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UN’AVVENTURA CHE SI CHIAMA ROSETO – cap.4 – L’OTTO SETTEMBRE 1970 NASCE IL “ROSETO”

Come seme turgido di speranze e di vita
è scesa nel solco la prima pietra del “Roseto”

S. Ecc. Pasquale Venezia, Vescovo di Avellino, benedice la posa della prima pietra dell'Opera

L’8 settembre un pellegrinaggio di speranza si snodava sulla collina dei Cappuccini. A richiamare tanta folla è stata la cerimonia della posa della prima pietra del “Roseto”. A pochi metri dal nuovo liceo “Colletta” s’eleva un piccolo poggio che sembra un’ampia terrazza dal morbido tappeto verde, con intorno una fuga di ridenti colline e lo sfondo imponente del Partenio. A rendere più suggestivo lo scenario v’è un sole che fa cadere dall’alto una dolce pioggia di luce che dà alle cose una tonalità calda e fascinosa.
Sull’ampia distesa s’eleva un palco dalla tinta vermiglia, sul quale poggia un altare. A pochi passi dal palco v’è la prima pietra.
Intorno, a delineare i confini del “Roseto”, ci sono bandiere lievemente mosse dalla brezza che spira dai monti.
Ma a rendere viva e palpitante la scena v’è una folla che porta sul volto i tratti di una gioia composta e serena.
Sono venuti da tutte le parti della Città e anche da fuori per dare con la loro presenza l’appoggio entusiasta ad un’opera sulla quale poggia la speranza di tanta gente. Insieme alla folla sono presenti tutte le autorità della Città, il Sindaco Antonio Aurigemma, il rappresentante del Prefetto, dott. Basile, il Questore dott. Riccardo Baldinotti, gli onorevoli Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco e il Senatore Vincenzo Barra, il Provveditore agli Studi Attilio Intonti, il rappresentante il Gruppo dei Carabinieri dott. Pergolizzi, numeroso clero, con le rappresentanze degli ordini religiosi.
Alle ore 17,30 l’ampia spianata si trasforma in una immensa basilica. La liturgia si apre con il canto della “Schola Cantorum Gifra” di Pozzuoli e della “S. Alfonso” di Avellino. Mentre il canto dei giovani si innalza solenne verso la volta del cielo, esso scende anche profondo nel cuore degli uomini, sollecitandoli a creare nell’amore una comunità di fratelli.La preghiera procede lenta e raccolta. Alla consacrazione Cristo discende su quel campo ove farà fiorire il miracolo dell’amore. S. E. Mons. Pasquale Venezia tiene la sua omelia. Con discorso sereno e pacato spiega le finalità del “Roseto” e si congratula con P. Innocenzo ed il Terz’Ordine per la mirabile iniziativa. Dopo il Vescovo, prende la parola il Padre Giambattista Rubinacci, Ministro Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Napoli.
Nella sua oratoria calda ed entusiasta traspare la ferma convinzione del ruolo che l’Ordine Francescano deve svolgere nella Chiesa e nella società: “Dobbiamo evitare che la pietà cristiana si esaurisca in un arido e vuoto devozionalismo. Non è lecito – dice l’oratore – comportarsi come il ricco del Vangelo che ignora il fratello; dobbiamo metterci al servizio di quanti hanno bisogno di noi. Il movimento francescano nel suo lungo cammino storico, è stato, e deve essere, specialmente oggi, un generoso e cavalleresco servizio reso a Dio e agli uomini.
Il Terz’Ordine Francescano di Avellino – continua l’oratore – ha capito che non ci si può chiudere in se stessi perché chi vede il fratello, vede Dio”.
Dopo il Padre Provinciale c’è l’intervento di Padre Innocenzo. Egli passa a spiegare la genesi del “Roseto”. “L’Opera – egli dice – ha la sua origine storica in un atto di fede in Dio e di fiducia negli uomini”. Poi ringrazia tutti coloro che hanno collaborato.
Ringrazia per primo la distinta famiglia De Marco, che con il suo dono ha permesso il sorgere del “Roseto”. Ringrazia la Signora Franca Agosta, Ministra del TOF e Presidente legale dell’Opera, che con coraggio cristiano e nobiltà d’animo ha assunto il difficile ruolo ed impegno di responsabilità legale e morale.
L’Opera è legata al suo entusiasmo e alla sua fede apostolica con la quale sostiene ed incoraggia tante brave e gentili Signore, che lavorano con lei alla raccolta dei fondi. Ringrazia il Notaio De Stefano, che ha steso lo statuto insieme all’avv. Francesco Bonito. Ringrazia il Comm. Beniamino Bonito e la sua gentile consorte, Signora Carmela, venuti appositamente dalla lontana America per donare la loro generosa offerta.
Ringrazia S. Ecc. Mons. Vescovo e quanti gli sono stati e gli saranno vicini: impegna tutti alla collaborazione e all’aiuto.
Chiude il Sindaco Aurigemma. A nome della Città, ringrazia “Frate Fuoco” e la sua comunità per l’iniziativa che tende a dare ad Avellino un centro di serenità e di ritrovo culturale. Sottolinea i legami di Avellino con i suoi Cappuccini, che trovò in Padre Carmelo, nell’infausta occasione dei bombardamenti del ’43 una testimonianza eroica di carità e di presenza in tempi di sfacelo, e di fuga delle proprie responsabilità. Invita tutti a guardare con dedizione ed amore alla fiaccola di carità e di amore che Frate Francesco accende sul colle del “Roseto”.
Poi la cerimonia della prima pietra. Prima che essa scenda nel fondo del solco, vi si inserisce dentro una pergamena che sintetizza la natura e lo scopo dell’Opera, così espressa: “Nel clima rinnovatore del Concilio Vaticano II la Chiesa di Avellino sensibile alla voce del laicato francescano, invita i suoi figli ovunque dispersi a creare il movimento dell’unità e dell’amore, in questo “Roseto, cittadella di Maria dove nella riscoperta del Cristo, gli uomini stanchi, delusi, si ritroveranno nella libertà, nell’amore, nella speranza, costruttori di un mondo più umano, più giusto, più santo”.
Il pomeriggio di quell’8 settembre, dolcemente spegneva le sue luci d’oro. Sull’ampia distesa di verde scende un religioso silenzio, scandito dal ritmo della preghiera. Ad un tratto la mano benedicente del Vescovo si alza sulla pietra, uno scroscio di applausi esplode tra la folla. Si sente, poi lo stridio e il cigolio delle catene che adagiano dolcemente la pietra nel fondo del suolo. Essa scende tra la commozione e la gioia di tutti, come seme destinato a divenire albero tra i cui rami gli uomini troveranno il loro nido di pace e di amore.

