1

RITIRO AVVENTO OFS AVELLINO-ROSETO

ritiro Ofs Avellino_Roseto_1

Domenica 13 dicembre 2015, la fraternità Ofs di Avellino-Roseto ha vissuto una giornata di ritiro spirituale, in preparazione al Natale, presso l’Istituto psicopedagogico di Prata Principato Ultra.
Il ritiro ha avuto inizio alle ore 13, con il pranzo a sacco, che ha rappresentato il momento dell’incontro e della condivisione.
Dopo il pranzo, l’incontro è entrato nel vivo, con una riflessione di p. Gianluca Manganelli sul tempo di Avvento, ma con una finestra aperta sul Giubileo Straordinario della Misericordia.
Padre Gianluca Manganelli ha voluto iniziare la sua riflessione evitando di ripetere formule e definizioni ormai note a tutti, ma raccontando un dialogo avuto con alcuni bambini in una classe di catechismo, parlando dell’Incarnazione.
«L’Incarnazione – racconta p. Gianluca, riferendosi all’episodio suddetto – può essere spiegata con l’esempio di un’unghia tagliata male che può entrare nella carne.
Allo stesso modo Dio desidera fare l’esperienza della carne umana. A differenza dell’unghia che quando entra nella carne fa male, quando Dio entra nella carne, è lui stesso a soffrire, perché c’è il rifiuto da parte dell’uomo. Nonostante tutto, questa Incarnazione continua ancora oggi. L’incarnazione, infatti, è avvenuta più di duemila anni fa, ma avviene anche oggi ogni volta che celebriamo l’Eucarestia. C’è un’altra incarnazione ancora, è quella del Volto di Dio che si fa carne nell’altro e nei poveri in particolare: nella persona che il Signore mi mette accanto, sperimento l’incarnazione di Dio.
Nel Vangelo del giorno (Luca 3,10-18) le folle, i soldati, il pubblicano chiedono a Giovanni il Battista cosa possono fare per accogliere quel messia che lui sta annunciando. E cosa posso fare io per prepararmi al meglio all’avvento del Signore? Certamente vivere al meglio le mie responsabilità: in famiglia, sul luogo di lavoro nella vita di fraternità….».
Dopo la sua breve riflessione, padre Gianluca ci invita a condividere i nostri propositi, per vivere meglio il nostro essere cristiano in questo tempo.
«Il Giubileo Straordinario della Misericordia ci da l’occasione per riflettere sul fatto che una strada maestra per cambiare il nostro atteggiamento e capire se siamo o meno discepoli di Cristo, è la scelta preferenziale per i poveri. Don Tonino Bello dice che i poveri non sono i destinatari dell’evangelizzazione, ma chi evangelizza. Lo stesso ha fatto San Francesco che per comprendere il vero significato del Vangelo ha voluto recarsi presso i lebbrosi.
San Paolo dice nella lettera ai Corinzi che senza la carità qualunque grande azione non avrebbe alcun significato e c’è un parallelismo tra il brano della perfetta Letizia, di San Francesco, e l’inno alla Carità di San Paolo.
Nella Misericordiae vultus, Papa Francesco esorta tutti ad aprire il cuore alla misericordia, soprattutto di aprirlo agli ultimi. Le opere di carità, però, non si esauriscono nel donare il bene di cui si ha bisogno; a una persona nuda, infatti, non basta dare dei vestiti, ma ridargli anche della sua dignità. Don Milani diceva che chi fa un’opera buona a un povero è come se pagasse un debito, conseguenza dell’ingiustizia del nostro mondo».
Alla domanda se era necessario indire un giubileo, Padre Gianluca risponde che dal Concilio Vaticano II in poi, tutti i papi hanno rilevato come la misericordia sia un riferimento su cui deve poggiare tutta la spiritualità della Chiesa di oggi. Papa Francesco oggi con l’annuncio del giubileo straordinario ha voluto porre l’accento sulla misericordia e sulla tenerezza di Dio.
Il Giubileo della Misericordia non è stato un’idea per favorire il business, ma un’opportunità per approfondire la spiritualità della tenerezza di Dio che diventa occasione di crescita per la Chiesa. La stessa Chiesa di Avellino si propone di realizzare almeno due opere-segno che rappresentano un’opportunità di crescita per tutti.
Riferendosi ancora al Giubileo, p. Gianluca riporta il pensiero di don Tonino Bello che in suo scritto, quasi profeticamente se seguiamo l’impronta che papa Francesco sta dando alla Chiesa di oggi, diceva di sognare un Giubileo al contrario; oggi – quando scriveva – le persone si mettono in fila per entrare nella chiesa, lui sogna un giubileo dove la folla dalla Chiesa esce per andare verso le periferie.
Dopo l’intervento di p. Gianluca, alcuni Terziari si sono uniti alla celebrazione organizzata dalla Diocesi per l’apertura della Porta Santa, presso il Duomo di Avellino, gli altri hanno proseguito l’incontro insieme agli ospiti – una volta li chiamavamo i bambini di Prata, oggi qualcuno arriva anche ai quarant’anni – della struttura che ci ha ospitato.




