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IL VILLAGGIO DI CARTONE

In una vecchia chiesa ormai in disuso un anziano prete assiste impotente allo smantellamento di tutti i simboli religiosi fino alla sparizione del grande crocifisso e alla trasformazione della casa del Signore in un centro di accoglienza per gli immigrati, «i veri ornamenti del tempio di Dio». Il vecchio prete, senza più un luogo in cui officiare i suoi servizi, si troverà a prendersi cura dei disperati che, inseguiti dalla polizia, hanno cercato un rifugio nella chiesa dismessa, e grazie a loro ritroverà una fede ormai vacillante. Il messaggio di Ermanno Olmi non lascia spazio a dubbi: via i simulacri, dentro gli uomini. La sceneggiatura del film del grande regista lombardo, presentato fuori concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2011 e accolto dal giudizio unanime dei critici come un piccolo capolavoro, è stata scritta valendosi delle considerazioni di Claudio Magris e Gianfranco Ravasi ed è stata pubblicata da ARCHINTO nel febbraio 2012, accompagnata da un saggio introduttivo del teologo Vito Mancuso.




OBBEDIENZA E LIBERTÀ

Di Vito MancusoFazi Editore

Che cosa è più importante nella vita di un essere umano, l’obbedienza o la libertà? Questo testo intenso e coraggioso affronta il “tragico paradosso” della coscienza cristiana, oggi inquieta come non mai, perché divisa tra queste due polarità apparentemente opposte. Il nuovo libro di Vito Mancuso propone un “discorso sul metodo” in presa diretta, fondato non più sul principio di autorità, ma sul più esigente principio di autenticità. Nella luce del delicato rapporto con il potere ecclesiastico, i grandi temi della riflessione umana vengono declinati in modo inedito, coinvolgente, talora entusiasmante e sempre con la consueta chiarezza. La verità e il potere a partire dalla teologia politica del Grande Inquisitore, la religione contaminata da politica e laicità, l’identità umana tra anima e coscienza, il destino finale o come nulla o come eternità, il dialogo tra le grandi religioni mondiali e una bellissima meditazione sul motto episcopale del cardinal Martini. La posta in gioco è particolarmente alta: una fede all’altezza dei tempi, una concezione dinamico-evolutiva della verità. Vero manifesto della teologia di Vito Mancuso, “Obbedienza e libertà” lancia un messaggio forte e chiaro: da un lato la Chiesa deve liberarsi della superata visione del mondo insita nella sua dottrina, dall’altro il mondo laico deve tornare a interrogarsi sui grandi orizzonti della ricerca spirituale, perché la spiritualità, scrive Mancuso, “è una particolare gestione della libertà”.

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BELLI E ADDORMENTATI

Durante i primi giorni del febbraio 2009, in un’ Italia monopolizzata dal “caso Englaro”, si intrecciano le storie di varie persone che, in un modo o nell’altro, vivono il dolore e l’impotenza per la malattia di una persona cara. Tra loro un senatore che, chiamato a Roma a votare la legge sul fine vita, dovrà scegliere se seguire la sua coscienza o gli ordini del partito.
Come tutti i film di Bellocchio, Bella addormentata (presentato a Venezia quest’anno) fa pensare. Forse a molti cattolici non piacerà. Ma a me sembra che molti cattolici abbiano rinunciato a pensare e si limitino ad accettare passivamente le posizioni ufficiali della Chiesa su qualsiasi argomento, almeno fino a quando queste posizioni non li toccano personalmente.
Molti cattolici italiani sono così: belli e addormentati.
Accanimento terapeutico, eutanasia… discorsi delicati, posizioni difficili da prendere se ci si cala nella realtà dei tantissimi e diversi casi reali di uomini e donne che vivono giorno dopo giorno sulla loro pelle la sofferenza propria e quella delle persone che amano.
Io non so cosa penserei, come mi sentirei se mi trovassi bloccata in un letto, senza possibilità di comunicare. Ma di una cosa sono certa: accetterei qualsiasi decisione sulla mia vita, anche contraria alle mie volontà, se venisse da persone che mi amano e che sono mosse da profonde e autentiche convinzioni.
Mi sentirei condannata – e dannata – se queste decisioni venissero da una legge fatta da qualcuno per assicurarsi l’appoggio del Vaticano alle prossime elezioni.
La vita è un dono, ma viverla – e come viverla – può solo essere una libera scelta.
Dio ci ha donato intelligenza, volontà e libero arbitrio. Può toglierci l’uomo ciò che ci ha dato Dio?