IL “ROSETO” È QUASI UNA REALTÀ
Completato il primo lotto dei lavori per un valore complessivo di 30 milioni di lire.
Chi lascia la città e si porta verso il nuovo campo sportivo (di Avellino) non tarda a scorgere la sagoma snella e gentile di un complesso edilizio. È il primo lotto del “Roseto” che si staglia nell’azzurro, impaziente di veder sorgere accanto a sé altri due lotti, per divenire oasi di pace e cittadella dello spirito.
La realizzazione di quest’Opera, ormai avviata alla definitiva strutturazione, reca in sé la storia di una commovente e audace avventura. La sua genesi ed il suo sofferto cammino hanno il sapore di miracolo dell’ingenuo mondo dei “Fioretti”.
Quando nel 1969 circolò la prima idea del “Roseto”, molti scrollarono le spalle. Tentare soltanto – si disse – era una rischiosa avventura.
Avellino, la provincia più povera d’Italia, non po¬teva offrire una simile realizzazione.
Queste considerazioni non scalfirono la fede, né attutirono lo slancio di colui che l’aveva sognato. Il “Roseto” ha avuto la fortuna di nascere all’austera e ottimistica scuola di Francesco di Assisi.
La Fraternità del Terz’Ordine che si ispira al Vangelo attinge da esso la dinamica di amore del Cristo. “Roseto” assomiglia al piccolo seme della parabola evangelica, apparentemente insignificante, ma carico di forza erompente.
Nato dal suolo duro ed aspro della povertà francescana, si è affacciato alla vita già adulto.
Le mille difficoltà contro le quali ha lottato più che soffocarne la vitalità, l’hanno irrobustito e consolidato.
“Roseto” è nato dalla generosa carità di un popolo che, fin dall’inizio, superando il peso di diffidenza e di scetticismo che pur pesava sull’iniziativa, ha generosamente donato. “Roseto” è entrato nella simpatia del popolo perché lo sente come risposta alla sue esigenze sociali.
L’Opera ha largamente contagiato larghi strati dell’opinione pubblica. Oggi su “Roseto” puntano lo sguardo tutti coloro che sognano una casa serena, come ultimo approdo al tempestoso mare della vita.
Su “Roseto” poggiano le speranze di quelli che amano vederlo come palestra di vita per gli uomini della nuova frontiera.

