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FRANCESCO D’ASSISI. GIULLARE NON TROVATORE [7^ parte]

Nel presente post si vuole dimostrare come alcuni tra gli episodi maggiormente conosciuti della vita di Francesco d’Assisi siano in realtà in tutto o in parte inventati, costruiti ad arte dai suoi biografi allo scopo di creare collegamenti con la Sacra Scrittura; episodi nei quali, in accordo con lo stile agiografico medievale, si fa ampio ricorso a sogni e visioni, figure letterarie utilizzate per rappresentare il modo con cui Dio manifesta la sua volontà.
Per brevità si propongono alla riflessione solo due episodi
Il primo è quello della partenza di Francesco per la Puglia al seguito di Gualtieri di Brienne. La Legenda maggiore ci dice che a Spoleto Francesco è colto da una febbre improvvisa e che in sogno una voce gli avrebbe chiesto: «Francesco, è meglio servire il servo o il padrone?».
In pratica, Francesco è intercettato dal Signore sulla via di Spoleto esattamente come san Paolo sulla via di Damasco e come questi risponde: «Signore, cosa vuoi che io faccia?». Se Francesco abbia effettivamente avuto questa visione non lo possiamo né affermare né negare; di certo sappiamo che Gualtieri di Brienne muore in battaglia nello stesso anno, il 1205, a Sarno. È molto probabile quindi che il giovane Francesco abbia rinunciato a partire non appena appresa la notizia della morte del cavaliere francese e dell’annullamento della missione in Puglia.
Il secondo episodio è quello del sogno di Innocenzo III, un episodio immortalato da Giotto in uno dei suoi più celebri affreschi. Secondo Tommaso da Celano Innocenzo III avrebbe sognato un uomo vestito di miseri stracci sostenere una basilica del Laterano in procinto di crollare e, riconosciuto in Francesco quest’uomo, avrebbe approvato il suo duro progetto di vita. Nulla vieta che Innocenzo III abbia avuto effettivamente tale visione; tuttavia è il caso di osservare quanto segue. Questo episodio è riportato dal Celano nella sua Vita seconda, datata 1246; orbene, una analoga visione è riportata anche da Costantino da Orvieto nella sua Vita di san Domenico scritta nel 1244, due anni prima della Vita seconda del Celano. Se non si può escludere che Innocenzo III abbia avuto la visione di Francesco, è però certamente singolare che ne abbia avute addirittura due, una per Francesco e una per Domenico. Più probabilmente il Celano con questo episodio ha voluto rappresentare plasticamente l’interpretazione storica che l’Ordine ha dato di sé negli anni immediatamente successivi alla morte di Francesco e per far questo si è ispirato, diciamo così, al suo collega domenicano.

Pace e bene

Pietro Urciuoli




Francesco d’Assisi. Giullare, non trovatore [6^ parte]

Dopo aver descritto le principali caratteristiche del mercante medievale è opportuno soffermarsi sulla figura del cavaliere, non senza aver prima ringraziato quanti ci seguono ormai con costanza e attenzione.

Nell’Occidente europeo la cavalleria sviluppa caratteristiche differenti da regione a regione ma è comunque possibile individuarne alcuni caratteri comuni.

In una prima fase, nell’Alto Medioevo e in particolare nel periodo carolingio, la cavalleria è alla base dell’organizzazione dell’esercito feudale: il feudatario concede l’investitura al cavaliere che in cambio gli giura fedeltà e mette a sua disposizione il suo valore di combattente. Lo scopo prevalente è pertanto essenzialmente militare.

Successivamente la cavalleria assume una connotazione sociale: con la Constitutio de feudis di Corrado II del 1037 la trasmissione del feudo diviene ereditaria e poiché la successione avviene a favore del primo figlio maschio – il cosiddetto diritto di maggiorasco – ai cadetti rimane la carriera ecclesiastica o quella del cavaliere. Nel secondo caso il giovane rampollo entra a servizio di un feudatario del quale diventa dapprima scudiero; successivamente riceve l’investitura a cavaliere o dallo stesso feudatario o da un cavaliere più anziano. Anche se non mancano casi di gruppi di cavalieri che si abbandonano al brigantaggio, approfittando della propria condizione di uomini armati per depredare e saccheggiare, generalmente i cavalieri si spendono con coraggio e generosità per proteggere i deboli e per combattere l’ingiustizia. Gradualmente sorge in essi il bisogno di istituzionalizzare, di codificare la loro condizione con precise formalità e rituali al punto che il cavalierato giunge a costituirsi come un vero e proprio ordo, termine utilizzato nell’antichità romana per indicare una partizione della società sia di tipo laico che ecclesiastico; il cavaliere non è tale solo perché possiede armi e cavallo ma perché ha uno status ben definito in base al quale si assoggetta a delle regole, assume dei doveri. Tuttavia, sebbene sia costituita prevalentemente da cadetti di nobili famiglie, la cavalleria non coincide esattamente con l’aristocrazia feudale: vi sono casi di uomini di umili origini che i feudatari promuovono al rango di cavalieri per ricompensarne la fedeltà o per premiarne il valore sul campo di battaglia; di contro, vi sono nobili che non giungono mai a essere cavalieri. È questo un tipico esempio di come nel Medioevo la mobilità sociale, per quanto limitata, non fosse del tutto sconosciuta.