Maria Urciuoli

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UNA “PASSIONE” ALTERNATIVA

Irena, attrice-regista d’avanguardia, accetta la proposta del cappellano di un penitenziario, don Iridio, di mettere in scena la Passione di Gesù, ma quando arriva il momento di stabilire i ruoli, nessuno tra i detenuti vuole fare la parte di Giuda, perché Giuda è il traditore e in carcere non puoi chiedere a un detenuto di fare la parte dell’infame per eccellenza. Tutto si blocca. Che si fa?
Davide Ferrario, regista di Tutta colpa di Giuda, per molti anni ha fatto esperienza di laboratorio teatrale nelle carceri italiane. Il film è ambientato nel carcere Le Vallette di Torino, ha per protagonisti i detenuti stessi e diventa da subito un modo per riflettere sulla condizione del carcere vista dal di dentro, con gli occhi di chi la vive giorno per giorno, cercando di “galleggiare” (come dice a Irena il direttore del carcere) in attesa che il tempo passi …
Sorgono delle domande: il carcere come è concepito e vissuto serve a qualcosa? è prudente far sentire i detenuti “troppo vivi” o è meglio cercare di tenerli tranquilli, tanto tutto quello che aspettano è uscire? chi lavora in carcere crede davvero nella validità delle attività teatrali , creative, rieducative o tira a campare pure lui?
Intanto Giuda non si trova e così Irena ha un’idea:
“Il figlio di Dio si è fatto uomo, e che cosa vuole l’uomo? Vuole soffrire, vuole morire? No! Vuole essere felice, vuole vivere… e allora noi sogneremo il mondo senza dolore, qui, adesso, senza Giuda, senza tradimento, senza processo, senza condanna… senza la croce!”
Ferrario, ateo convinto, si interroga sulla religione e sul senso ultimo del sacrificio.Sorgono altre domande: cosa dà senso alla sofferenza? quando vale la pena di sacrificarsi? È possibile un’alternativa a una religione basata su tradimento-condanna-passione-croce?
Gesù ci avrebbe salvato lo stesso se fosse morto tranquillamente in un letto, solo per il fatto di essere nato, di essersi fatto uomo?
E se qualcuno decide di rappresentare la Passione senza la croce è un eretico, un blasfemo?
Un artista ha il diritto di trattare il sacro con libertà?
Quando Irena è finalmente riuscita a coinvolgere i detenuti, il suo “Gesù senza Giuda” fa imbestialire don Iridio:

  • -Non è l’arte che ci salva, è la fede!
  • – La religione ci rende schiavi, l’arte ci libera!
  • -La fede!
  • -La poesia!
  • -L’obbedienza!
  • -La libertà!
  • -Vade retro Satana!

Il carcere, il teatro, la fede, la libertà: tanti temi “pesanti” in un film leggero, a tratti ironico, quasi un musical, con coreografie e canzoni , dal rap ai Marlene Kuntz.
Comunque, per tornare alla storia, alla fine la soluzione la trovano in parte …Dio, in parte i detenuti.
Se volete sapere qual è, guardate il film.

Maria Urciuoli




MEA CULPA, MEA CULPA …

Anni Venti. Una famiglia aristocratica inglese, cattolica osservante. Un giovane di modesti natali, ateo dichiarato. Due mondi separati che si incontrano, si toccano, si scontrano, si perdono. Quando alla fine si allontaneranno per sempre rimarranno solo infelicità e sensi di colpa.
Ritorno a Brideshead (Julian Jarrold) è la storia di come un’esistenza possa essere rovinata da un’educazione rigidamente cattolica, è una riflessione sui danni che può fare una concezione distorta del cattolicesimo, basata sull’ossessione del peccato e sul bisogno di pentimento ed espiazione, una dottrina tutta precetti e divieti, rigida, senza abbandoni, incapace di cogliere la gioia di vivere, la grazia di credere, una religione senza spiritualità (lo spiega bene frei Betto nell’articolo apparso da poco sul nostro blog).