P. Innocenzo Massaro




UN’AVVENTURA CHE SI CHIAMA ROSETO – cap.3 – AL DI LÀ DELL’OCEANO CON LA MANO TESA

Ingresso inferiore del Roseto

Erano le 18,30 del 24 maggio 1973 quando l’aereo, dopo il lungo volo oceanico, toccò il suolo d’America. A bordo ci fu uno scroscio di applausi. Reca veramente piacere, dopo nove ore di volo, sentire il rullìo delle ruote sulla pista di atterraggio.
Quella sera all’aeroporto Kennedy di New York ebbi il mio primo approccio con l’America.
Mi trovai in mezzo ad un vortice di persone che correvano in ogni direzione, mentre io non riuscivo a trovare la famiglia che doveva venire a prelevarmi. Quel via vai di persone acuiva il mio disagio; desideravo che qualcuno mi aiutasse. Mi avviavo verso l’uscita, quando sentìi chiamarmi per nome. Quel nome, lanciato in mezzo a tutta quella gente, fu come una scialuppa di salvataggio.
Erano il Signor Franco Bonito e la sua Signora che finalmente mi avevano scoperto.
In mezzo ad un carosello di altre macchine ci muovemmo alla volta di Jersey City. Qui ad attendermi v’era il Comm. Beniamino Bonito senior e la sua gentile consorte signora Carmela.
L’accoglienza fu cordialissima, la loro bontà e carità mi fecero sentire il calore e l’atmosfera di famiglia. Al mio arrivo la prima impressione che ebbi degli americani è che avessero una gran fretta, paura di perdere tempo.
In seguito capii che quel loro agitarsi scaturisce da una valutazione del lavoro che lo fa anteporre ad ogni cosa. Questa loro mentalità, se ha dato all’America il trionfo della tecnica, ha anche sacrificato diversi valori umani. Si sente nell’americano una certa insoddisfazione della vita nonostante la sua opulenza.
Sono andato in America non come turista, anche se questa è la qualifica segnata sul passaporto, ma per realizzare il “Roseto”.Volli fin dalla mia partenza dare al mio viaggio una nota religiosa.
La mia missione non si è svolta nelle chiese, bensì nelle officine, nei circoli, nelle case, sulle strade.
I nostri connazionali li ho visti curvi al posto del loro lavoro, lieti e sereni in una festa nuziale, tristi e affranti nella prova del dolore, fiduciosi e pazienti nella speranza. A tutti ho donato la parola della fede e del conforto. Nelle fabbriche ho fatto sospendere per un attimo il ritmo assordante dei motori e li ho esortati a dare al lavoro il carisma della preghiera. Mi hanno risposto con calda ed affettuosa dimostrazione; nello stringermi la mano deponevano in essa la loro offerta, mentre nei loro occhi appariva furtiva una lacrima.
Sono entrato in moltissime case ricche e povere, e spesso era presente il dolore.
– Venga a casa – mi diceva un papà – venga a benedire la mia bambina.
Il male aveva reso quella bimba come un filo di ferro contorto.
Pregai con un nodo alla gola e la benedissi. Il volto di quel padre divenne sereno, v’era nel cuore tanta speranza: “Signore esaudisci la sua preghiera!”. In un’altra casa una vecchia mamma inferma, l’assiste con delicato amore la sua giovane figlia.
La sua abnegazione e il suo sacrificio mi commossero. Alla mia meraviglia per sì generoso servizio, ella rispose: “Nessun sacrificio Padre, perché io, mia madre, l’amo”.
Ricordai allora quanto fossero vere le parole di S. Agostino: “Dov’è amore non c’è sacrificio”.
Il 24 giugno andai a Boston. Essa è una delle più belle città d’America, città dotta ed artistica per le sue rinomate università, per le sue chiese, per i suoi monumenti. A Boston si sente l’atmosfera delle nostre città italiane.
Quante persone ho incontrato, passarono sul mio cammino come battito d’ala! Sento il dovere di ringraziare tutti.
Un grazie speciale all’anonima e gentile signora di Boston. Avevo da poco rivolto dalla Radio un appello al popolo per il “Roseto” quando venne a trovarmi una donna.
– Sei tu, P. Innocenzo? – Sì!
– Ho sentito il tuo appello e sono venuta a darti la mia offerta. È modesta, ma non posso darti di più. Dio ti aiuterà!
Abbi fede. Coraggio!…
Grazie, gentile signora! Non ricordo più il tuo nome, andasti via in fretta, ma la tua immagine e l’eco dolce della tua voce sono rimaste nel fondo della mia anima come carezza di mamma.
“Abbi fede… coraggio!” Le ho sentite nel cuore mentre mi muovevo sulle lunghe e assolate strade d’America, nelle interminabili ore di attesa, nei scortesi rifiuti, nulle paurose ore di deludente sconforto.
Oggi però, dalla quiete del mio convento, ti invio un altro messaggio che certamente ti darà tanta gioia: l’8 settembre 1970, “Roseto” è nato alla vita!

