Francesco d’Assisi. Giullare, non trovatore [3^ parte]

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Il presente post ha per oggetto le Fonti Francescane. Com’è noto trattasi di una selezione di testi del primo secolo di storia francescana pubblicata per la prima volta nel 1977 dalle EFR. Il volume si divide in due parti, la prima relativa a san Francesco, la seconda a santa Chiara d’Assisi; le riflessioni che seguono si limitano alla prima parte.Scritti di Francesco d’Assisi
Gli scritti di Francesco non pongono eccessivi problemi di autenticità, anche se Francesco non è presente in essi in egual misura. Gli autografi di cui disponiamo sono due: la Benedizione a frate Leone con le Lodi di Dio altissimo (di incerta datazione) e la Lettera a frate Leone (1223/1224), conservate rispettivamente ad Assisi e a Spoleto. Altri testi, invece, non sono stati scritti materialmente da Francesco ma sono stati da lui dettati a un frate che ha svolto mansioni di mero segretario: è il caso delle Lettere circolari (A tutti i chierici, Al capitolo generale e a tutti i frati, A tutti i fedeli, Ai reggitori dei popoli) che coprono un arco temporale che va dal 1220 agli ultimi anni della sua vita quando ormai si muoveva con difficoltà e del famosissimo Testamento (1226). Altrove il materiale estensore del testo ha svolto un ruolo più importante: è il caso delle Ammonizioni (1216/1221); le idee sono di Francesco, probabilmente esposte oralmente in varie occasioni, ma il testo vero e proprio è da attribuire al redattore che tali idee ha raccolto e organizzato. Ancora diverso, infine, è il caso delle due Regole (1221 e 1223) che sono frutto del lavoro collettivo di un gruppo di frati; Francesco faceva parte del gruppo ma la sua voce non era sempre preponderante.
Biografie di Francesco d’Assisi
In questo caso la questione si fa molto più controversa. Il dato da cui bisogna partire è il seguente. Alla morte di Francesco nel 1226 era ormai netta nell’Ordine dei Minori la contrapposizione tra una maggioranza, indicata come i frati della comunità, che premeva per una stabilizzazione e istituzionalizzazione dell’Ordine, e una minoranza, i cosiddetti spirituali, che aspiravano a un ritorno alle primitive origini del movimento francescano. All’interno di questa conflittualità si inserivano altre tensioni più o meno sotterranee: ad esempio, tra frati italiani e frati stranieri, tra frati laici e frati chierici. Questi conflitti interni durarono circa un secolo e si intrecciarono con altre vicende non meno dolorose che videro l’Ordine coinvolto in aspri contrasti con le istituzioni ecclesiastiche: gli anni dal 1252 al 1257 furono contrassegnati dallo scontro con il clero secolare dell’Università di Parigi; gli anni dal 1322 al 1328 dal conflitto con il papa Giovanni XXII riguardo alla povertà di Cristo e degli apostoli. Pertanto, l’arco temporale in cui si collocano le biografie di Francesco inserite nelle Fonti Francescane coincide con quello che è sicuramente il periodo più tormentato della storia dell’Ordine dei Minori; un corretto approccio a tali testi non può non tener conto di questo fattore.