Per quanti cattolici è ancora oggi così?

Maria Urciuoli




UNA DONNA “OLTRE”

Le scritture possono sbagliare?
Come facciamo a correggere ciò che è sbagliato?
La misericordia di Dio opera di sabato?

Queste alcune delle domande che un Gesù ancora “bambino” rivolge alla madre.
E Maria risponde.
Io sono con te (Guido Chiesa) è il racconto innanzitutto di uno straordinario rapporto d’amore tra una madre e suo figlio. E’ il racconto di un’educazione basata sulla fiducia e sulla libertà.
I primi dodici anni della vita di Gesù all’interno della sua famiglia e della sua gente vengono narrati senza concessioni al “soprannaturale”, attingendo anche ad altre fonti ( i Vangeli apocrifi) oltre a quelle ufficiali.
Io sono con te è un film senza angeli e annunciazioni, senza sogni rivelatori, che restituisce la realtà della vita quotidiana di una donna nella società patriarcale dell’epoca, bloccata spesso dal rispetto delle leggi, delle prescrizioni, dei divieti, dei ruoli stabiliti.
Ma Maria va oltre. Con la sua mitezza e la sua fermezza è una donna “rivoluzionaria”, che mette la coscienza individuale prima della norma scritta.
Maria è oltre la legge: è libertà, è fiducia, è amore.

Maria Urciuoli




OGGI COME IERI

Dal 1828 a Roma capitale, il Risorgimento visto attraverso gli occhi di tre giovani meridionali affiliati alla Giovane Italia: le speranze, gli slanci ideali, il coraggio e le paure, i tradimenti veri o presunti, le congiure, il carcere… NOI CREDEVAMO di Mario Martone è la storia vista dal basso, senza le esaltazioni che ci si poteva aspettare per l’occasione del centocinquantenario dell’ unità d’Italia. Storia, alla fine, di una disillusione profonda:
“… perché io ora mi ritrovo al punto di partenza. La lotta si è risolta in un fallimento e vorrei trarre il bandolo della matassa, capire se un’errata interpretazione delle idee che ho sostenuto sia responsabile o no di quel che è successo: l’Italia di oggi, gretta, superba, assassina (…) gente che ha saputo approfittare della nuova situazione politica solo per accrescere il proprio potere (…) In questo parlamento non sarà certo permesso di discutere su quanto ciascun patriota ha sofferto e fatto. Gli esuli e gli ex galeotti verranno celebrati tutti allo stesso livello, come dei rottami da enumerare sbrigativamente, i cui discorsi non producono che noia…”: queste le parole che Domenico, mazziniano appassionato e coerente, pronuncia, a Italia ormai fatta, nella scena finale del film: non sembra una descrizione del nostro paese attuale?
Eravamo tanti, eravamo insieme, il carcere non bastava.
Noi la lotta dovevamo incominciarla quando ne uscimmo.
Noi: dolce parola. Noi credevamo.”Mi piacerebbe “rivoltare” il film, farlo terminare con le parole con cui inizia: il giuramento che i tre protagonisti pronunciano affiliandosi alla Giovane Italia:

Io do il mio nome alla Giovane Italia
associazione di uomini credenti nella stessa fede
e giuro di consacrarmi tutto e per sempre
a costituire con essi l’Italia
in nazione una, indipendente, libera, repubblicana.

Penso che oggi ci sia davvero molto bisogno di un convinto spirito civico, di un senso di appartenenza forte come quello che comunicano queste parole. Di cittadini che, senza congiure, tradimenti, opportunismi, trasformismi, interessi di parte, riscoprano la politica come modo di risolvere insieme i problemi di tutti (…grazie don Milani!).