ALLA SCUOLA DELLA POVERTA’
All’indomani del mio arrivo in America, insieme all’amico Beniamino Bonito siamo andati al Bronx. La prima visita l’abbiamo fatta ad una fabbrica di manufatti, ove lavoravano duecento donne italiane e portoricane. Proprietario il Signor Scardino di origine siciliana. Ci rivolgemmo a lui perché ci autorizzasse a compiere una colletta tra le operaie. Lo pregai inoltre di far sospendere per pochi minuti il lavoro perché io potessi spiegare il motivo di quella raccolta. La sospensione non fu concessa, ed allora fui costretto ad avvicinare ogni singola operaria e tendere la mano. Le prime tre operaie non risposero al mio gesto, erano troppo impegnate nel loro lavoro. Passai oltre, sempre con quella mano tesa, ma in essa non cadevano se non piccoli spiccioli e molti rifiuti. A metà del giro la mia resistenza crollò ed ebbi manifesti segni del mio disagio: qualche lacrima apparve sui miei occhi. Questa apparve anche ad una italiana, la quale alzandosi dal suo posto di lavoro e facendomi coraggio con delicata affettuosità mi costringe a completare il giro. Al termine, ella stessa contò le offerte. Erano otto dollari. Mi strinse la mano, abbozzò un sorriso e poi aggiunse: “Coraggio!”. Il Signore Bonito era rimasto a guardare la scena. Mentre insieme scendevamo le scale di quella fabbrica, il Signor Bonito con tono forte e deciso, come quando si riprende un suddito e come antichi maestri di morale mi dice: – Padre Innocenzo, anche Gesù ha tanto sofferto! Confesso che non mi sarei mai aspettato dal Signor Bonito un tale richiamo ascetico. Quella parola scese sulla mia anima aspra e stimolante. Fu come una scudisciata su carne viva, che se pur mi ferì mi sollevò dall’angoscia nella quale stavo per affogare. Facemmo un lungo cammino in silenzio. Meditavo come ero lontano dall’essere povero, e quanto è duro esserlo.
Confesso che ciò che maggiormente mi colpì fu quella mano tesa senza giustificare il mio gesto. Se avessi potuto spiegare a quelle operaie il motivo della mia richiesta, esso certamente non sarebbe stato per me tanto grave e così umiliante. Il Signore, quel giorno ha voluto farmi capire che significa essere povero e quanta sofferenza si nasconde nella richiesta di un fratello.

ALLA SCUOLA DELLA UMILTÀ
Per realizzare l’Opera si tentavano tutte le strade. Un giorno alcune Terziarie proposero di far costruire delle cassette per le offerte da collocare nei vari negozi della città (di Avellino). L’idea piacque, ma divenne meno gradita quando mi spiegarono la sua dinamica. – “Noi faremo costruire le cassette e voi le porterete per i vari negozi”.
A questa distinzione di compiti il mio consenso fu meno entusiasta: avrei preferito io il primo compito. Il secondo compito, in forza di una logica, non poteva spettare a delle signore, ma soltanto ad un frate che ha fatto professione di povertà.
Finalmente le cassette furono pronte e bisognava ora piazzarle.
Era d’inverno, portavo il mantello. Quel giorno lo indossai non solo per difendermi dal freddo ma soprattutto per nascondere i segni di quella povertà. Misi in macchina le cassette e iniziai il giro dalla periferia, da dove cioè, potevo incontrare persone più povere. Il primo negozio dal quale volli iniziare fu quello di un’amica. Pensavo mi sarà più facile, ed invece mi fu più duro. Quando esposi la ragione della mia visita, la donna si sofferma per un attimo e poi mi dice: “È inutile, tanto qui nessuno vi metterà dentro un’offerta”.
Mi sentii bruciare le guance. Me ne uscii come se avessi tentato un’azione illecita. Sentii l’insorgere del mio orgoglio che mi invitava a desistere dall’impresa. Ma come fare? Alla mia mente tornavano quelle benedette signore. Cosa avrei detto loro? Quale giustifica alla mia superbia? Lottai duro con il mio orgoglio e tentai di portarmi sul campo più difficile della città – Corso Vittorio Emanuele, al caffè Lanzara più qualificato. Fermai la macchina a pochi metri. Stavo per entrare, vidi tanta gente e sentii come una forza che mi spingeva dietro.
Ritornai alla macchina.
Sentivo all’interno lacerarmi da due forze opposte: il mio orgoglio e la mia ascetica. Finalmente prevalse la seconda ed entrai. La cassetta era accuratamente nascosta dal mantello. Mi misi in fila come gli altri acquirenti. Speravo che sfollassero, ma ad un tratto il padrone mi chiede: “Lei, Padre, cosa vuole?”
– Io? – risposi impacciato e sudato – non chiedo nulla! Ed avvicinandomi di più al banco, perché mi sentissero di meno – dissi: Vorrei che Lei – e qui, finalmente, estrassi dal mantello la cassetta, come se fosse stato il corpo di un reato – collocasse qui sul banco questa cassetta per raccogliere le offerte per il “Roseto”.
Il padrone, uomo intelligente, capì il mio disagio e togliendomela di mano la depose sul banco.
Cosa ha dato all’Opera il sistema delle cassette? Pochissime offerte, ma molta rinuncia, necessaria alla crescita dell’Opera.




