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VITA DI FRATERNITÀ

Incontro Zona Interdiocesana di Avellino per Iniziandi e Ammessi
Incontro Zona Interdiocesana di Avellino per Iniziandi e Ammessi

Sabato 9 maggio 2015, presso il convento dei frati Minori di Atripalda (AV), si è tenuto il 2° incontro di formazione dedicato a Iniziandi e Ammessi appartenenti alle fraternità della zona Interdiocesana di Avellino.
All’appuntamento hanno preso parte le fraternità di Atripalda(6), Avellino-Cuore Immacolato(2), Avellino-Roseto(5), Mercogliano(4), Montefusco(1), Montella(3), Serino(6), Volturara Irpina(1) e le fraternità in formazione di Montefalcione(3) e Mirabella(2), per un totale di 35 presenti.
L’incontro è stato presentato da Anna Carrino, ex consigliera regionale che ha spiegato gli obiettivi di questo secondo appuntamento.
All’incontro era presente anche il neo consigliere regionale Ciro d’Argenio che, però, non si è degnato nemmeno di fare un saluto ai partecipanti e di ciò dovrà fare ammenda …
La riunione è stata aperta da un breve momento di preghiera sulla vita fraterna delle prime comunità cristiane e francescane.
Dopo la preghiera, p. Gianluca Sciarillo della fraternità dei Frati Minori di Serino, ha iniziato la meditazione sull’incontro, presentando i nove pilastri su cui costruire la fraternità.
Di seguito sono riportati i passi salienti della sua riflessione.
“Il primo punto fondamentale è che la fraternità é, innanzitutto, un dono di Dio. C’è una chiamata specifica per chi entra in fraternità. Il Signore chiama ognuno come lui solo sa. Ognuno é presente in fraternità perché ha risposto alla chiamata di Dio. É importante quindi, prima di tutto, il senso di gratitudine a Dio perché ci ha ritenuto degni di una chiamata a essere parte di un ordine, quello di San Francesco. Poi riconoscenza al singolo fratello per quanto di buono fa per il bene della fraternità. Dio ci chiama e ci da tutti i mezzi per realizzare la nostra vocazione. Il Francescano deve imparare a riconoscere i talenti che ha e a non metterli sotto terra. Il dono che fa a uno é diverso da quello che fa ad un altro, quindi é importante riconoscere le qualità di ciascuno (vedi la descrizione del frate perfetto).
Nella fraternità è necessaria la disponibilità all’ascolto vicendevole. I doni che ciascuno ha devono essere messi in circolo e per fare ciò é importante mettersi in relazione, non dobbiamo essere delle isole.
Se si cammina insieme, chi ha più forza sostiene chi ne ha di meno e insieme si arriva alla vetta, al traguardo. É necessario il sostegno reciproco con la preghiera, perché la fraternità nasce dall’alto, da Dio.
Un altro pilastro della fraternità é: la Grazia. Tutto ha avuto inizio con un dono, la chiamata di Dio. Francesco ha ascoltato la voce di Dio, si é fidato e si é affidato e noi siamo i beneficiari di questa eredità.
Noi dobbiamo sentirci responsabili di questa eredità e farla fruttificare. La famiglia Francescana é la più numerosa in tutto il mondo, se si considerano tutte le sue componenti, dai frati agli Araldini.
Noi siamo responsabili di questa Grazia, non possiamo solo contemplare quanto fatto, ma dare anche il nostro contributo.
Siamo eredi di un tesoro che deve continuare a portare frutti nella famiglia, nella chiesa e nel vasto contesto sociale. Si é Francescani nella concretezza della nostra vita, in ogni ambito in cui viviamo a cominciare dalla famiglia. Non dobbiamo farci riconoscere dallo stendardo, ma dalla nostra vita. Non c’è un istante in cui smettiamo di essere Francescani, fratelli.