…Ma noi ci crediamo?

Maria Urciuoli




LA BISTECCA E LA MUCCA

… hanno rimandato a casa
le loro spoglie nelle bandiere

legate strette perché sembrassero intere
( De Andrè, La collina)

L’ultimo è stato Roberto Marchini, preceduto di poco da Gaetano Tuccillo. L’ultimo per ora, purtroppo. Perché è facile prevedere che di italiani morti in missioni “di pace”, in Afghanistan o altrove, ce ne saranno ancora. Militari come Roberto e Gaetano, ma non solo: quando a morire sono anche dei civili sembra tutto ancora più assurdo…

Novembre 2003: Aureliano Amadei è un giovane romano, 28 anni, precario, anarchico e pacifista, col vizio del fumo e la voglia di fare cinema. Uno di quei giovani che sognano di “mordere la vita” ma che non sono ancora riusciti a realizzare niente di concreto.
Arriva un’offerta di lavoro: aiuto regista in un film da girare in Iraq.In Iraq? Non sarà pericoloso?
No… Lì è tutto tranquillo.
Parte, con due giorni di anticipo nonostante le proteste della madre. Raggiunge il suo amico regista Stefano Rolla, innamorato del deserto, che lo aspetta per iniziare a girare.
Il giorno dopo è il 12 novembre, arrivano alla caserma di Nassirya. Giusto in tempo per saltare in aria nell’attentato che costò la vita a 19 italiani.
La vita azzanna il giovane che la voleva mordere.
Stefano Rolla muore. Ma Aureliano si salva, quasi miracolosamente ne esce vivo, unico civile superstite: rimarrà zoppo e mezzo sordo, ma vivo. Per lui, accanito fumatore, c’è stato solo il tempo di finire un pacchetto di sigarette prima di essere rimesso su un aereo e ritrovarsi in un ospedale romano per una lunga e dolorosa degenza.
“20 sigarette” ( uscito nel 2010 e premiato a Venezia nello stesso anno) è la storia di quei due giorni in Iraq e di come è cambiata dopo la sua vita. E’ il suo primo film da regista, un racconto che parte leggero (come l’incoscienza di chi la guerra l’ha vista solo in TV) e sa mischiare l’ironia con la tensione e il dramma, il panico e l’angoscia che seguono l’esplosione (scena in cui la telecamera coincide con l’occhio del regista, ottenendo in chi guarda un effetto di totale immedesimazione) con il sarcasmo con cui Amadei rappresenta il girotondo di politici-giornalisti-militari che lo vengono a salutare-intervistare-ringraziare in ospedale, facendone un eroe suo malgrado.
E intanto c’è una vita da ripensare e ricostruire, senza vittimismo e autocommiserazione: perché Amadei è consapevole di far parte di un sistema che vive e prospera anche grazie a guerra e morte.

…Ma noi ce la ricordiamo ancora Nassirya o stiamo già iniziando a dimenticarla? Ci interessa davvero sapere che vita fanno i soldati e i civili che vanno nei luoghi di guerra? Ci interessa davvero sapere perché ci vanno?
Forse, come dice un soldato nel film, noi vogliamo la bistecca, non ci interessa sapere come è stata macellata la mucca.