UN’AVVENTURA CHE SI CHIAMA ROSETO – CAP.2 – PRIME DIFFICOLTA’ DELL’OPERA

Il mattino dell’8 maggio 1968, la Presidente della Fraternità del Terz’ordine Francescano di Avellino, signora Francesca Ferrante ved. Agosta firmava il contratto di compravendita del suolo per l’erigenda Opera “Roseto” per un valore di L. 6.300.000.
La Fraternità aveva in cassa soltanto L. 17.000. Bisognava estinguere il debito, ma dove reperire i fondi?
Era una sera d’inverno, decisi di scendere dal mio convento in città per chiedere delle offerte.
Iniziai il mio cammino in via Matteotti.
Salii all’ultimo piano di uno dei palazzi di quella strada. Bussai alla prima porta. Alla famiglia esposi il mio ideale e il mio programma. Parlai con fervore del “Roseto” che non esisteva ancora. La famiglia mi ascoltò con molta attenzione, ma quando fummo al momento di dare un’offerta, si scusò dicendo che non poteva contribuire in alcun modo.
Dovette scambiarmi per uno dei tanti sognatori che passano talvolta per le case.
Me ne uscii con una certa amarezza.
Bussai ad una seconda porta. Anche qui la stessa perorazione con lo stesso risultato della prima famiglia. Questo secondo diniego mi fu più amaro del primo. Incominciai a sentire uno scoraggiamento che mi sollecitò a desistere dalla ricerca. Pensai che se fossi tornato indietro quella sera, “Roseto” non sarebbe più nato.
Decisi di andare ad un’altra famiglia.
Busso, sono accolto con entusiasmo, espongo il motivo della visita e con una perorazione più accorata parlai del “Roseto” e delle sue finalità. La terza risposta fu uguale alle due precedenti. Per me fu il colpo di grazia che mi impedì di osare ancora. Ne esco umiliato e frastornato. Decido di ritornare in convento. Il sole era al tramonto ed era pallido e freddo, mi raccolsi nel mio mantello e rifeci la salita del convento. Nell’interno c’era un tumulto. Ero convinto di aver sbagliato a credere agli ideali umanitari del popolo. Incominciavo a dare ragione a coloro che tentavano di dissuadermi. Sentivo la loro voce alle mie orecchie: “Chi te lo fa fare… vedrai che sarà solo un sogno… su quel terreno vi porterai a pascolare le pecore”.Quella sera in convento non parlai, avrei dato ragione a coloro che dissentivano. La notte la passai insonne, in un monologo lungo e silenzioso, aspettavo con ansia l’alba per liberarmi da un incubo che mi opprimeva.
Al mattino vado dalla Signora Agosta per decidere il recesso del contratto dell’acquisto del suolo.
Esposi alla Signora l’insuccesso della sera e conclusi: “Sarà difficile raccogliere i sei milioni, perciò annulliamo il contratto. La signora Agosta mi interruppe dicendo:
— Quanto ha chiesto alle famiglie?
— Nessuna cifra, risposi.
— Ed ella: è qui l’errore.
— Anche un errore? – risposi. Quale?
— Veda Padre — mi dice la Signora — l’Opera è grande… quale offerta potevano darle? Un’offerta generosa? Chi può sottrarre dal suo bilancio una somma così grossa?
Una piccola offerta? sarebbe stato ugualmente umiliante.
Il discorso aveva una sua logica, ma che a me non convinceva.
Domani — concluse la Signora Agosta — andremo insieme a chiedere ad ogni famiglia una mille lire al mese. Anche quella soluzione non mi convinse. Tuttavia accettai svogliatamente e passivamente.
All’indomani la Signora insieme ad una sua amica ed io, siamo andati in un’altra strada di Avellino. Bussammo ad otto porte, quattro famiglie accettano l’impegno e quattro no. Era la soluzione giusta. Da quella sera continuammo a girare per le case in cerca di adesioni. Andavo con due terziarie che denominammo “collettrici”, le quali ritornavano ogni mese a raccogliere l’offerta promessa. Il sistema non è che sia stato facile, anche esso presentava la sua difficoltà. Ricordo che un giorno due collettrici, alla mia presenza, chiesero ad una signora un’offerta per il “Roseto”. L’interpellata, rivolgendosi verso di me, dice: — come sono seccanti queste sue collettrici. Le due si rivolsero verso di me ed aspettavano una loro difesa. Signora — le dissi — se dare è difficile, chiedere è ancora più difficile.
Le due collettrici sorrisero e la Signora capì la lezione.
Non tutte le terziarie si sentirono di fare la “collettrice”, soltanto 20 collaborarono e perseverarono; altre invece vennero meno lungo il difficile cammino.
Un grazie, comunque, va a tutte le collettrici, esse impararono a divenire povere per amore dei fratelli.

