FRANCESCO D’ASSISI. GIULLARE, NON TROVATORE [10^ parte]

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Le stimmate cambiano radicalmente il corso della vita di Francesco. Defilatosi definitivamente dalla guida dell’Ordine ne diviene l’icona vivente, la guida spirituale. Sono anni segnati, benché gravemente ammalato, da una ripresa delle sue peregrinazioni e da numerose lettere apostoliche di incoraggiamento e di esortazione: a tutti i fedeli, ai reggitori di popoli, a tutti i chierici, a tutti i custodi.
Tra i testi lasciatici da Francesco in questo ultimo periodo della sua vita, due sono certamente i più significativi.
Il primo è il Cantico delle Creature, dettato durante un periodo di riposo a San Damiano nella primavera del 1225. Su tale componimento, considerato giustamente uno dei primi capolavori della letteratura italiana in volgare, è stato detto e scritto tantissimo. Segnato dalle stimmate – che lo rendono simile al Cristo nello spirito come nella carne, nella sofferenza come nella gloria – egli può vedere le creature con gli occhi del creatore, come un nuovo Adamo nel giardino dell’Eden. Il secondo è il Testamento, dettato probabilmente nell’aprile 1226 nell’eremo delle Celle di Cortona. È un documento suscettibile di essere analizzato sotto svariati punti di vista. In primo luogo, presenta molteplici valenze indicate da Francesco stesso nel corpo del testo: è un ricordo, col quale riporta alla mente il fervore dei primi anni; è un’esortazione, che rivolge ai frati consapevole delle crescenti difficoltà in cui si dibattono; è una ammonizione, a non deviare dalla strada maestra che lui ha tracciato; è un testamento, con il quale benedice i frati di ogni tempo e di ogni luogo.
Inoltre, è lo strumento utilizzato da Francesco per ribadire alcuni concetti cui nella Regola non era stato dato il necessario risalto e che invece gli stavano particolarmente a cuore: il lavoro manuale, il servizio ai lebbrosi, l’assoluta povertà, il divieto di chiedere privilegi ed altro ancora.
Infine, è sicuramente il testo che meglio rende la ricchezza della sua personalità e l’originalità della sua esperienza religiosa.
Un testo che da sempre è oggetto di studio, fonte di ispirazione, orizzonte di preghiera. Magnifico è il commento di Paul Sabatier nella sua fondamentale Vita di San Francesco d’Assisi del 1894:

«A queste pagine occorre chiedere la nota giusta per delineare la vita del loro autore e farsi un’idea della riforma che egli aveva sognato. In questo monumento dall’autenticità incontestabile, la più solenne manifestazione del suo pensiero, il Poverello si rivela con verginale candore. La sua umiltà è di una sincerità che si impone; è assoluta senza essere eccessiva. Tuttavia egli parla, poiché si tratta della sua missione, con tranquillità e serena sicurezza. Non è forse ambasciatore di Dio? Non ha ricevuto il suo messaggio da Cristo stesso? La genesi del suo pensiero si manifesta divina e personalissima insieme. La coscienza individuale proclama al tempo stesso la sua autorità sovrana e la sua responsabilità: “Nessuno mi mostrava cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la norma del santo Vangelo”».

Gli ultimi mesi della sua vita sono segnati da sofferenze indicibili. L’incontro con sorella morte avviene la sera del 3 ottobre 1226 a Santa Maria degli Angeli. Chissà se negli ultimi istanti della sua vita terrena – per citare un altro grande storico, questa volta contemporaneo, il francese Jacques Le Goff – Francesco si chiede se ha fondato la prima fraternità moderna o l’ultima comunità monastica.

Pace e bene

Pietro Urciuoli

 

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