CARO DON TONINO …

Caro don Tonino, in tutta sincerità non ho ancora fatto pace con la tua morte: non solo perché la tua assenza brucia (e talvolta non riesco quasi a perdonarti per quel salto senza rete che ti ha proiettato oltre l’orizzonte del nostro sguardo).

Ma perché dopo è stato davvero il finimondo. Come se, calato il sipario della tua esperienza terrena, la storia umana si fosse avvitata in una spirale nichilista e buia. Come se, a noi sopravvissuti, fosse comminata la pena dell’esilio da noi stessi, dai nostri bisogni di verità e di amore. È stato molto più di una solitudine e di uno smarrimento.

Tu eri volato, con le tue ali sfibrate dalle metastasi, nel cielo della “ulteriorità” (ti rubo una parola che mi hai sussurrato l’ultima volta). Noi invece di colpo eravamo scivolati giù nei dirupi del “pensiero unico”, in uno spazio interdetto alla profezia e alla carità, in un alfabeto capovolto e levantino, in un universo di piccole patrie isteriche e minacciose, dove anche lo spirito santo veniva arruolato come un gendarme atlantico o un controllore orwelliano al servizio del New West. Era come tornare nel cono d’ombra delle catacombe.

Tu trasmutato in un’icona rischiosamente consolante, noi pronti per i leoni del Colosseo globale, della fictionseriale e della mass-mediocrità.
Sono passati come un lampo tutti questi anni e ancora sento il vento tiepido di quel pomeriggio di aprile, sulla spianata in fronte al mare azzurro di Molfetta, nella mestizia popolare di quella lunga, lenta, indicibile cerimonia dell’addio. Dieci anni fa. Oppure ieri. O forse è ora.

Lo so, caro vescovo, tu intercettasti tra i primi il vento cattivo che soffiava a Occidente. Sulla sequela di Cristo ci indicasti la Via Crucis che portava a Bagdad e a Sarajevo, osando immaginare e poi incarnando – in quella “festa di dolore” che ti fece solcare la terra ghiacciata e incandescente di Bosnia – una traccia di “Onu dei poveri”: che ancora oggi è per noi una pietra angolare.

Ci raccontasti il malessere partendo dal benessere e dalle sue arti marziali e dai suoi valori misurati in Borsa: non basta “consolare gli afflitti”, bisogna “affliggere i consolati”, così ci provocavi. E le tue non erano capriole semantiche o giochi di enigmistica. Sull’asse della tua indignazione girava un intero mappamondo a forma di Golgota: e in ogni povero cristo (disoccupato o immigrato, tossico o carcerato) tu vedevi la “regalità” del dio vivente e ci ammonivi ad accogliere e a donare.

Amore, voce del verbo morire: non stavi alludendo a una spiritualità masochista, ma alla sfida permanente della conversione: che è schiudersi agli altri, scacciare i fantasmi della paura delle diversità, conoscere e scambiare e contaminarsi e donare.

Fuoriuscire dal recinto del privilegio e dell’egoismo, recidere il filo spinato del pregiudizio nutrito di petrodollari, detronizzare la dinastia planetaria del profitto. Cambiare registro, cambiare pelle al presente, farsi costruttori di strade e pontili piuttosto che di muraglie e di barriere architettoniche. Con-dividere: farsi compagni del mondo, farsi prossimo, coniugare i verbi della conoscenza e della tenerezza per chi normalmente inchiodiamo al legno delle nostre fobie e delle nostre pigrizie.

