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ANNIVERSARIO P. INNOCENZO MASSARO

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Domenica 9 settembre 2012, alle ore 11, presso la Chiesa S. Maria del Roseto di Avellino, è stato celebrato il primo anniversario della nascita al cielo di P. Innocenzo Massaro, frate cappuccino.
La solenne liturgia è stata celebrata con la partecipazione commossa di tutta la comunità che, ancora una volta, ha voluto dimostrare tutto il suo affetto per il frate fondatore dell’Opera Sociale Roseto.
La liturgia è stata resa ancora più intensa dai canti con cui la “schola cantorum”, come amava chiamarla lui, – al secolo la Gi.Fra. e l’Ofs – ha animato la S. Messa e particolarmente commovente è stato il canto “Al Signore canterò” che P. Innocenzo amava tanto.
Durante l’offertorio, sono stati portati all’altare alcuni degli oggetti che lo avevano accompagnato nella sua vita, come il breviario, la corona del Rosario, il suo cappotto …
Al termine della Liturgia è stata scoperta, in suo onore, una lapide dove è riportato un suo scritto in cui dice: «Guardate alla storia del Roseto, sembra di assistere ad un meraviglioso concerto al quale hanno partecipato moltissimi uomini, tutti diretti e guidati da un grande e invisibile Maestro: il Signore».