Maria Urciuoli




LA SECONDA VENUTA DI FRANCESCO

La seconda venuta di Francesco è il titolo di una sceneggiatura teatrale scritta da Josè Saramago nel 1987[1]. Al pari del più famoso Il vangelo secondo Gesù Cristo del 1997 alla sua uscita suscitò lo sdegno del mondo cattolico; o meglio, di quella gerarchia ecclesiastica che ritiene di esserne l’unica legittima rappresentante, deputata ad esprimere l’opinione alla quale tutti i cattolici si devono conformare.
Personalmente, in quanto francescano secolare non mi sono sentito per nulla offeso dalla versione che il grande scrittore portoghese ha offerto di Francesco e del francescanesimo; la sua mente acuta non era mai blasfema anche quando si soffermava su quel sacro che categoricamente rifiutava. Non solo, ma gli sono anche riconoscente per quella sua impareggiabile capacità di portare impietosamente in superficie quegli interrogativi che spesso, per timore non si sa bene di cosa, noi francescani non osiamo porci; le prospettive che egli apre, seppur discutibili, mi hanno aiutato ad interrogarmi sul mio francescanesimo molto più di tante stanche e ripetitive conferenze, così come l’inquietante Il Vangelo secondo Gesù Cristo ha stimolato la mia riflessione più di tante soporifere omelie domenicali.Nell’immaginazione di Saramago Francesco torna tra i suoi frati ma è costretto a constatare  che l’Ordine è cambiato, è divenuto una sorta di società finanziaria: quelli che un tempo erano i frati più fidati – Leone, Masseo, Egidio, Ginepro, Rufino, Bernardo – ora sono i membri del Consiglio di amministrazione il cui presidente è frate Elia; suo padre Pietro di Bernardone ne è il direttore generale; sua madre Pica dirige il personale amministrativo del quale fanno parte Chiara, Agnese e Jacopa. Il saio è una divisa da indossare nelle riunioni ufficiali.
Francesco vorrebbe riportare l’Ordine alla originaria povertà ma si scontra con il rifiuto dei consiglieri e si mette in aperta competizione con loro, specie con Elia. Addirittura, si  ingegna per cercare di distruggere l’Ordine; la sua strategia è singolare: distribuire a tutti i frati – che nel frattempo sono diventati agenti di commercio – il testo della Regola, caduta nell’oblio, sommersa da avvisi, ordini di servizio e circolari. Sicuramente a noi francescani non fa piacere vedere un Ordine diviso, lacerato; ma abbiamo dimenticato i forti contrasti che hanno attanagliato l’Ordine vivente ancora Francesco e proseguite con inaudita violenza dopo la sua morte? Ci sembra paradossale un Francesco che vuole distruggere l’Ordine; ma abbiamo dimenticato come Francesco al Capitolo delle Stuoie del 1221 maledice i frati che volevano imporgli di scrivere una regola, abbiamo rimosso la sua reazione rabbiosa alla vista della casa che il comune di Assisi aveva edificato per i frati approfittando della sua assenza?
Saramago presenta Francesco e suo padre come due estranei che non sono mai riusciti a perdonarsi e mette in bocca al Poverello parole di odio che sicuramente suscitano inquietudine e turbamento. Ma come non considerare che Francesco ha chiamato «fratello» finanche una bestia feroce ma non suo padre? Che ha chiamato «sorella» finanche la morte ma non sua madre? Il primo campo di apostolato per un laico non è forse la propria stessa famiglia? Francesco fa eccezione? Non sono mai riuscito a spiegarmi il gesto di Francesco sulla piazza di Assisi: Francesco era sempre molto discreto nei suoi comportamenti, perché in quella circostanza ha voluto sottoporre il padre a quella umiliazione pubblica? Non gli era più che sufficiente abbandonare la sua casa e intraprendere la sua nuova strada senza tanti clamori?
Piuttosto enigmatico nel testo di Saramago è il rapporto tra Francesco e Chiara; a volte si cercano, altre si evitano; a volte sembrano estranei, altre complici. Poche parole, dalle quali non si capisce bene, o almeno non lo capisco io, se Saramago voglia attribuire al sentimento profondo che lega i due anche una velata sfumatura di umanissimo amore. Ma anche se vi fosse stata questa componente che male vi sarebbe? Forse sminuirebbe la purezza di queste due creature?
Ma ancora più sconvolgente è il finale. Francesco, per vincere la sua battaglia con frate Elia, fa entrare un povero nel corso di una seduta del Consiglio di amministrazione ma questi, a sorpresa, lo tradisce: gli rinfaccia di aver beatificato e sublimato la povertà, di aver fatto di una piaga sociale la strada verso il cielo: «Non siamo poveri allo stesso modo», gli dice. Francesco comprende, si pente e come di fronte a una nuova vocazione, liberato da un peso, esclama: «Ora lotterò contro la povertà. È la povertà che deve essere eliminata dal mondo. La povertà non è santa. Tanti secoli per capirlo. Prenderò il nome di Giovanni, che è il mio vero nome. Sceglierò un’altra vita, sarò un altro uomo. Qualcuno viene con me? Chiara?». Chiara lo segue e così  Leone e Ginepro. E poi anche Pica che rivolta ad Elia dice: «Vado ad aiutare Giovanni a scrivere la sua prima pagina».  Sicuramente un Francesco marxista è una forzatura; ma come non considerare che Francesco e i primi frati con la povera gente non avevano nulla a che fare essendo tutti borghesi se non addirittura nobili? Come non ricordare che sulle prime incassarono l’ostilità dei poveri che li guardavano come figli di papà cui d’improvviso aveva dato di volta il cervello? E come non ammettere che l’Ordine ben presto cominciò a trascurare il servizio ai poveri per dedicarsi alla riflessione teologica sulla povertà?
Insomma, un gran bel testo, come tutta la produzione di Saramago, che consiglio vivamente. Forse l’unica cosa che non mi sento di condividere con il grande scrittore portoghese è l’ambientazione della vicenda; sicuramente noi francescani abbiamo perso molto dell’originaria carica ideale, specie in materia di povertà e di presenza sociale; e sicuramente abbiamo tante altre carenze sulle quali forse non ci interroghiamo abbastanza; ma non siamo ridotti a una macchina da soldi, non siamo noi a fare affari con la cricca.
Un anno fa, il 18 giugno 2010, Josè Saramago moriva nella sua casa di Lanzarote. L’Osservatore Romano commentava la notizia con un pezzo al limite dell’offensivo, straripante di antico livore[2]; recentemente, in occasione della morte di Osama Bin Laden la Santa Sede ha mostrato un atteggiamento più rispettoso. «Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell’evangelico campo di grano», concludeva il giornale vaticano. Sarà pure. Tuttavia mi chiedo: da cosa bisogna guardarsi maggiormente, dalle piante di zizzania o dal lievito dei farisei?