Il cammino di fraternità deve porre l’attenzione su ciascun fratello. É importante il progetto di vita mio e del fratello e, quindi, é importante coniugare la vocazione di ciascuno.
La fraternità é impegno di vita, ci deve essere il coinvolgimento di tutti. In base ai doni che il Signore ci ha fatto, dobbiamo rendere conto. Bisogna spendere la propria vita a servizio degli altri, non sono sufficienti le parole, quindi: Il banco di prova é la vita.
Quando non viviamo il nostro essere Francescani secondo quanto abbiamo professato, dobbiamo rendere conto al Signore.
Nel momento del bisogno dobbiamo andare incontro a chi é nella difficoltà. Francesco diceva che ovunque si trovavano i frati si dovevano accogliere con affetto e dovevano amarsi e nutrirsi come una madre ama il proprio figlio.
Quando la fraternità mi sta e cuore non posso farne più a meno.
C’è il rischio, però, di idealizzare la mia idea di fraternità, distaccandomi dalla realtà. É importante il modo di porsi nei confronti della fraternità reale fatta dal fratello che ho accanto, non dimenticandomi del dono di Dio.
Bisogna impegnarsi per migliorare, ma é importante accogliere il fratello che ho accanto, perché ognuno é un dono. La fraternità concreta si deve amare di più di quella ideale, perché ci saranno di sicuro delle attese deluse. L’accoglienza del fratello e della sorella é fondamentale. Chi ama il suo ideale di comunità più di quella reale distrugge la comunità cristiana.
E’ necessario misurarsi con le miserie, i difetti di ciascuno; i fratelli potrebbero apparire un peso. Questo potrebbe anche essere un aspetto positivo, perché mi da la coscienza di avere un fratello accanto che accolgo; non considero un peso, anzi gli do “peso”, importanza. Occorre imparare a vivere i contrasti che ci sono all’interno di una fraternità. Non tutto é bello come vorremmo.
Ascoltiamo tutti, con attenzione fraterna, cercando di entrare in relazione profonda col fratello e la sorella, allo stesso modo. Bisogna imparare a valorizzare il buono che si nasconde nelle opinioni altrui. Accettare serenamente ogni decisione. I fratelli aiutano anche a migliorare noi stessi, a mutare l’opinione che ci siamo fatti di noi stessi. É bene invece chiederci che cosa il Signore vuole farci capire mettendoci accanto i fratelli che ci ha donato. Dalle difficoltà nascono le opportunità.
La fraternità è, soprattutto, per la missione nella famiglia. (vedi regola Ofs 17 e CC.GG. 24,1).
Il primo banco di prova dell’essere Francescani é la famiglia. Per capire se sono un buon Francescano, basta guardare il nostro modo di essere in famiglia. Noi siamo costruttori di amori familiari, coniugali…
I Francescani devono prestare particolare attenzione alla famiglia e a tutte le difficoltà che affronta ogni giorno.
La fraternità é per la missione della Chiesa dove dobbiamo portare il nostro carisma francescano. Quello che realizziamo nella Chiesa lo facciamo da Francescani secolari. É importante vivere la vita di fraternità prima di portarla fuori.
Ultimo pilastro della fraternità è la missione nel mondo. Il cristiano che tralascia i suoi impegni temporali trascura la sua relazione con Dio.
L’art.15 della regola Ofs ci chiede l’impegno nel sociale. Se non é possibile fare tutto, é un peccato di omissione non fare il possibile.
La vita francescana é bella ma anche impegnativa perciò bisogna allenarsi”. P. Gianluca conclude riportando uno stralcio del discorso di Papa Benedetto ai Francescani in Castel Gandolfo il 18 aprile 2009.