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IL RISVEGLIO DELLE COSCIENZE AL RINTOCCO DELLE CAMPANE

Questo titolo mi sembra che riassuma al meglio i contenuti del XXIX Convegno Ecclesiale della Diocesi di Avellino sul tema: “Educazione e nuova evangelizzazione in un mondo che cambia” che si è svolto nei giorni 19 – 20 – 21 aprile 2012, presso l’Istituto d’Arte “P. A. De Luca” di Avellino.
Insieme al nostro Vescovo Mons. Francesco Marino, ha aperto i lavori del convegno Mons. Mariano Crociato Segretario Generale della C.E.I. parlando entusiasticamente all’assemblea numerosa e qualificata, rappresentativa di tutte le forme associative e comunitarie della Chiesa locale.
“È possibile educare alla fede?” è la domanda che nella sua illuminante relazione mons. Crociata ha posto come avvio di una riflessione sulla scelta educativa che i vescovi italiani propongono nel noto documento: “Educare alla vita buona del Vangelo”, contenente gli orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020. Compito primario della chiesa, nella duplice veste di evangelizzatrice ed educatrice attraverso tutti i suoi membri sia chierici che laici, è di presentare Cristo, di offrirlo come modello da imitare e riproporre in ogni credente che voglia responsabilmente aderire alla fede cristiana e mantenere le sue promesse di battezzato.
Testimoniare quest’esperienza trasformante dell’incontro con Dio, diventa il centro dell’azione di ogni cristiano che deve fare della chiesa il luogo privilegiato di preghiera e annuncio, affinché venga risvegliato e riconosciuto questo dono del padre che ci rende abili protagonisti per preparare, formare ed accompagnare ogni persona nella sua esperienza di vita, tenendo vivo il ricordo dell’incontro che ha mobilitato tutta la propria vita.Mons. Crociata, a questo scopo, ci esorta ad essere consapevoli di trovarci sempre alla presenza di Dio che, con la sua parola, dà senso a tutto il nostro modo di essere e di agire, di uomini dalla fede adulta.
La fede è un dono di Dio che, fin dalla nascita, è già dentro di noi, fa parte del patrimonio che abbiamo dalla nascita, ma per imparare a riconoscere quello che si ha dentro, c’è bisogno di esplicitarlo attraverso il confronto e lo stimolo dell’altro.
Il bambino, soprattutto, ha bisogno di avere accanto a sè adulti maturi che credono veramente , perché, guardando l’adulto, cercherà di imitarlo, per questo bisogna essere veri ed autentici.
Dalla incompiutezza di questa gradualità nascono tante devianze, dissociazioni, si sfocia nel pessimismo e scetticismo, fino al rifiuto della trascendenza, entrando in un’ottica di autonomia che porta, inevitabilmente, alla solitudine, a situazioni di disumanità che bloccano e spaventano.
Educare vuol dire: costruire comunità, relazioni significative che partono dalla famiglia, ma che coinvolgono tutta la società. Vivere secondo la fede, alla luce della vita buona del Vangelo, significa migliorare l’ambiente e, quindi, la storia.
Credere nella grazia, nella sua potenza crea nuovi metodi per trasmettere la fede, perché hanno già al loro interno tale forza. Continuava Mons. Crociata e conclude: tante sono le realtà che cambiano, che mettono in crisi, che fanno tremare, ma la fede ci deve rendere appassionati per poterle affrontare, restando orientati a Dio, troveremo il modo migliore per abitare da adulti questo mondo.
Il giorno seguente si sono affrontate le tematiche ed elaborato proposte in diversi gruppi di lavoro, esattamente dieci che abbracciano gli ambiti di tutto l’orizzonte ecclesiale quali: l’iniziazione cristiana, l’affettività, la cittadinanza, il lavoro e la festa, la tradizione, le comunità ecclesiali, la società e la vita parrocchiale.
I laboratori sono risultati molto fruttuosi per la vivacità che contraddistingue gli operatori ecclesiali che da veri fratelli si aprono a vecchi e nuovi orizzonti, per offrire modalità concrete, stimoli e consigli, per rendere con rinnovato spirito di servizio l’amore a Dio e al prossimo.
Il nostro vescovo S. E. Mons. Marino nella comunicazione conclusiva del convegno ha raccolto tutte le istanze emerse dalla lettura degli elaborati da parte dei capigruppo ed ha paternamente garantito che il rinnovamento messo a fuoco e auspicato dallo spirito di tutti i presenti, partirà da nuove pastorali diocesane che abbracciano tutti gli ambiti sociali e in particolar modo la famiglia, che non può essere lasciata da sola ad affrontare il disastro antropologico dovuto alla frammentazione globale, alla crisi economica e di valori e alle conseguenti rotture di una memoria cristiana che non ci deve far cadere in sterili nostalgie del passato, ma fortificarci e spingerci verso una nuova evangelizzazione che vedrà impegnati i laici insieme ai parroci nelle famiglie e nei luoghi dove si incontra maggiormente carenza di fede e di vera testimonianza.
Nuovi missionari e nuovi profeti, quindi, che non prescindono dalla formazione permanente, ma più specifica per l’annuncio, presso le sedi diocesane o parrocchiali (evangelizzazione ad intra) ma che arrivano e coprono l’intero territorio, per raggiungere tutti i figli e le figlie di Dio (evangelizzazione ad extra).
Augurando che questo fermo proposito venga sostenuto dallo Spirito Santo, il Vescovo ha invocato su tutta la comunità ecclesiale una nuova Pentecoste che, come fiamma, possa accenderci di speranza, audacia e coraggio, per annunciare liberamente e nella gioia, il Vangelo di Gesù Cristo.
L’ultima giornata del convegno si è conclusa con la celebrazione eucaristica e l’ordinazione di due diaconi.
Fin qui, quasi fedelmente, ho riportato la notizia, ma ora vorrei aggiungere le mie impressioni.
Ho visto una marea di gente; ho visto l’impegno e il desiderio di dare, di ospitare; ho visto tensione, preoccupazione, ma non rassegnazione. Ho rivisto vecchi amici, sempre in prima linea: altri non c’erano. Ho stretto nuove amicizie. Ho cercato di pregare e di cogliere in ogni volto la volontà di essere fratelli, di non giudicare l’altro, ma aiutarlo a non restare ai margini di una storia che si divincola da ogni schema mentale, da ogni pregiudizio, da ogni vizio, per metterci in pausa, in festa, renderci gradualmente migliori.
Insomma, mi è proprio piaciuto.
Grazie allo staff e a quanti hanno collaborato a creare una bella atmosfera di Chiesa in cammino.
Pace e bene.

Eugenia Iannone




CHE COS’È IL VANGELO?

