L’INCONTRO DI GESÙ CON IL GIOVANE RICCO

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«Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”.
Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni». (Mc 10, 17-22)

In questo passo del Vangelo, il soggetto principale è Gesù che si mette in viaggio.
Da un certo punto in poi della sua vita, infatti, Gesù inizia il suo pellegrinaggio verso Gerusalemme, dove compirà il motivo per cui è venuto sulla terra, e tutto ciò che gli accade lungo il tragitto, è in funzione di quest’obiettivo.
In quest’episodio, mentre Gesù sta per riprendere il suo cammino, un tale gli corre incontro e gli si pone davanti. Quest’uomo si presuppone sia un giovane, ma questo non è specificato dall’evangelista.
Marco ci racconta che il tale corse dietro Gesù, quasi bruciando le tappe della sua vocazione ma questa sua buona volontà sarà raggelata alla fine.
Egli fa una cosa scandalosa, per la cultura ebraica, perché si mette in ginocchio di fronte a Gesù. Per la legge ebraica, infatti, solo Dio può essere adorato, perciò il gesto che compie questa persona, nei confronti di Gesù, è scandaloso. Il tale, però, sente che Gesù è una persona “speciale”, infatti, l’appellativo che gli da’, è: “Maestro buono”.
La “bontà” è una caratteristica che può essere attribuita solo al Signore, infatti, Gesù domanda al tale il perché di questa sua denominazione; evidentemente questa persona percepiva la divinità di Gesù.
Il ricco chiede a Gesù come fare per assicurarsi la vita eterna. Questa domanda, però, non era scontata, per la cultura del tempo, perché non tutti erano concordi – in particolare alcune sette di ebrei – sull’esistenza di una vita eterna.
Questo è il segno che il tale crede nella vita eterna, ma anche che Gesù ne abbia parlato tanto da suscitare la curiosità degli ascoltatori.Il ricco – che si presuppone sia di giovane età – ha sentito parlare Gesù della vita eterna e vuole sapere da Lui come arrivarci, come essere felice, non solo in questa vita, ma anche nell’altra.
Gesù gli risponde: «tu conosci i comandamenti …». I comandamenti sono la strada che, fino allora, gli Ebrei seguivano per la loro salvezza. Alla rigidità della Legge, però, Gesù aggiunge la necessità di vivere i comandamenti con amore.
Gli Ebrei, infatti, erano convinti che l’osservanza dei comandamenti fosse sufficiente per avere la coscienza a posto e l’episodio del pubblicano e del fariseo ne è la testimonianza.
Non è sufficiente, allora, osservare la Legge, ma è necessario mettere amore in quello che si fa. Ad esempio, non si va alla Santa Messa, con lo spirito di osservare un precetto, ma con amore.
Il ricco che incontra Gesù, infatti, afferma di aver osservato la Legge, ma si rende conto che è necessario qualcosa di più, perché in tutto quello che fa, non ci mette l’anima.
Dopo questa risposta, Gesù “fissatolo, lo amò”. E qui l’evangelista pone l’accento sulla potenza dello sguardo di Gesù che si posa sull’ammalato, sul peccatore e che è capace di amare, di sciogliere il cuore.
Dopo questo sguardo, Gesù dice al ricco: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”.
Per fare questo itinerario insieme a Gesù, con l’ombra della croce e la prospettiva della Resurrezione, il tale deve liberarsi di tutta la zavorra che gli impedisce di volare che, nel suo caso, è rappresentata dalla ricchezza.
È necessario, quindi, liberarsi di ogni peso che ci trattiene a terra e inibisce la nostra sequela a Cristo.
Il coraggio del taglio di questa zavorra, però, può avvenire solo quando si è fatto un profondo atto di fede in Gesù. Nonostante la sua corsa dietro a Gesù che gli fa bruciare le tappe – come dicevamo all’inizio – il tale non ha ancora sufficiente fiducia, per gettarsi tra le braccia di Gesù.
Il giovane, allora, si rattrista e se ne va afflitto, al contrario di Zaccheo che, invece, ha avuto fiducia in Gesù e dimostrandolo nel desiderio di restituire il quadruplo a quanti aveva frodato e la metà dei suoi beni ai poveri (cfr. Lc 19, 1-10).
Il giovane ricco, invece, ha il volto triste di chi non crede abbastanza da fare il salto tra le braccia di Gesù e la strada che fa a ritroso, verso casa, la percorre in modo grave.
Il cuore di questo tale non era stato capace di staccarsi dalla sua ricchezza, l’entusiasmo iniziale era stato solo un fuoco di paglia.
Un altro giovane, 1200 anni dopo, vive la stessa situazione: anche lui chiede al Signore cosa deve fare per avere la vita eterna.
Francesco d’Assisi avrebbe potuto essere un cristiano come uno qualunque dei suoi contemporanei.
Lui, però, vuole qualcosa di più. Non vende tutto, per donarlo ai poveri, si fa lui stesso povero.
Francesco, dopo la sua scelta, diventa il testimonial della gioia, della perfetta letizia, al contrario del ricco che Gesù ha incontrato nel vangelo di Marco.
La storia di questo tale, in realtà, è ancora aperta ad ogni possibile scenario, perché nessuno ci dice cosa sia successo dopo, quando il giovane torna a casa, anche perché, lo sguardo d’amore di Gesù non poteva passare, senza portare frutti.
Il Signore, però, lascia sempre una profonda libertà nella scelta. Infatti, Lui mette sempre in antagonismo Dio e “mammona”, ponendo l’uomo nella condizione di dover scegliere.
Francesco, dal canto suo, continuamente raccomanda i frati di stare lontano dalle ricchezze, anche se i frati, in realtà, già non possedevano nulla.
Egli, infatti, sapeva bene che il rischio era di lasciarsi sedurre e, così, abbandonare la sequela di Cristo.
La patrona del Terz’Ordine Francescano, oggi ’Ordine Francescano Secolare, era una regina e questo significa che la ricchezza non è un peccato, solo per il fatto di esistere, ma per come l’uomo lega a essa il suo cuore; quindi, ciò che conta è il distacco del cuore dalla ricchezza.
Questo brano, tra le altre cose, pone l’accento sull’eterno conflitto tra la Legge e l’Amore.
Il giovane se ne va, perché aveva molte ricchezze e non solo materiali.
A questo punto si solleva un altro interrogativo: oltre la ricchezza, può essere la legge stessa, un impedimento verso Dio?
L’apostolo Paolo supera la Legge dicendo, apertamente, a Pietro «… non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6).
La Chiesa di oggi, in che direzione ci sta spingendo: verso la legge o verso l’Amore?
È necessario chiarire che la Legge è comunque necessaria, perché è importante avere degli argini o dei punti di riferimento, altrimenti tutto diventa relativo – come più volte ha affermato papa Benedetto XVI – e tutto è opinabile, col rischio che ognuno si costruisca una religione a propria misura.

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