Carissimi, l’ultima parola che voglio lasciarvi è la stessa che Gesù risorto consegnò ai suoi discepoli: “Andate!” (cfr Mt 28,19; Mc16,15). Andate e continuate a “riparare la casa” del Signore Gesù Cristo, la sua Chiesa. […] Come Francesco, cominciate sempre da voi stessi. Siamo noi per primi la casa che Dio vuole restaurare. Se sarete sempre capaci di rinnovarvi nello spirito del Vangelo, continuerete ad aiutare i Pastori della Chiesa a rendere sempre più bello il suo volto di sposa di Cristo. Questo il Papa, oggi come alle origini, si aspetta da voi”.




FESTA REGIONALE GI.FRA. DI CAMPANIA E BASILICATA

FESTA REGIONALE GI.FRA. DI CAMPANIA E BASILICATA. Venerdì 1 maggio 2015, mentre circa settecentomila giovani si apprestavano a partecipare all’ormai consueto “concertone” di piazza San Giovanni a Roma e poche centinaia di black bloc mettevano a ferro e fuoco la città di Milano, in occasione dell’inaugurazione dell’Expo 2015, settecentocinquanta giovani, zaino in spalla e tanto entusiasmo, celebravano la Festa Regionale della Gi.Fra. di Campania e Basilicata.
Una considerazione sorge subito spontanea: più preoccupato per il fenomeno della protesta che giustifica ogni violenza, o più fiducioso di un “pugno di sale” che ben presto si scontrerà con la realtà del mondo reale cui è chiamato a “dare sapore”?
Io, scelgo la seconda. Voglio vivere nella speranza che, come succede in quei film che ti commuovono, il bene possa averla vinta sul male.
Passiamo, però, al racconto della giornata.
La fraternità della Gioventù Francescana di Campania e Basilicata s’incontrava a Pompei, per vivere una giornata di festa.
Io, con tutta la mia famigliola (che grande gioia!), in rappresentanza del Consiglio Regionale Ofs, ho partecipato con piacere a questo momento di festa e riflessione.
Quando sono arrivato a Pompei, i ragazzi stavano ballando e cantando nel giardino, alle spalle del Santuario e l’atmosfera è stata travolgente fin dal primo momento.

Chiaramente non conoscevo nessuno, se non i ragazzi di Avellino, ma era come se li conoscessi tutti, perché siamo, comunque, un’unica famiglia.
Dopo il momento di festa che si è tenuto all’aperto, anche per attendere quelle fraternità che arrivavano da più lontano, tutti ci siamo spostati all’interno della sala convegni, per riflettere sulla nostra vocazione.
Il momento è stato un po’ particolare. L’occasione è stata utile, oltre che per riflettere sulla mia vocazione, anche per fare alcune considerazioni sulle metodologie adottate negli incontri GiFra dei miei tempi e quelle di oggi.
Ricordo quando qualche gifrina formulava l’ipotesi di drammatizzare un episodio della vita di san Francesco e tutti noi la mangiavamo con lo sguardo: altri tempi!
Comunque fra Pietro e Cirillo hanno fatto una bella riflessione, a due voci, sulla vocazione di Francesco: la visione a Spoleto e l’incontro col crocefisso di San Damiano.
Il tutto è stato arricchito da un balletto organizzato dalla stessa Gi.Fra.
Dopo la meditazione della giornata c’è stato il pranzo all’aperto – dove ho incontrato anche Giuditta e Americo del Consiglio Regionale – e, a seguire, giochi d’animazione, partecipati anche dai tanti frati presenti (c’è da dire che gli assistenti spirituali che accompagnano i gifrini sono molti di più, rispetto a quelli che sono presenti agli incontri dei terziari!).
Poco prima delle quattro, per evitare il traffico dei “villeggianti”, io e la mia famiglia abbiamo tolto le tende e dopo un saluto alla Madonna, ci siamo messi in viaggio per tornare a casa certamente stanchi, ma anche più ricchi di quando siamo partiti.