LE COLLETTRICI DEL “ROSETO”
Firmato il contratto di acquisto del suolo, bisognava ora trovare i fondi per saldare il debito.
Nacquero le collettrici. Le prime ad aderire furono le francescane.
Il compito delle collettrici è quello di passare di casa in casa, ogni mese a raccogliere le offerte. Non è un lavoro facile.
Se dare è difficile, più difficile è chiedere. Agli inizi fu un lavoro duro e sofferto. Bisognava sfondare un muro di prevenzioni e di pregiudizi. Ci scambiavano per fanatici sognatori o per importuni che andavano turbando la quiete domestica, gente comune, che bisognava lasciar fuori la porta o tenere alla larga. Accanto, però, a questi gesti, altre porte si aprivano in fraterna ed ospitale accoglienza che ci ricompensava delle umiliazioni subite e ci sosteneva a continuare il cammino.
Oggi il compito delle collettrici non è così duro come allora. “Roseto”, oggi, è conosciuto ed amato. Alla primitiva fase di scetticismo e di dubbio è subentrata quella di stima e di simpatia. Le collettrici si presentano con il saluto di “Pace e Bene” di S. Francesco.
Oggi sono attese! Non sono degli agenti fiscali, ma apostole che portano una gioia ed un sorriso, ed offrono agli altri la possibilità di compiere un’opera buona. Che sia così lo dimostrano le molteplici telefonate che ci giungono quando una collettrice non è andata per qualche mese alla loro casa.
Oggi vorremmo allargare il quadro delle collettrici. Alcune hanno desistito dal loro impegno; vorremmo che il loro posto fosse preso da altre donne che intendono dare alla loro vita l’esaltante esperienza di divenire povere per arricchire gli altri.

INTRODUZIONE 

CAPITOLO PRIMO




UN’AVVENTURA CHE SI CHIAMA ROSETO – capitolo 1

GENESI DI UN’OPERA

La prima domanda che mi rivolgono i visitatori del “Roseto” è: Come è nato il “Roseto”? Rispondere a questo interrogativo crea sempre un disagio, giacché la sua nascita non è avvenuta in un determinato gior­no come avviene per gli uomini. L’Opera ha certamen­te anch’essa una data, ma i suoi prodromi vanno ricer­cati in alcune idea-forze, che la spinsero alla vita. La prima è nata certamente dalla constatazione di incon­trare persone sole e abbandonate.
Durante la mia attività pastorale, incontravo nei vari paesi dove mi recavo, molte persone anziane po­vere e sole.
La forte emigrazione di giovani dai paesi del Sud verso l’estero o altre terre in cerca di lavoro, lasciava nelle loro case soltanto persone anziane.
Quello spettacolo ha influito fortemente sul mio animo. Mi dicevo: bisogna fare qualcosa per queste persone.
In quegli anni 1962/63 ero assistente (allora si di­ceva Direttore) della Fraternità del Terz’Ordine Fran­cescano di Avellino.
Ereditai una fraternità piuttosto spenta. Dopo qualche tempo veniva eletta come Ministra della Fra­ternità, la Signora Franca Ferrante, ved. Agosta, donna coraggiosa e spiritualmente preparata. In pochi anni il volto della Fraternità cambiò radicalmente. Insieme portammo la Fraternità ad un alto livello di vita spiri­tuale.
In quegli anni il Concilio Vaticano II approfondiva il mistero della Chiesa e la vocazione ecclesiale del lai­cato cattolico.Nella luce della maturità e della coscienza missio­naria dei laici decisi di coinvolgere la Fraternità sul piano della responsabilità e dell’impegno apostolico. La sola testimonianza liturgica che la Fraternità offriva non mi sembrava sufficiente e la sollecitai perciò a dare una prova concreta di amore fraterno.
Questo è stato il contesto spirituale nel quale è spuntata l’idea di realizzare un’Opera sociale che po­tesse venire incontro ai fratelli.

CONVOCAZIONE DISCRETORIO
(Consiglio del TOF)

