni, per questa specialmente, che, sbandite tra gli uomini le sante virtù, sovraneggiavano allora i vizj presso che tutti. Il padre chiamavasi Pietro di Bernardo Moriconi (da Moricone paese d’origine) famiglia distinta assai tra le popolazioni di Pisa, e di Lucca, e ben cognita fuori ancora d’Italia. Fu il detto Bernardo, che spatriando da Lucca portossi qualche anno prima in Assisi col figlio e con tutto il ricco capitale toccatogli nella divisione de’ beni con un suo fratello, e vi si stabilì, aprendo negozio di varie merci, specialmente di panni lani. Il nome della madre fu Pica della nobil casa Bourlemont in Provenza […]. È naturale che il traffico avendo portato Pietro nella Francia gli aprisse la strada a sì cospicuo parentado. Appunto in Francia si trovava Pietro per affari di mercatura, allorché donna Pica sgravossi del suo portato. In mancanza del marito pensò ella ad imporgli il nome del santo Battesimo, e fu quello di Giovanni; ma rimpatriato indi a non molto il padre e trovato, a mio credere, il bambino vivace oltremodo, bizzarro e tutto brio, e di fattezze e maniere francesi, contentissimo, soprannominollo Francesco […] il quale termine si usava allora in Italia per esprimere, che le persone e cose eran francesi, cioè della Francia, e dicevasi merci francesche, soldati franceschi, ecc. anzi trovasi unito anche a’ nomi proprj di persona come Isabella Francesca, Giovanni Francesco. Prevalse questo nome avventizio […] e andò avanti al suo principale nella bocca delli uomini.

Le ragioni della scelta di Pietro Bernardone non sono ben note; amore per la Francia, è l’interpretazione più comune. Personalmente ritengo che Pietro scelse di apporre questo soprannome al piccolo Giovanni più che altro perché gli evocava una dimensione transnazionale alla quale era molto legato in virtù del suo lavoro: l’Europa dei viaggi e dei commerci, delle libertà comunali, della nascente borghesia. Un soprannome beneaugurante per quello che, nei suoi ambiziosi disegni, sarebbe divenuto un giovane brillante e facoltoso. In ogni caso volle che suo figlio non fosse identificato col nome di battesimo bensì col nome «avventizio», incurante che questo non fosse neanche un nome vero e proprio quanto piuttosto un attributo o un appellativo; insomma, niente a che vedere con il martirologio cristiano.
Un comportamento per nulla conformista, quindi, se non addirittura stravagante che però non mi sembra abbia avuto gravi conseguenze.

Pietro Urciuoli, OFS Avellino