 

Pietro Urciuoli, OFS d’Italia


[1] In Italia è pubblicato, insieme ad altri tre testi teatrali, nel volume: Josè Saramago, Teatro, ed. Einaudi, Torino 1997.

[2] L’onnipotenza (presunta) del narratore, di Claudio Toscani, l’Osservatore Romano del 20 giugno 2010. Nel 1998 il Vaticano si oppose alla attribuzione del Nobel per la letteratura, considerandola dovuta a motivazioni più ideologiche che artistiche.

 




L’ORDINE FRANCESCANO SECOLARE D’ITALIA TRA MEMORIA E RINNOVAMENTO

Alla soglia dei cinquant’anni, di cui trenta vissuti in Fraternità, Pietro Urciuoli, appartenente all’Ordine Francescano di Avellino, con sede al Roseto, dopo la pubblicazione del libro “FRANCESCO D’ASSISI – GIULLARE NON TROVATORE” (che invito a leggere chi non l’avesse ancora fatto), ci offre un nuovo scritto, ricco di spunti, per riflettere (e discutere) sulla situazione attuale della Chiesa, dell’Ofs e, in particolare, su alcuni aspetti della nostra vocazione che deve essere continuamente approfondita, anche nella condivisione della propria esperienza, con chi percorre il cammino al nostro fianco.
Ispirazione del presente scritto, come Pietro stesso afferma, è stato l’art.14 delle Costituzioni Generali dell’Ofs che così recita: «Consapevoli che Dio ha voluto fare di tutti noi un popolo e che ha reso la sua Chiesa sacramento universale di salvezza, i fratelli si impegnino ad una riflessione di fede sulla Chiesa, sulla sua missione nel mondo di oggi e sul ruolo dei laici francescani in essa, raccogliendo le sfide e assumendo le responsabilità che questa riflessione farà loro scoprire».
Nel ringraziare Pietro, per aver messo a disposizione di tutti le sue riflessioni, v’invito a scaricarle cliccando sull’immagine che trovate nell’apposita finestra, a destra.