CAPITOLO ELETTIVO OFS CAMPANIA

CAPITOLO ELETTIVO OFS CAMPANIA.
Il 25 e 26 aprile 2015 si è celebrato, presso il “Sereno Soggiorno Salesiano” a Pacognano di Seiano, il terzo capitolo elettivo dell’Ordine Francescano Secolare della Campania.
La preparazione di questo importante appuntamento è stata curata in ogni dettaglio dal Consiglio Regionale uscente, attraverso assemblee pre-capitolari e di macro-zona che hanno avuto come leitmotiv quel “camminare verso” che implica sudore, stanchezza, sacrificio, ma anche gioia nel raggiungere la meta.
L’ultimo incontro di preparazione al Capitolo è stato l’assemblea pre-capitolare di Pompei, dell’11 aprile scorso, dove hanno partecipato circa ottanta fraternità su 135 aventi diritto al voto.
Anche in quell’occasione, alla presenza dei Consiglieri nazionali Paola Braggion e Alfonso Petrone, non sono mancate le critiche e le divisioni che non lasciavano presagire nulla di buono.
Il “cammino verso il capitolo elettivo”, intanto, era ormai giunto al traguardo, ma all’arrivo sembrava non esserci nessun premio e nemmeno uno spettatore ad accoglierci.
Avevo l’impressione che avessimo corso invano, sempre in affanno e senza nemmeno la soddisfazione finale di avercela fatta, nonostante tutto.
C’era, però, l’ultimo sforzo da compiere, lo scatto finale, dove era necessario gettare il cuore oltre l’ostacolo.
In quest’ultimo tempo mi sono, da più parti, sentito chiamato a dare anche il mio contributo, ma non avevo il coraggio di mettermi in gioco, di pronunciare il mio “si”, senza scrollarmi di dosso la paura del fallimento, consapevole di una fiducia ingiustificata posta in me.
Vivevo già in affanno la mia vocazione, come avrei potuto percorrere un cammino che richiede tanto impegno e forza interiore?
A questa domanda rispondeva l’altra parte di me, forse quella ancora sana, richiamando alla mente tutti i discorsi fatti sull’umiltà e sull’affidarsi nelle mani del Signore che sa trarre i fiori anche dalle rocce.
Comunque, tutti i discorsi che, in questo tempo, mi sono fatto, non mi hanno convinto e mi sono avvicinato alla data del capitolo, con la speranza e la fiducia nello Spirito Santo che, Lui sì, avrebbe meglio di chiunque altro saputo cosa fosse meglio per me e per la Fraternità.
L’idea di stare due giorni lontano da casa, dalla mia famiglia, mi metteva tanta tristezza, anche perché in quei giorni si sarebbe festeggiato anche l’onomastico di Marco, il mio terzogenito, ma ormai non c’era più tempo per voltarsi indietro, anche perché «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio» (Lc 9,62).
Pensavo che due giorni per celebrare il capitolo elettivo fossero troppi che forse si poteva concentrare il tutto in un solo giorno, anche perché, in questo modo, si sarebbe favorita anche la partecipazione di quelle fraternità poco propense agli spostamenti (figuriamoci dormire una notte fuori!). Un’altra cosa che mi contrariava era la scelta del posto, non agevole da raggiungere, soprattutto a causa del traffico, e il costo eccessivo del soggiorno: € 85 per un giorno di pensione e un pranzo!
Tutti questi stati d’animo mi hanno accompagnato fino a Pacognano, dove sono arrivato con Annamaria De Blasio (ministra della mia fraternità), Maria Urciuoli (economa della mia fraternità) e Felicia Acone (viceministra della fraternità di Montefusco).
L’arrivo era previsto alle ore 10, ma pochi sono stati puntuali, tanto che non è stato possibile sistemarci nelle camere, prima della Messa, prevista per le 11.
La celebrazione è stata presieduta da padre Roberto Francavilla, presidente di turno della CASIT, erano, invece, concelebranti, padre Francesco Mauro Del Grosso, presidente di turno della CAS Campania, – Ordine dei Frati Minori Conventuali di Napoli – e padre Florindo Amato – Ordine dei Frati Minori Conventuali di Napoli.
La santa Messa ha già iniziato a sciogliere il cuore di tutti noi, parafrasando il titolo dell’ultimo convegno regionale Araldini, “solo l’amore scioglie i cuori di ghiaccio”, e quale amore più grande di chi si è donato completamente a noi, senza riserve e, soprattutto, senza aspettarsi riconoscimenti?
Dinanzi al Signore tutte quelle nubi cominciavano ad allontanarsi dalla mia testa, lasciando il posto a un’inspiegabile e ingiustificata serenità.
Dopo la celebrazione Eucaristica non c’è stato il tempo per la presentazione del Capitolo, perché occorreva ancora completare la sistemazione nelle camere, quindi ci siamo aggiornati alle 14.30, subito dopo il pranzo (a proposito vi dico subito che i tempi sono stati molto stretti, per riuscire a fare tutto quanto era stato previsto).
Alle 14.30, ci siamo ritrovati nella sala conferenze, dove Paola Braggion, Consigliera Nazionale, ha fatto la presentazione del Capitolo elettivo.
Quando la presidente di turno ha preso la parola, erano presenti trentacinque fraternità su centotrentacinque, un vero disastro sottolineato amaramente da Paola che ha invitato il nuovo Consiglio a occuparsi proprio di tutti questi assenti.
