FRANCESCO D’ASSISI. GIULLARE, NON TROVATORE [12^ ed ultima parte]

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Siamo giunti al termine di questa serie di riflessioni; colgo quindi l’occasione per ringraziare quanti hanno avuto modo di seguirci, spero con interesse.
Ritengo opportuno dedicare questo ultimo intervento a Paul Sabatier (1858-1928), lo storico francese a cui si deve il merito di aver risvegliato l’interesse per la storiografia francescana. In un precedente post si è detto che il Capitolo di Parigi del 1266 dispose la distruzione di tutte le biografie precedenti la Leggenda maggiore di Bonaventura e che per tale motivo essa costituì per lunghi secoli la fonte principale, se non unica, di conoscenza di Francesco; le stesse opere di Tommaso da Celano furono riprese e valorizzate solo sul finire del settecento dai bollandisti. Sabatier intuì che il Francesco presentato da Bonaventura e dal Celano – ossia dai biografi ufficiali, investiti di tale compito dal papa o dal Capitolo – non era del tutto aderente al vero in quanto presentava solo quell’immagine di Francesco che la componente clericale dell’Ordine voleva diffondere e si spese nella ricerca delle biografie non ufficiali, scritte spontaneamente dai frati della prima ora. Ebbe quindi il merito di mettere in confronto dialettico due filoni storiografici in parte effettivamente contrastanti; è con lui – e con il suo storico saggio biografico Vita di san Francesco d’Assisi del 1894 – che nasce la «questione francescana», ossia lo studio delle fonti storiche in nostro possesso, della loro autenticità e datazione. Attualmente l’approccio di Sabatier è parzialmente superato in quanto propone una polarizzazione troppo marcata tra le biografie ufficiali (considerate come espressione della comunità) e quelle non ufficiali (considerate come espressione degli spirituali). Tuttavia, nonostante questo limite, egli ebbe l’incommensurabile pregio di problematizzare la questione delle fonti documentali e di offrirne i primi strumenti ermeneutici; pertanto non è metodologicamente corretto affrontare la storiografia francescana senza partire o passare per Sabatier. La sua attualità è indirettamente testimoniata dalla diffidenza che ancora oggi lo circonda; molti studiosi sostengono che le sue tesi sono faziose e tendenziose in quanto, da pastore calvinista qual’era, si sarebbe inventato un Francesco storico solo per contrapporlo al Francesco della tradizione cattolica. Solo per fare un esempio, l’autore del volume sulla storia dell’O.F.S. che il nostro Consiglio regionale ha adottato come testo di studio dello scorso triennio prescinde totalmente da Sabatier né cita in bibliografia il suo storico saggio del 1894. Ma questa stessa diffidenza si riscontra, diciamo così, anche a ben più alti livelli. Nel corso dell’udienza generale di mercoledì 27 gennaio 2010, incentrata sulla figura di Francesco d’Assisi, Benedetto XVI ha detto:

«Alcuni storici nell’Ottocento e anche nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli, un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa, ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. […] Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa» (Zenit, 27 gennaio 2010).

In realtà, Paul Sabatier e gli storici che lo hanno seguito, solo a leggerli, non hanno mai cercato di contrapporre un cosiddetto Francesco storico al Francesco tradizionale e meno che mai si sono azzardati a sostenere che Francesco non sarebbe stato «un uomo di Chiesa». Piuttosto, hanno evidenziato una serie di aspetti problematici del francescanesimo delle origini: le pressioni della curia romana per trasformare in un ordine clericale ciò che era nato come un movimento laico, la sofferenza con cui Francesco visse questa evoluzione, le lacerazioni interne che caratterizzarono i primi decenni della vita dell’Ordine dopo la sua morte. Ma, evidentemente, si tratta di vicende che si preferisce dimenticare.
Per quel che possono interessare le vicende personali di chi scrive dirò che la prima volta che ho letto la Vita di san Francesco d’Assisi di Sabatier ero poco più che un ragazzo e ricordo che per me fu una autentica rivelazione: un Francesco e un francescanesimo totalmente diversi da come me li avevano sempre raccontati. Poi l’ho riletto altre volte, almeno un paio; uno studio più che una lettura, come si fa con un testo universitario che occorre imparare bene. E ancora oggi ogni tanto mi soffermo su alcune pagine che mi sono particolarmente care. A dire il vero, in tutti questi anni se ho capito qualcosa di Francesco lo devo più ai libri di storia che ai libri di chiesa, più al rigore degli studiosi che alla retorica dei predicatori; e se nel corso degli anni ho acquisito un approccio più critico e disincantato, ma non per questo meno appassionato, al francescanesimo lo devo proprio a Sabatier. Chiudo e saluto tutti citando una frase dello storico francese che mi ha aperto la mente negli anni della giovinezza e che ha contribuito non poco allo sviluppo della mia vocazione francescana negli anni della maturità: «Se grande è il Francesco della leggenda, infinitamente più grande è quello della storia».

Pace e bene

Pietro Urciuoli

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