L’idea di realizzare un’opera, frattanto, cammina­va e andava assumendo di giorno in giorno consisten­za e concretezza, tanto da sottoporre il problema al Ministro Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Napoli.
Il 16 gennaio 1966 viene convocato il Discretorio ed è presente il M. R. Padre Francesco Saverio Toppi da Brusciano, Ministro Provinciale. Sono invitato dal Provinciale ad esporre il problema “Roseto”. Alla mia esposizione il Discretorio si divide in due correnti: fa­vorevoli e contrari. Nella prima corrente sono soltanto le due donne: Ferrante Francesca e Lo Gatto Cassandra; tutti gli altri contrari, per l’enorme spesa che tale realizzazione comportava.
Ricordo che gli interventi che più influirono sul Padre Provinciale furono quelli dei contrari.
Dopo il loro intervento il P. Provinciale mi richia­ma alla realtà e mi dice: Hai ascoltato? Come farai? ed aspettava la mia risposta.
Risposi che le loro osservazioni erano giuste e che il loro discorso aveva una sua logica soltanto da un punto di vista umano, ma che aveva un difetto: non va­lutava la realtà divina, non teneva conto della Provvi­denza. “Mi avete insegnato — conclusi — a credere nella Provvidenza, voglio sperimentarne la bontà”.
Il Padre Provinciale a queste parole non si sente di contraddirmi e dà il suo consenso, dicendo: “Il pro­getto mi sembra un sogno irrealizzabile, ma dò fiducia allo spirito di fede che lo vagheggia”.
Il 12 luglio 1978, 12 anni dopo P. Innocenzo cele­bra il 25° anniversario della sua ordinazione sacerdota­le. La Messa giubilare viene celebrata al “Roseto”. Era stato già realizzato il primo lotto dell’Opera. Numerosi i fedeli, in prevalenza amici e benefattori.
Lo spazio antistante il “Roseto” è trasformato in una ampia e naturale basilica.
Tra i concelebranti v’è anche il M. R. France­sco Saverio Toppi, il quale all’omelia ricorda l’incontro del 16 gennaio 1966. “Faccio pubblica confessione — dice il Padre — della mia diffidenza a credere alla rea­lizzazione dell’Opera. Ecco il sogno irrealizzabile e splendida realtà davanti ai nostri occhi! È stata la fede di P. Innocenzo e di quanti gli sono stati a fianco.
Rin­grazio il Padre d’ogni dono per avermi dato di rispet­tare il carisma di un fratello… Glorifichiamo tutti in­sieme il Signore per questa vittoria della fede che qui ci raccoglie in gioiosa riconoscente celebrazione”.

UN SEGNO DELLA PROVVIDENZA

In questo clima di incertezza e di speranza la Provvidenza un giorno ci invia un segno. La distinta Famiglia Pellegrino De Marco promette di dare all’As­sociazione duemila metri quadrati di suolo ai quali poi si aggiunsero altri tremila per un valore di L. 6.300.000. Per espressa volontà del Padre Provinciale si volle che tutti gli atti giuridici fossero intestati all’Associazione del Terz’ordine, e firmati dalla sua rappresentante.

L’OPERA SARA CHIAMATA “ROSETO”

Con questo nome l’Opera assumeva, anche nella denominazione, una sua nota francescana.
A S. Maria degli Angeli di Assisi esiste un piccolo giardino deno­minato “Roseto”.
Secondo le Fonti francescane quell’angolo di terra era prima un luogo selvaggio, vi dominavano rovi e spine.
Frate Francesco una notte è assalito da una vio­lenta tentazione. Per vincerla, il Santo, non dubita di lanciarsi in quel roveto. Nel duro impatto penitenziale le sue carni si lacerano e perdono sangue mentre la tentazione si assopisce e si estingue.
Al mattino i frati, con meraviglia, scoprono che quel roveto si è trasformato in un roseto, e le sue rose presentano, ancora oggi, sui petali bianchi, macchie rosse come se fosse sangue vivo.
Il simbolismo sta in questo: come quel luogo duro e aspro si trasformò, mediante la penitenza di Francesco, in un giardino fio­rito, così “Roseto” intende dare a tanti fratelli, che hanno lottato e sofferto, tranquillità e pace.




UN’AVVENTURA CHE SI CHIAMA ROSETO

Con il presente post, apriamo una nuova rubrica, dal titolo: “Un’avventura che si chiama Roseto”.
I post di questa nuova rubrica, tratti dal libro omonimo scritto da p. Innocenzo Massaro, nel 1988, illustreranno tutte le vicissitudini che p. Innocenzo, fondatore del Roseto, e il Terz’Ordine Francescano di Avellino, hanno attraversato, per realizzare un “sogno” divenuto realtà per opera della “Divina Provvidenza”.
La finalità è di rendere omaggio al caro p. Innocenzo che non è più con noi, ma anche la dimostrazione di come, ancora oggi, la Fraternità, così come alle origini, è ancora capace di testimoniare Speranza, quando si lascia guidare dallo Spirito Santo.
Nell’auspicio che queste pagine possano aiutarvi nella riflessione, vi auguro una buona lettura.