Alcuni credono che il vangelo sia la biografia di Gesù, come i libri lo sono, per i personaggi storici.
Il vangelo, invece, è la “buona notizia” che Gesù è risorto e così non fosse, tutta la nostra fede sarebbe vana.
Il vangelo, dunque, non è una semplice “biografia” di Gesù, ma è una rilettura della sua vita, alla luce della Resurrezione; è come leggere un libro o veder un film di cui già si conosce il finale.
Il vangelo fu scritto alcuni anni dopo la morte di Gesù.
Il gruppetto degli Apostoli che si riuniva con Maria, grazie alla discesa dello Spirito Santo, esce dal cenacolo, per annunziare la Resurrezione di Cristo, a cui essi avevano assistito, in veste di testimoni diretti.
Questi discepoli analfabeti che prima si rinchiudevano nel cenacolo, per paura di fare la stessa fine di Gesù, all’improvviso, dopo l’incontro col Risorto e rafforzati dallo Spirito Santo, trovano il coraggio di andare per il mondo.
Andando per il mondo, gli Apostoli annunciano la morte e Resurrezione di Gesù, cioè la “buona novella” o “Vangelo”.
Accanto a quest’annuncio, gli Apostoli riportano anche le parole dette da Gesù che erano trascritte su bigliettini e conservate.La prima forma di trasmissione del Vangelo, quindi, è stata quella orale sostituita solo alcuni decenni dopo la morte di Gesù dalla forma scritta.
I Vangeli canonici, cioè quelli “ispirati” da Dio e riconosciuti dalla Chiesa, sono stati scritti da Luca, Matteo, Marco e Giovanni.
L’autore del Vangelo è detto “evangelista” ed è chi mette, per la prima volta, nero su bianco l’annuncio di Gesù.
Matteo e Giovanni sono stati anche Apostoli di Gesù, mentre Luca e Marco sono discepoli che sono cresciuti sotto la guida di Paolo e Pietro.
Gli evangelisti, a un certo punto della storia, hanno deciso di mettere insieme quei bigliettini lasciati dagli Apostoli nelle loro predicazioni.
Nasce, così, la prima redazione del Vangelo, con l’obiettivo principale di evitare cattive interpretazioni del pensiero degli Apostoli che, piano piano, andavano scomparendo, a causa delle persecuzioni, dell’età, ecc..
I quattro evangelisti riportano episodi della vita di Gesù, visti da prospettive diverse: il punto di vista da cui guarda Luca è diversa da quella da cui guardano Marco, Matteo e Giovanni.
È come leggere il commento di una partita fatto da tifosi di squadre avverse che raccontano lo stesso evento, ma secondo prospettive diverse.
Matteo, ad esempio, è un ebreo, quindi, il suo obiettivo è di annunciare il messaggio di Gesù agli ebrei, basando tutta la storia della salvezza sulla tradizione ebraica, cioè innestando il Vangelo sulle scritture dell’Antico Testamento.
Matteo, perché Gesù sia accolto anche dal popolo ebraico, lo presenta come il vero Messia promesso dalle scritture.
La radice ebraica del Vangelo di Matteo si può notare già dall’inizio, cioè dal “vangelo dell’infanzia”, dove il protagonista è Giuseppe – e non Maria come avviene per Luca, a d esempio – e questo perché l’ebreo era maschilista e anche Matteo lo era.
L’evangelista Luca è greco ed è discepolo di Paolo, ma è un pagano e non conosce nulla della Legge ebraica.
Questa libertà da qualunque radice religiosa la mette in risalto in alcuni temi fondamentali che emergono dal suo vangelo, tra cui l’universalità della salvezza che, al contrario di Matteo, non è destinata solo al popolo ebraico, ma a tutta l’umanità.
Il concetto di una salvezza universale lo porta ad approfondire le varie problematiche legate alla misericordia divina.
Anche Marco, come Luca, è pagano; il suo è un vangelo soprattutto narrativo, infatti, è il più breve.
Il vangelo di Giovanni è, in ordine di tempo, quello a noi più vicino. È scritto quando Giovanni ha tra gli ottanta e i novanta anni e la comunità ha già fatto un certo cammino, perché sono già passati alcuni decenni dalla morte di Gesù.
Nel vangelo di Giovanni non c’è la cronologia degli eventi, l’autore racconta la vita di Gesù riportando alcuni episodi importanti della sua vita, per presentare, teologicamente, un messaggio ben preciso, ad esempio approfondendo il tema dei “segni” (Giovanni non parla mai di miracoli), di cui Gesù si serve, per trasmetterci il suo insegnamento.
Tra i vari “segni” compiuti da Gesù, Giovanni ne sceglie sette.
I Vangeli sono stati scritti in epoche diverse, per cui, quando Luca scrive, tiene conto di Marco e Matteo e questo si può evincere dall’introduzione del suo vangelo.
I fatti raccontati, anche se scritti in epoche differenti, coincidono (nonostante la prospettiva diversa), per questo motivo sono detti “sinottici”.

dalle catechesi di p. Gianluca Manganelli




FRANCESCO D’ASSISI. GIULLARE, NON TROVATORE [11^ parte]