La prima biografia di cui disponiamo è la Vita prima scritta da Tommaso da Celano nel 1229 su incarico di Gregorio IX; si trattava di offrire all’intera cristianità il volto di un santo segnato dal prodigio delle stimmate e canonizzato l’anno precedente. Gregorio IX scelse Tommaso sia per le sue note capacità letterarie sia perché aveva conosciuto Francesco personalmente, pur non essendo stato tra i suoi primissimi compagni; era entrato nell’Ordine nel 1215, forse accolto da Francesco stesso. Il Celano per adempiere al compito affidatogli dal papa attinse certamente ai suoi personali ricordi e a quelli dei primi frati nonché agli atti del processo di canonizzazione. Il testo è diviso in tre parti: la prima riguarda la giovinezza di Francesco e i primissimi anni della fraternitas, la seconda gli ultimi due anni della sua vita e il suo transito, la terza la sua canonizzazione. Il testo è ricco di luci e ombre: per un verso è debitore della tradizione agiografica del tempo – si legga la tenebrosa descrizione della giovinezza di Francesco –, per un altro se ne distacca rivelando tratti di sorprendente modernità – notevole è l’analisi dell’evoluzione psicologica di Francesco durante il suo cammino di conversione. In ogni caso, indipendentemente da valutazioni di carattere letterario, la Vita prima costituisce una fonte insostituibile per la conoscenza di Francesco sia perché è la prima in ordine di tempo sia perché è basata su fonti ed esperienze dirette.
L’opera di Tommaso non riscosse unanimi consensi: scontentava gli assisani di cui evidenziava la durezza di cuore; il ceto mercantile di cui deplorava la ricerca di guadagno; umiliava i genitori di Francesco, ritraendoli come genitori insensibili e preoccupati solo del loro ruolo sociale; l’Ordine stesso, del quale non evidenziava lo sviluppo prodigioso; e scontentava anche il papa perché non esaltava adeguatamente una Chiesa che aveva canonizzato il santo a tempo di record. Infine, anche dal punto di vista della ricostruzione biografica si presentava piuttosto lacunosa. E così il ministro generale Crescenzo da Jesi nel Capitolo di Genova del 1244 impegnò Tommaso in una nuova biografia e chiese a tutti i frati di inviare eventuali ricordi e testimonianze scritte. Questi documenti giunsero a Crescenzo nel 1246 accompagnati da una lettera a firma di Leone, Angelo e Rufino – la cosiddetta Lettera di Greccio del 11 agosto 1246 – che si fecero in un certo senso garanti del materiale. Tommaso nel 1248 licenziò la cosiddetta Vita seconda che si componeva di due parti di diversa lunghezza: la prima, di 17 capitoli, completava il racconto della biografia di Francesco fatto nella Vita prima; la seconda, di 166 capitoli, era concepita come una sorta di florilegio delle virtù del santo. Normalmente in questi casi le cartelle preparatorie, le minute e le bozze vengono eliminate una volta terminata l’opera; in questo caso non fu così e molti documenti inviati a Crescenzo rimasero in circolazione. È questa una vicenda di importanza fondamentale in quanto tali documenti furono utilizzati negli anni successivi per l’elaborazione di altri testi.
Anche questa biografia non riuscì a soddisfare tutti i frati – divisi, come si è detto, in varie fazioni – ma soprattutto essa si dimostrava carente in un punto: il Capitolo di Genova del 1244 aveva stabilito che la nuova biografia avrebbe dovuto anche alimentare la venerazione di san Francesco offrendo il racconto dei miracoli che aveva operato e che continuava a operare e questo aspetto non era stato per nulla preso in considerazione dal Celano. E così il ministro generale Giovanni da Parma commissionò a Tommaso una terza opera. Tommaso si rimise al lavoro e nel 1252 scrisse il Trattato dei miracoli.
Col passare degli anni l’Ordine era cresciuto enormemente in numero e in prestigio e si sentì il bisogno di una biografia che presentasse ai frati ormai sparsi in tutta Europa non tanto il frate Francesco quanto il santo Francesco, l’alter Christus, l’uomo insignito delle sacre stimmate che Dio aveva inviato per sostenere la sua Chiesa. Il Capitolo di Narbona del 1260 affidò l’incarico di redigere una nuova biografia a Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dell’Ordine nonché illustre teologo. Bonaventura non aveva conosciuto né Francesco né i primi compagni; nato intorno al 1221 si era recato a studiare a Parigi nel 1235 – dove era rimasto fino al 1257 – e nel 1243 era entrato nell’Ordine; non poteva quindi basarsi su fonti dirette o su ricordi personali. Per scrivere la sua biografia attinse essenzialmente alla trilogia del Celano che rielaborò in chiave teologica utilizzando le sue eccelse doti di filosofo e di teologo; nacquero così nel 1262 la Leggenda maggiore e un suo sunto a uso liturgico, la Leggenda minore. La Leggenda maggiore piacque tanto che il Capitolo di Parigi del 1266 dispose la distruzione di tutte le precedenti biografie di Francesco in modo che non vi potesse essere confusione sulla corretta interpretazione della sua figura e delle sue volontà. Così la Legenda nova (il blocco di Bonaventura) diventava la biografia ufficiale di Francesco e andava a sostituire quella che assunse il nome di Legenda antiqua (il blocco del Celano).
La drastica decisione del Capitolo di Parigi incontrò l’ostilità di molti frati e in special modo degli spirituali, contrari alla piega clericale che l’Ordine ormai aveva assunto. Essi cercarono di recuperare tutto il materiale scampato alla distruzione – in particolare ciò che era rimasto delle bozze inviate a Crescenzo da Jesi nel 1246 – e lo rielaborarono dando vita a nuove legendae il cui scopo era presentare il vero spirito delle origini del movimento francescano. Si trattava quindi di biografie che non avevano il carattere dell’ufficialità – non erano scritte, cioè, su commissione come le biografie di Tommaso e Bonaventura – ed erano destinate a un circuito limitato se non addirittura clandestino. Sono testi molto disomogenei: vi riconoscono parti che sono la trascrizione fedele delle cartelle preparatorie del 1246, parti che costituiscono una rielaborazione di vari frammenti documentali e parti aggiunte ex novo. In alcuni casi gli autori inserirono nel testo la pericope «nos qui cum eo fuimus» [noi che fummo con lui] a significare polemicamente che il loro scritto, a differenza della biografia di Bonaventura, non era frutto di una operazione a posteriori svolta tavolino ma si basava sulle testimonianze dirette dei primi frati; una sorta di sigillo d’autenticità. La più nota tra queste biografie non ufficiali è certamente la Leggenda dei tre compagni, così detta perché nei manoscritti giunti fino a noi è preceduta dalla lettera di Leone, Angelo e Rufino del 1246; trattasi però di una denominazione impropria in quanto, come si è detto, questa lettera accompagnava tutto il materiale inviato a Crescenzo; nessuno dei tre è quindi il reale estensore del testo. L’importanza della Leggenda dei tre compagni risiede nel fatto che i primi 17 capitoli provengono sicuramente dal materiale del 1246 e quindi sono stati fonte diretta della Vita seconda; gli altri capitoli sono frutto di una aggiunta successiva, avvenuta in epoca post-bonaventuriana. Un’altra biografia non ufficiale è quella del cosiddetto Anonimo perugino; il titolo è dovuto al fatto che l’autore di questo manoscritto, ritrovato in un’unica copia a Perugia, è ignoto e si presenta come un discepolo di Francesco. Il testo presenta notevoli affinità con la Leggenda dei tre compagni anche se non è chiaro se sia stato scritto prima o dopo di essa.
Ma non è ancora finita. Il Capitolo di Padova del 1276, constatato che l’editto di Parigi aveva acuito i contrasti più che appianarli, ordinò una nuova ricerca di notizie su Francesco. Tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300 si ebbe così una nuova produzione di scritti biografici, perlopiù anonimi che però vennero attribuiti ai primi compagni e in particolare a frate Leone. Quasi tutto questo nuovo materiale biografico fu incorporato in due compilazioni. La prima è la Leggenda perugina, databile verso il 1310; come per la Leggenda dei tre compagni la sua importanza risiede nel fatto che parte di essa – per la precisione i numeri dall’1 al 97 – proviene sicuramente dal pacchetto inviato a Crescenzo nel 1246 o è ad esso addirittura anteriore. La seconda è lo Specchio di perfezione che fu pubblicata nel 1898 da Paul Sabatier come «Leggenda antichissima di san Francesco» e attribuita a frate Leone che l’avrebbe scritta nel 1227, prima ancora, quindi, delle opere del Celano (da cui il nome di Leggenda antichissima). Si trattava però di un errore di datazione del grande storico francese; oggi tutti gli studiosi concordano sul fatto che sia stata scritta verso il 1318. Il testo ha molto in comune con la Leggenda perugina rispetto alla quale ha sicuramente un’importanza secondaria.
Altri testi, scritti da frati appartenenti alla corrente degli spirituali, completano il quadro. Due di essi hanno un carattere aneddotico/leggendario: si tratta degli Actus beati Francisci et sociorum eius e dei famosissimi Fioretti. Il primo è una raccolta di 76 aneddoti tramandati oralmente e risalente al 1330, il secondo una selezione di 53 capitoli degli Actus scritta in volgare nel 1390. Vi è poi un poemetto allegorico il Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate, di autore e datazione ignoti.  Infine sono da citare l’Albero della vita crocifissa di Gesù di Ubertino da Casale e la Cronaca delle sette tribolazioni dell’Ordine dei Minori di Angelo Clareno, due importantissimi esponenti della corrente degli spirituali.

