DIO NON SI STANCA DI PERDONARE

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La misericordia non è qualcosa di marginale nella vita di Francesco. Qualche giorno prima di morire, Francesco, ad Assisi, detta il suo testamento, perché non era più in grado di scrivere, poiché quasi ceco.
Il testamento (Fonti Francescane 110) è, probabilmente, il testo più fedele al suo pensiero, perché è molto semplice e si vede che non c’è stata rielaborazione.
In questo scritto, Francesco rivela che la sua vita è cambiata per un incontro che non è stato il crocifisso: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo.”
Il suo peccato che Francesco ritiene principale è di considerarsi il centro del mondo, attento solo a se stesso e alla sua immagine.
Quando incontra il lebbroso però, Francesco viene in contatto con un mondo che è lontano dal suo modo di vivere. Anche solo vedere i lebbrosi gli era molto amaro, perché era completamente disinteressato ai loro problemi e la sua vita era molto distante dalla loro.
Il Signore, però, lo portò da loro.
La prigionia di Perugia mina le certezze di Francesco il cui spirito inizia a vacillare. Quando si sta male, ci si accorge di quelli che stanno male.
Francesco cambia la sua vita nell’incontro con il dolore altrui, nel momento in cui lui stesso era fragile, mentre prima aveva una corazza che lo distaccava da tutto.
In questo incontro, il Padre Serafico fa esperienza di misericordia. Quell’esperienza di misericordia seguita da altri incontri di quel tipo, pian piano lo cambiò.
Per noi sono importanti le esperienze di volontariato che possono cambiarci, com’è avvenuto per Francesco. Non sono le chiacchiere che ci cambiano, ma l’incontro con il dolore.
La Scala dei valori di Francesco si trasforma. Tutto il mondo di prima lo mette da parte, ecco che avviene il capovolgimento dei valori.
La lettera a un ministro (Fonti Francescane 235) fu scritta all’incirca nel 1223, in un periodo di grande difficoltà per Francesco che, molto probabilmente, termina con le stimmate. I compagni dicono che si era rattristato e si era chiuso in se stesso. Il ministro generale voleva lasciare la guida dei frati, per cui Francesco gli scrive questa lettera.
Tutta questa lettera è un canto di misericordia. Francesco invita il ministro a fare in modo che non ci fosse un solo frate che non leggesse nei suoi occhi il suo perdono, prima di andarsene via. E se non chiedesse misericordia, sarà il ministro stesso che deve chiedergli se vuole essere perdonato.
Non serve a niente passare sotto la porta Santa, se non facciamo un passo verso l’altro: In questo modo la porta sarebbe più una condanna che altro.
La lettera ai fedeli (Fonti Francescane 191) si pensa che fosse il primo documento di Francesco rivolto ai fedeli del Terz’Ordine, in realtà non è proprio così. Questa lettera è datata molto probabilmente 1225. In essa dice che chi esercita il giudizio devono farlo con misericordia, altrimenti il Giudizio del Signore sarà senza misericordia. Il Signore perdonerà a noi nella misura in cui noi abbiamo perdonato gli altri. Francesco all’inizio fa esperienza di misericordia sulla sua vita, poi la misericordia diventa elemento centrale della sua vita.
Alla fine della sua vita non riesce a scrivere nella Regola l’importanza del perdono, perciò lo aggiunge nella Lettera ai Fedeli.
La Porta è Cristo che sta dall’altra parte della porta e ci aspetta.

Mons. Felice Accrocca
Arcivescovo di Benevento
Discorso all’Ordine Francescano Secolare
in occasione del Giubileo arcidiocesi di Benevento

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