Alla fine della presentazione il numero delle fraternità aveva superato quota 40, ma erano comunque poche.
Hanno, quindi preso la parola, prima il Ministro uscente, Michele Ortaglio, poi i responsabili delle altre attività di servizio.
Le relazioni mi sono sembrate interminabili e, a mio avviso, anche poco incisive, forse perché tante cose sono rimaste sulla carta o nelle intenzioni e, per un motivo o l’altro, non si sono realizzate completamente.
Dopo la lunga parentesi delle relazioni, sconvolgendo il programma iniziale, la presidente di turno ha dato di nuovo la parola all’assemblea, per esprimersi sul cammino svolto nell’ultimo triennio.
Io ho temuto che si riaprissero vecchie ferite, com’era già successo a Pompei, nell’ultima pre-capitolare, e invece gli interventi sono stati tutti costruttivi.
Tutti quelli che sono intervenuti hanno rilevato la necessità di rimboccarci le maniche, sporcarci le mani, riprendere il cammino ripartendo da Cristo.
Alla fine di questo momento di condivisione il clima era surreale, ci si sentiva davvero una famiglia, senza più rancori, invidie, pregiudizi, con l’unico obiettivo comune: camminare insieme.
Ormai i cuori di ghiaccio si sono completamente sciolti: è iniziato così il vero Capitolo della Fraternità che ha toccato l’apice con l’Adorazione Eucaristica del dopo cena.
Durante l’Adorazione mi viene di fare due osservazioni: la prima è che mi sbagliavo completamente sull’inutilità di celebrare il capitolo in due giornate, la seconda è che si sarebbe dovuto votare alla fine dell’Adorazione, perché quelli che sarebbero venuti all’indomani avrebbero vissuto solo l’aspetto tecnico del Capitolo, mentre avrebbero perso tutto il resto: condivisione, confronto, perdono, cammino, preghiera … FAMIGLIA!
Alla fine di questo primo giorno, stanco morto, sono andato a letto, mentre il mio compagno di stanza, Eduardo Nicotra – ministro di Ischia – almeno vent’anni più grande di me, ha fatto le ore piccole.
La mattina successiva la sveglia è suonata alle 6,15, perché alle 6,30 avevo appuntamento con Eduardo De Crescenzo (non lo scrittore) – ministro di Volla – per una camminata sulla costiera. Abbiamo camminato per circa un’ora, percorrendo 6 km ma, più della camminata, è stato bello condividere un pezzo della vita di entrambi.
Alle 7,30 siamo arrivati alla base e, dopo una doccia veloce, alle 8,00 (puntuale più che mai) sono pronto per le lodi cui ha fatto seguito la colazione.
Alle 9,30 inizia il capitolo elettivo con la lettura delle “disponibilità”. Paola Braggion sottolinea che quelle presentate sono poche per il numero di consiglieri che dovrà essere eletto e invita l’assemblea a proporre altre persone. Prima di questo, però, invita tutti a riflettere sulla necessità di scegliere non i migliori, ma quelli che si ritengono adeguati al momento che la fraternità sta attraversando, per cui ha invitato i presenti a tracciare le qualità desiderate nei rappresentanti del nuovo consiglio.
Nel frattempo il numero delle fraternità cresce di minuto in minuto, fino ad arrivare alla quota di 91 su 135.
A questo punto, Paola Braggion, invita le fraternità che non hanno vissuto tutto il percorso di avvicinamento al Capitolo elettivo, ad astenersi dal voto, come segno di responsabilità e di rispetto nei confronti della Fraternità: alla fine nessuno ha fatto suo quest’invito.
Prima di passare alle votazioni, c’è stata la relazione del presidente della GiFra – Antonio Obid – che ha posto l’accento sul lavoro che è stato fatto in questo triennio e l’importanza di condividere il cammino con l’Ordine Francescano Secolare, in quanto parte della stessa famiglia.
Prima delle elezioni tutti quelli che hanno dato la disponibilità sono chiamati a presentarsi davanti all’assemblea e già qui il mio cuore sembrava impazzito!
Finalmente sono iniziate le elezioni.
Il ministro, Antonio Nappi, è stato eletto al primo scrutinio, mentre per il viceministro, dopo un testa a testa tra Roberto Costa e Antonio Aiello, l’ha spuntata quest’ultimo al secondo scrutinio.
Abbiamo fatto la pausa pranzo e alle 14,30 abbiamo ripreso i lavori.
Ora mi sentivo un po’ teso, perché c’era l’eventualità, più volte da me rigettata, che potessi essere eletto a far parte del nuovo Consiglio Ofs della Campania.
Lo scrutinio è stato lunghissimo e alla fine ero più stanco che teso o preoccupato.
Il nuovo Consiglio alle 17,16 è stato eletto ed è così composto:
Ministro:
Antonio Nappi
Viceministro:
Antonio Aiello
Consiglieri:
Giuditta Iossa,
Roberto Costa,
Rosaria Odorino,
Americo Rossomando,
Angela Di Lauro,
Vincenzo Siciliano,
Anna Russo,
Rosario Tambelli,
Ciro d’Argenio,
Sabata Fucci.
Dopo gli auguri e le foto di rito, abbiamo celebrato la Santa Messa di ringraziamento e poi tutti a casa … dopo due ore e mezzo in macchina: ora inizia il cammino!!!