Da questa sia pur sintetica descrizione si evince che siamo di fronte a un groviglio di fonti documentali dirette e secondarie, un intricato puzzle di cui neanche si conoscono tutte le tessere; un complesso e articolato campo di indagine che va sotto il nome di «questione francescana», avviato sul finire del 1800 da Paul Sabatier e che ancora oggi si arricchisce di nuovi contributi di storici e filologi.
A noi che abbiamo esigenze di tutt’altra natura basta avere cognizione che le biografie di Francesco non costituiscono affatto un insieme omogeneo di testi e che ognuno di essi risente in maniera più o meno marcata di vari fattori: le contingenze storiche, l’appartenenza dell’autore a una corrente piuttosto che a un’altra, gli scopi che questi voleva raggiungere con il suo lavoro, ecc.. Conseguentemente, nessuna di queste biografie può considerarsi quella giusta, quella che restituisce il vero Francesco: ogni biografia può darci informazioni giuste o sbagliate, dipende da cosa vi cerchiamo; e neanche è corretto utilizzare indifferentemente l’una o l’altra biografia, magari adoperando in maniera acritica l’indice tematico in calce alle Fonti Francescane. Valga come esempio quanto afferma l’illustre storico Theophile Desbonnets a proposito della Leggenda maggiore: «una perfetta sintesi di vita spirituale ma che rappresenta anche l’operazione perfettamente riuscita di imbalsamazione di un morto al quale si vuole negare ogni interferenza con la vita reale (T. Desbonnets, Dall’intuizione all’istituzione, Ed. Biblioteca Francescana, Milano 1986, p.176); a significare che il testo bonaventuriano costituisce sicuramente una eccelsa interpretazione mistico-teologica di san Francesco d’Assisi ma che non è affatto attendibile da un punto di vista biografico e storico, trattandosi del lavoro di un teologo che non aveva conosciuto Francesco e che intendeva presentare il santo non l’uomo.
In definitiva, il vero Francesco non lo fornisce né una singola biografia né tutte le biografie messe insieme. Ciò però non deve costituire motivo di scoraggiamento. Certamente non siamo storici o filologi di professione né ci viene chiesto di diventarlo; ma è necessario essere coscienti dell’importanza di una ricerca personale e di fraternità che sappia coniugare la sincera devozione con l’onestà intellettuale; una ricerca nella quale nessuna sintesi chiuda le porte a nuove ipotesi.