Lo so, don Tonino, persino l’immagine teologica della Trinità – fusione perfetta di tre entità distinte – era per te l’icona di quella splendida “visione” che hai colto nella più bella delle tue espressioni: convivialità delle differenze. Come un infinito abbraccio dei popoli e delle persone, delle fedi e delle culture. Questa, sui sentieri accidentati di Isaia, è la filigrana della pace che cerchiamo.

Sarà necessario, ovviamente, mutare le nostre spade in aratri e le nostre lance in falci. E cioè cambiare in radice modello di sviluppo e forma del potere: liberando la storia umana dalla sua ipoteca di oppressione e di violenza, sradicando dalle nostre lingue ogni codice di guerra, svuotandoci dell’odio che si è lungamente sedimentato nei nostri consessi civili e nei nostri cuori.

Carissimo amico perduto e ritrovato ogni giorno, tu ci lasciasti in dono un seme di passione (che è voce del verbo patire). Fummo confitti (non sconfitti) dai chiodi del conformismo e della omologazione. Eppure continuammo a coltivare quella charitas sine modo che ci sfida e ci interpella, quei “pensieri lunghi” che quasi ci sospendono tra cielo e terra.

Continuammo, seguendo la tua ombra buona, a costruire piste di “utopia”: ecco, utopia è la parola che adoperano, con intenzioni di scherno, i trafficanti di realismo, i farisei dei nostri giorni, i burocrati dei silenti genocidi mercantili. Ma a dispetto di tutte le realpolitik, di tutti i governi e di tutte le cancellerie che ci dettano la lentezza delle loro tregue e la fretta delle loro guerre, ora, gridiamolo don Tonino, ora è il tempo dell’utopia! Perché avevi ragione tu: non andiamo verso la fine, ma verso un nuovo inizio.

E io volevo dire al mio pastore, mentre lo penso con nostalgia, che quel suo seme, dopo un inverno fin troppo lungo, ha cominciato a germogliare. Le oscure catacombe hanno figliato moltitudini di battezzati alla pace. È vero: rombano già i motori della macchina holliwoodiana della “guerra infinita”.

Ma ancora più forte si sente, a ogni latitudine del mappamondo, il suono di una nuova coscienza. Forse l’antica sentinella può finalmente risponderci che la notte non è più tanto lunga, che sta per finire. E così sia.

Nichi Vendola, Aprile 2003




TI CONSIGLIO UN … LIBRO

Il vangelo del coraggio : Riflessioni sull’impegno cristiano nel servizio sociale e nella politica
Don Tonino Bello
ED. San Paolo

Coraggio, gente: non adattiamoci alla mediocrità. Facciamo un checkup collettivo in fatto di comunione, per riscoprire la speranza dalla parte di Dio. *Amici operatori sociali e politici, non vi scoraggiate. Chiedete al Cielo il dono di una genialità nuova che vi metta in grado di esprimere, su scenari politici più giusti, il vissuto e le ansie dell’ uomo contemporaneo, alle soglie del terzo millennio. * Occorre spalancare la finestra del futuro progettando insieme, osando insieme, sacrificandosi insieme. Da soli non si cammina più. * Accoglienza, scambio, integrazione, diversità: sono i termini del nuovo dizionario che dovrà regolare i linguaggi dell’ Europa e del mondo. Cultura dell’ egemonia, intolleranza, razzismo: dovrebbero essere i vocaboli antiquati di un dizionario che non si ristampa più. * La compassione del cuore deve diventare anche compassione del cervello. E’ necessario amare prevedendo i bisogni futuri, pronosticando le urgenze di domani, utilizzando il tempo che ordinariamente si spreca nel riparare i danni, a trovare il sistema per prevenirli. Di qui l’ assoluto bisogno che chi si assume l’ impegno politico guardi lontano, a di là degli steccati strapaesani. “Non demordete: la coerenza paga, anche se con qualche ritardo. Paga anche l’ onestà. E la speranza non delude.