Le storie di Diario italiano del 01/11/2012

L’argomento di questa puntata delle storie di “Diario Italiano” sono Francesco e Chiara d’Assisi, visti da una prospettiva diversa che troppo spesso accantoniamo, perchè scomoda, a causa della radicalità che richiederebbe alla nostra vita.
Per vedere questo video, cliccare sul titolo dell’articolo e, quando parte il video, cliccare sul pulsante in basso a destra, per vederlo in modalità “schermo intero”.




SAN FRANCESCO E IL SULTANO – parte prima

Appunti dalla giornata di studio “SAN FRANCESCO E IL SULTANO”
25 settembre 2010 – “sala delle laudi”, convento San Francesco, Via A. Giacomini 3, Firenze.

Appunti di Patrizia Mancini, Ordine Francescano Secolare (Siena). Questi appunti non pretendono di essere completi, ho semplicemente annotato le cose che mi hanno colpito di più. Li fornisco come condivisione per tutti quelli a cui l’argomento può interessare.

***
Giuseppe Ligato, La crociata a Damietta tra legato papale, profezie e strategie.

Appunti:
1219 – L’esercito crociato, per scelta strategica, invece di dirigersi verso la Terrasanta invade l’Egitto e assedia la città di Damietta sul Delta del Nilo. Il sultano Malik-al Kamil, che ha già difficoltà interne al suo regno e non vuole altre seccature, offre Gerusalemme purché i crociati se ne vadano. Alcuni comandanti crociati sarebbero favorevoli, ma la pace viene respinta del legato pontificio, cardinal Pelagio. Il sultano allora offre l’intera Terrasanta, riservando per sé l’Egitto e qualche castello in Giordania. Si impegna persino a ricostruire le mura di Gerusalemme a proprie spese. Anche questa offerta viene respinta dal legato pontificio. Il papa avallò quel rifiuto (proposta non grata vel accepta) perché tenendo la situazione in stallo voleva mettere fretta all’imperatore Federico II, che si coinvolgesse anche lui nella crociata. Previsione e scopo: non il semplice recupero della Terrasanta, ma il ripristino della cristianità in tutto l’oriente. Delta del Nilo: voluto perché utile ai commerci pisani e genovesi. Idem l’Egitto intero.
La V crociata fu sospinta da profezie fasulle, o tradotte in modo astuto, o semplicemente male interpretate a causa dell’incomprensione di uno stile letterario: nel genere “profetico”, eventi già accaduti sono narrati col tempo verbale del futuro. Era lo stile tipico di queste composizioni, ma gli esegeti non lo sapevano. Nella cristianità si parlava di profetica certitudine; veniva fatta girare una profezia attribuita a un povero vagante (mai identificato) che dava l’assoluta garanzia dal Cielo che Gerusalemme sarebbe stata cristiana sotto il papa allora vivente (Onorio III). Paradossalmente, tale profezia si sarebbe realizzata davvero, se solo i cristiani avessero accettato l’offerta di pace del sultano. Ma la disponibilità dei capi crociati all’accordo si infranse contro l’intransigenza del legato pontificio e delle alte sfere della gerarchia ecclesiastica.
In realtà, quel che si voleva era l’annientamento dell’islam, sia in senso politico (Stato) sia in senso religioso.
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Anna Ajello, I Frati Minori e i Saraceni agli inizi del XIII secolo.

Appunti:
L’incontro tra San Francesco e il Sultano ebbe una fortissima risonanza, deducibile dal numero altissimo di citazioni del fatto, nelle fonti (sia crociate sia laiche) e nell’iconografia. Per logica, quell’incontro probabilmente è accaduto davvero, perché cos’è accaduto dopo? La missione verso gli infedeli diventò il tratto distintivo e la vocazione specifica francescana. In Francesco c’era un aprirsi al mondo, “ad gentes”. Oggi potremmo dire che fu un inizio di globalizzazione. Fu un fatto storico: nei francescani c’era questa spinta verso sentieri sconosciuti e luoghi nuovi.Ma san Francesco, perché andò a predicare il Vangelo ai saraceni? voleva convertire il sultano o perseguiva il martirio? Difficile dirlo. Di sicuro la realtà che san Francesco si trovò davanti deve averlo lasciato stupefatto. Non solo l’accoglienza amichevole. Alla corte del sultano Malik-al-Kamil c’erano 5000 cristiani, perlopiù copti, ma anche operatori commerciali europei. Il papa di allora aveva lanciato la scomunica per chi, cristiano, commerciava coi musulmani. Le scomuniche venivano ripetute, segno che il fatto continuava. In pratica, questi rapporti commerciali venivano considerati “rapporti con il nemico”. Malik-al-Kamil era invece aperto, come si è appena detto. Roma cercherà di frenare i francescani nella loro missionarietà e originalità apostolica perché spesso il loro agire va in contrario alla politica papale. I francescani di fronte a questi ostacoli avranno varie reazioni: ansia di rinnovamento spirituale, missione per “recuperare la cristianità”; progetto culturale per recuperare i nemici con un colloquio (incontro tra San Francesco e il sultano visto come idea, come modo di agire).
La missione ad gentes, tra infedeli e in terre lontane, per san Francesco e i suoi frati significa:
I FRATI NON HANNO NEMICI. Neanche in quelli che tutti gli altri considerano nemici. Pensare a tutti gli uomini come potenziali amici. Uno specifico dell’ordine: andare in giro per il mondo, predicare la conversione (la penitenza) e la pace.
Le prime missioni francescane non danno frutti immediati ma danno frutti di conoscenza.
Francesco scoraggiò l’imitazione degli euforici per desiderio di martirio. Francesco non ama l’esaltazione.
I frati primi predicatori portavano con sé un bagaglio culturale con visione dell’islam negativa (leggende, canzoni, ecc.) ma cultura vera, poca. Anche dopo, partivano più o meno ignoranti e sospettosi, non certo per colpa loro, ma perché dipendenti da un corpus di testi classici (cluniacensi, arcivescovo di Toledo, bizantini) concepiti come polemistica anti-islamica (che comunque è sempre una via alternativa allo scontro).
Risultati dei contatti con i musulmani: ci fu conoscenza chiara del loro monoteismo assoluto, del loro concetto di rivelazione divina, e delle loro accuse al cristianesimo. I frati si accorgono della prossimità di islam e cristianesimo. Nasce l’idea di colloqui per alleanza intellettuale, armonia almeno filosofica. Scoprono che il saraceno è prossimo. Infine scoprono che l’islam non è un’eresia del cristianesimo, come gli avevano detto, è proprio un’altra cosa, a sé. I frati nel vedere le persone professare l’islam si interrogano su quanto nelle proprie terre ci sia la stessa sincerità e devozione. Pensano a come sono i cristiani (tiepidi). Scoprono che le minacce a volte vengono più dai cristiani locali che dai musulmani stessi. (Frate Egidio venne cacciato da Tunisi proprio dai mercanti cristiani, perché il suo predicare faceva danno agli affari). Inoltre imparano a predicare come insegnava san Francesco: non verbo ma exemplo. Le fonti francescane ci mostrano che riguardo alle missioni tra gli infedeli i frati oscillano tra paura e attrazione. Il fatto storico è che nasce un contatto, una via d’incontro. A volte dialogo, a volte scontro, ma è sempre un contatto. Anche quando i frati si convincono che è impossibile convertire i saraceni, sentono che è possibile viverci in mezzo mantenendosi cristiani. I frati così restano in Terrasanta anche dopo, in pace.
***