Con la morte di Francesco si apre un ulteriore e ultimo capitolo: la costituzione di un idoneo supporto giuridico in grado di completare quel processo di trasformazione della fraternitas laica in ordo monastico già avviato con l’approvazione della Regola bollata del 1223.
È un percorso scandito da una serie di bolle pontificie. La prima della serie è la Quo elongati del 28 settembre 1230; in questo documento Gregorio IX scioglie numerose questioni: viene sancito il carattere non vincolante e subordinato del Testamento rispetto alla Regola, vengono mitigate le norme in materia di povertà attraverso il distinguo tra «proprietà» e «uso», viene limitato l’accesso ai capitoli ai soli ministri provinciali, codificato il diritto esclusivo del ministro generale di esaminare i frati candidati alla predicazione, sancito il divieto per i frati di entrare nei monasteri delle Povere Dame in assenza di specifica autorizzazione. Questo processo di irrigidimento normativo di tipo monastico non viene accettato da tutti e nell’Ordine prende a farsi netta la distinzione tra quanti desiderano mantenersi fedeli al primitivo spirito di Francesco – definiti zelanti, rigoristi, spirituali – e il resto dei frati che si denominano col termine di comunità. Ma l’Ordine è attraversato anche da altre tensioni: si sviluppano rapporti conflittuali anche tra frati laici e frati chierici  nonché  tra frati italiani e frati stranieri.
L’Ordine va verso una sempre più spinta clericalizzazione: al capitolo del 1239 si stabilisce che nessuno può essere ricevuto nell’Ordine se non è già chierico e convenientemente istruito nella grammatica o nella logica; con questa disposizione Egidio, Ginepro, Giovanni il Semplice e lo stesso Francesco non sarebbero stati ammessi nell’Ordine. Viene inoltre deciso di non affidare ai laici le funzioni di ministro e di guardiano; è l’inizio di quel processo di marginalizzazione, evidente anche ai nostri giorni, che vedrà riservare ai frati laici i soli lavori domestici o comunque le mansioni più umili.
I contrasti tra spirituali e comunità si inaspriscono anno dopo anno. Molto frequentemente gli spirituali si ritirano in romitori di montagna per poter osservare più fedelmente la regola e per evitare scandali; altre volte, invece, tale scelta viene imposta come forma di punizione e di allontanamento, insieme a maltrattamenti, carcerazioni e persecuzioni.
Con la bolla Licet ex omnibus Innocenzo IV divide l’Italia in due zone inquisitoriali, una affidata ai Predicatori, l’altra ai Minori; i francescani della seconda generazione divengono così persecutori di movimenti religiosi popolari e laici, ossia di movimenti del tutto analoghi alla primitiva fraternitas.
Segno evidente della dilagante conflittualità che attraversa l’Ordine è il tumultuoso avvicendarsi di ministri generali; Pietro Cattani, che era stato nominato direttamente da Francesco nel 1221, muore nello stesso anno e viene sostituito da Elia; Elia non viene confermato nel capitolo di Assisi nel 1227 e al suo posto viene eletto Giovanni Parenti; Giovanni Parenti viene sostituito in favore di Elia al capitolo di Roma nel 1232; Elia viene deposto a Roma nel 1239; Alberto da Pisa e Aimone da Faversham muoiono in carica rispettivamente nel 1241 e nel 1244; Crescenzo da Jesi è deposto nel capitolo di Lione del 1247 e Giovanni da Parma in quello di Roma del 1257.
Il successore di Giovanni Parenti è Bonaventura da Bagnoregio. La sua importanza è tale che viene considerato il secondo fondatore dell’Ordine, se non addirittura il fondatore vero e proprio; va ascritta a suo merito la composizione dei conflitti interni con la promulgazione delle Costituzioni Generali; e va ascritta a suo merito anche la composizione dei conflitti esterni, specie con il clero parigino che nel 1245 aveva chiesto la soppressione dell’Ordine appellandosi al IV Concilio Lateranense del 1215 che vietava la formazione di nuovi ordini religiosi. Bonaventura muore nel 1274, dopo un generalato durato circa un ventennio. Afferma a tal proposito Raul Manselli: «Quello che prima di lui era un movimento non certo caotico e disorganizzato ma pur sempre policentrico, con molteplici correnti ed atteggiamenti in confronto se non in contrasto, dopo vent’anni circa di generalato di Bonaventura aveva acquistato una fisionomia unitaria, una strutturazione organica, una sua attività impegnata, vivace, ma normale, senza oscillazioni e perplessità, nonostante le non poche difficoltà che aveva dovuto attraversare, fra i rischi di soppressione da parte del clero e, aggiungiamolo pure, le critiche dei rigoristi»
Insomma, col generalato di Bonaventura la fraternitas di Francesco diventa un Ordine vero e proprio; resta da chiedersi però se non diventa anche un Ordine come tutti gli altri.

Pace e bene

Pietro Urciuoli