Pietro Urciuoli, OFS Avellino Roseto

2 Risposte a “Francesco d’Assisi. Giullare, non trovatore [3^ parte]”

  1. Buongiorno,
    Vi scrivo non per un mio commento, ma per una domanda, se potete darmi risposta: In quale opera, o a quale link, posso trovare l’episodio di San Francesco che cammina con un suo discepolo il quale gli chiede più di una volta di come ( o dove?) fare opere di bene, ricavandone infine risposta dal Santo il quale gli dice che (più o meno) semplicemente camminando e guardando al mondo come creazione di Dio, si assolve ad una opera di carità.

    Vi ringrazio molto e vi auguro ogni bene

    Rolando Pino

  2. Chiedo scusa per il ritardo con cui rispondo, dovuto a impegni di lavoro e di studio.
    Purtroppo non posso essere di aiuto; non conosco il brano di cui parli, l’ho cercato a lungo ma inutilmente.
    Forse si può impostare la ricerca partendo dalla predicazione di Francesco per poi focalizzare sull’importanza che egli attribuiva all’esempio di vita piuttosto che alla eloquenza del discorso.
    Continuerò a cercare, se trovo qualcosa di utile ti faccio sapere.
    Intanto ti porgo i miei migliori auguri.

    Pietro Urciuoli
    ecclesiaspiritualis.blogspot.it

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