SENZA PASTORE

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papa_benedetto_xvi_a_milanoSanto Padre, quando il mio collega di lavoro, dall’altra parte della parete che separa il mio ufficio dal suo, mi annunciava delle tue dimissioni, ho creduto fosse uno scherzo.
Nonostante ciò, ho avviato internet, per avere una conferma che fosse solo una bufala e, riprendere, così, il mio lavoro dove l’avevo lasciato.
Mi sono collegato al sito www.repubblica.it e ho avuto come un tuffo al cuore, nel verificare che, invece, era tutto vero.
Tante sono state le ipotesi di chi, come me, cercava di spiegarsi il perché di questo gesto così “grave”: gli scandali, lo stato di salute del papa, la corruzione nella Chiesa …
La mia prima reazione, però, non è stata quella di indagare, per capire il perché, ma di condivisione per il dolore che stava dietro a quella decisione.
Un papa che si dimette non si vede tutti i giorni, anzi, con l’esempio di Giovanni Paolo II ero sempre più abituato all’idea che il papa rimane pastore della sua Chiesa, fino all’ultimo giorno della sua vita.
Da quel giorno, ogni volta che pensavo a Benedetto XVI, sentivo un senso di sofferenza nel cuore, come sapere di una persona cara che vive tra la vita e la morte, nella stanza di un ospedale.
Chissà da quanto tempo si portava questo dolore nel cuore e come ha fatto a convivere con questa sua sofferenza?
Noi siamo abituati ad apprezzare solo la sofferenza esteriore – per noi Giovanni Paolo II è stato un grande testimone, perché ha servito Cristo, anche quando non ne aveva più le forze, – e la sofferenza di Benedetto XVI?
Quante volte avrà chiesto al suo e nostro “Datore di lavoro”: Signore cosa vuoi che io faccia?
E chi lo avrebbe aiutato o compreso? Chi avrebbe potuto consigliarlo?
Ha vissuto tutto questo tempo, solo, con la sofferenza nel cuore, senza poterla condividere con nessuno.
Qualche tempo fa ho visto il film di Nanni Moretti: “Habemus Papam” che qualche giornalista ha subito collegato a questi ultimi eventi.Questo film mi è piaciuto, perché raccontava l’umanità di un papa che non si sentiva adeguato al ruolo di guida della Chiesa e già allora ho provato tanta tenerezza, per quello che, in fondo, era solo un uomo.
In questi ultimi giorni, ho pregato tanto per Benedetto XVI, ma anche per tutti noi.
Credo, infatti, che quanto accaduto sia un segno di Dio che ci chiede di ravvederci, perché in quella “barca” ci siamo anche noi e, se facessimo un profondo esame di coscienza, forse tutti noi dovremmo dimetterci dal nostro ruolo di “cristiani”, perché inadeguati, o, perché stiamo sbagliando direzione.
Le dimissioni del “nostro” papa non devono ridursi a un grande fenomeno mediatico, ma un’occasione di profonda riflessione per tutta la Chiesa, come istituzione e come popolo di Dio; non può tutto finire nel detto: “Morto un papa se ne fa un altro”.
Forse è proprio questa la differenza: se questo papa fosse arrivato alla fine dei suoi giorni, naturalmente, non sarebbe successo nulla di particolare, se non l’avviarsi di determinate procedure, per eleggere un nuovo pontefice. Con le sue dimissioni, invece, niente più sarà uguale a prima.
Ratzinger ha aperto una porta che alti papi attraverseranno? E che influenza avrà il mondo esterno nel condizionare un papa, per indurlo a dimettersi?
Solo il tempo, forse, potrà darci delle risposte, la cosa certa, però, è che da ieri sera, siamo tutti un po’ più soli; siamo come pecore senza pastore.
Preghiamo, allora, perché da questo tempo di profonda sofferenza possa rinascere una Chiesa rinnovata, testimone più credibile dell’amore di Cristo per l’umanità.

Pace e bene.
Ciro d’Argenio

 

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