Una ulteriore trasformazione della cavalleria è provocata dalla Chiesa che conferisce a tale istituzione un’impronta sacra. Carica di significati rituali e simbolici è la cerimonia dell’investitura nella quale i connotati religiosi sono così marcati da configurarsi come un vero e proprio sacramento: si parla infatti di «ordinazione cavalleresca». La sera precedente la cerimonia, il candidato digiuna, si confessa e passa la notte in orazione durante la cosiddetta «veglia delle armi». La cerimonia dell’investitura si inserisce nella liturgia eucaristica; il vescovo del luogo interroga il candidato in merito alle sue disposizioni nell’assumere gli obblighi che la sua condizione di cavaliere gli impone e benedice le armi che di lì a poco gli saranno consegnate. Ricevuto il giuramento di obbedienza il vescovo consegna pezzo per pezzo l’armatura al neo cavaliere che con la spada sguainata si impegna a versare il proprio sangue – e quello altrui – per difendere la fede e la Chiesa; in cambio la Chiesa gli assicura perdono e indulgenze. La Chiesa utilizza il nuovo corso della cavalleria per i propri fini politici e in particolare per le Crociate e a partire dal XII secolo nascono anche ordini religiosi-militari o monastico-guerrieri, tra cui l’Ordine degli Ospedalieri, l’Ordine di Malta e l’Ordine dei Templari.

L’importanza della cavalleria nella società medievale è testimoniata anche dalla presenza di uno specifico genere artistico e letterario, al quale sono legate le prime manifestazioni delle lingue volgari o neolatine. Si suole distinguere questa forma artistica, diffusa dai trovatori presso le principali corti europee, in due segmenti. Il primo è quello che nasce nella Francia settentrionale nell’XI secolo, si sviluppa in lingua d’oil e tratta argomenti epico-cavallereschi. Viene distinto un ciclo carolingio (che celebra le gesta di Carlo Magno e dei suoi più fedeli paladini, quali il paladino Rolando) e un ciclo bretone (che sviluppa le leggende celtiche ambientate nelle isole britanniche legate alle gesta di re Artù, i Cavalieri della Tavola Rotonda, Lancillotto, Tristano e Isotta, ecc.). Vengono esaltati i valori tipici della nobiltà e della cavalleria come la fedeltà e il coraggio, valori per i quali nobili cavalieri sono disposti a dare la vita. Il modello lirico più diffuso è quello della canzone, la chanson, e quindi la chanson de geste. Particolarmente nota è la Chanson de Roland nella quale viene esaltata la figura di Rolando, l’eroe cristiano che si sacrifica per la fede. Il secondo segmento nasce invece nella Francia meridionale, particolarmente in Provenza, nel XII e XIII secolo, e si sviluppa in lingua d’oc; tratta prevalentemente argomenti amorosi, sublimando l’ideale del cosiddetto «amor cortese». Si tratta di componimenti «cortesi-cavallereschi» nei quali il cavaliere, sempre pronto ad affrontare avventure pericolose per la sua dama fino all’estremo sacrificio, è sinonimo di combattente coraggioso ma anche di amante passionale e spregiudicato.

Non stupisce quindi il potente fascino che il modello di vita cavalleresco era in grado di esercitare sui giovani del tempo: per i cadetti di famiglie nobili rappresentava un mezzo per rientrare a pieno titolo nell’ambiente aristocratico; per i giovani appartenenti alle classi subalterne ed emergenti, quale fu Francesco d’Assisi, una opportunità di ascesa sociale.

Pace e bene

Pietro Urciuoli