PRESENTAZIONE
“ROSETO” un nome; un programma; una realtà.
Lo incontri un pò fuori la città di Avellino, verso il Nord, di fronte al Santuario della Madonna di Montevergine; quasi ne richiama la presenza, ne ricorda l’esistenza: ma più vicino agli uomini, non sulla montagna, forte e verde, ma a mezza collina, per fare memoria a tutti gli uomini che si è pellegrini verso un’altra patria.
Di per sé, già l’ubicazione, a media distanza tra la cima del monte e il fondamento della casa dell’uomo, ha segnato una scelta, ha determinato un destino: accogliere una realtà umana, di gioia e sofferenza, e trasformarla in FRATERNITÀ, segno della paternità universale di Dio per tutti gli uomini.Una FRATERNITÀ cui tutti aspirano; una FRATERNITÀ piantata tra la divisione degli uomini, per ricordare che è possibile vincere il male con il bene, l’odio con l’amore, la morte con la vita.
P. INNOCENZO MASSARO, frate cappuccino, ha intrapreso questa avventura” in comunione con la FRATERNITÀ dell’Ordine Francescano Secolare; un’avventura ormai storia “fatta di speranza e di ansia, di gioie e di lacrime” – tradotta, ora, in “dolce favola”.
Sei invitato a contemplare l’eterno miracolo della fede che germina esclusivamente dalla morte; il contemplare tanta armonia di sintesi tra la natura e la mano dell’uomo sollecitata dall’amore, è frutto di una storia che parte da lontano e lontano intende andare sul ritmo del servizio che offrendo carità, carità riceve per fare giustizia: e nasce la gioia o, come al P. INNOCENZO MASSARO piace e con lui a tutti i Francescani, germina la perfetta letizia.
Cantata con Maria, la Vergine del Roseto, spuntata dalla spine della colpa, per proclamare la liberazione totale, perfino sulla morte; cantata con Francesco, l’araldo del gran Re che si avventurò per sentieri sconosciuti per ripresentare il dinamismo contagioso e vitale del Vangelo; cantata, infine, con la FRATERNITÀ FRANCESCANA tutta, nella sua molteplice articolazione del Prim’Ordine Francescano Secolare, della GiFra, degli Araldini, delle carissime sorelle Elisabettine.
Roseto: opera corale come le antiche cattedrali medievali dove il singolo, architetto, maestro o manovale si stempera in una coralità che non annulla ma qualifica; non impoverisce ma arricchisce.
“Chi mi darà una pietra, avrà una ricompensa; chi due pietre, due ricompense; chi tre, altrettante ricompense” diceva il Serafico Francesco.
I protagonisti di questa “avventura” ci hanno creduto. Questa pubblicazione è una testimonianza ma anche una provocazione profetica e come tale va accolta.
E se passerai per il Roselo ci sarà una rosa anche per te, anche se sarà pieno inverno: è il miracolo dell’amore e della fede!
Fra Luigi Monaco Min. Prov. OFM Capp. Napoli, 11 giungo 1988

ALCUNE CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
“Un’avventura che si chiama Roseto” è il titolo che ho creduto dare al presente libro, perché l’Opera è stata veramente un’avventura, sia per il grave rischio che portava in sé, sia anche per i molti sacrifici che essa ha chiesto a me ed ai miei collaboratori.
Lo scopo del presente libro è quello di proclamare agli uomini che il Signore è buono e ricordare loro che Dio esplica la sua carità attraverso la loro bontà.
Questo libro è dedicato a tutti coloro che hanno condiviso con me il sofferto cammino dell’Opera, particolarmente alla Signora Franca Ferrante ved. Agosta, Ministra e Presidente legale dell’Associazione. Alla Fraternità del Terz’Ordine Francescano di Avellino, generosa collaboratrice del Roseto. Ai moltissimi Amici e Benefattori dell’Opera della città e fuori che, con la loro offerta, hanno consentito di realizzare il miracolo dell’Amore.
Il libro, infine, si auspica che coloro che lo leggeranno diventino amici del Roseto e l’aiuteranno, per l’avvenire, nel suo compito di accoglienza ai fratelli poveri e sofferenti.
La composizione del libro è stata facilitata dalla raccolta di articoli scritti da me e da altre persone per la rivista “Campania Serafica” e per il quotidiano “Il Mattino”. Gli articoli sono stati stampati così come furono scritti nell’immediata ispirazione degli avvenimenti. Il lettore noterà che essi presentano, talvolta, inutili ripetizioni, ma che in cambio offrono, però, una visione autentica dei fatti.
I brevi episodi narrati sono come piccoli spiragli di luce che lasciano intravvedere quella parte di storia segreta che si svolge nelle profondità dello spirito e che gli uomini non sanno né riescono a leggere.
Questa storia, fatta di speranza e di ansia, di gioia e di lacrime, vista a distanza di anni, sembra ora una dolce favola.
Tutto il peso è passato, esso non ha lasciato nessuna traccia di risentimento alcuno. L’impegno per l’Opera ha lasciato nel cuore di coloro che vi hanno lavorato, solo la gioia di aver detto “sì” al Signore.
Roseto è fiorito! Ciò che sembrava un sogno di bimbo, oggi, è consolante realtà. Dio ha fecondato con la sua grazia il piccolo seme ed esso è diventato albero sui cui rami fratelli e sorelle trovano sicurezza e pace.
p. Innocenzo Massaro