Padre Pacifico Sella, ofm – L’incontro tra frate Francesco e il Sultano

Appunti:
Il sultano d’Egitto, Malik-al-Kamil, era nipote (di zio) del Saladino. Naturalmente ci fu un uso ideologico del fatto e ci furono anche gli scettici (incontro storicamente avvenuto e poi stop). Invece Francesco aveva un piano operativo apostolico: uscire dallo “stretto” della cristianità di allora e cercare il contatto con chi è lontano e diverso. Inoltre, farlo persino in tempo di crociata, quando c’era sterminio di prigionieri da ambo le parti.
In missione di pace
Era il settembre del 1219, durante l’assedio di Damietta, città sul Delta del Nilo. Vi era una breve tregua nei combattimenti. Il Sultano era noto come persona mite. Da dati storici si deduce che probabilmente Francesco, più che convertire, sperava di ottenere la pace o almeno una tregua lunga; che in Gerusalemme e in Terrasanta ci fosse libertà di passaggio per i pellegrini, senza fargli pagare gabelle, in cambio del ritiro dei crociati dall’Egitto. Il sultano era in difficoltà, pronto ad accettare pur di salvare la città di Damietta e il suo trono. Offrì persino più del previsto: l’intera Terrasanta purché la guerra finisse. Purtroppo alcuni capi crociati e soprattutto il legato pontificio dissero di no. Perché questo no che a noi sembra assurdo? Perché con la pace interessi economici saltavano e guadagni previsti sfumavano. Se la proposta di accordo fosse stata accettata, ciò avrebbe completamente svilito la crociata rispetto alle sue motivazioni portanti. Essendo il fine della crociata la conquista della Terrasanta per via militare (con tutto ciò che implicava sul piano finanziario), l’ottenere tale scopo mediante un accordo diplomatico avrebbe comportato la conclusione della crociata stessa (e il fallimento di tutti coloro che in essa avevano finanziariamente investito…)
Nell’impresa di Francesco che oltrepassa le linee nemiche in cerca del comandante dell’esercito avversario, c’è la ricerca della pace attraverso il confronto dialogico. Francesco prevede il rischio di morte, ma non la cerca in se stessa.
Interpretazione della prova del fuoco di fronte al sultano, spesso raffigurata da Giotto in poi. Innanzitutto nessun fuoco è mai stato acceso: l’unica fonte che riporta tale prova (legenda maior di San Bonaventura) dice che essa era solo una proposta, oltretutto respinta dal sultano stesso.
Altro falso storico grave: i cosiddetti Verba Fratri Illuminati, nel Liber Exemplum ecc. [Fonti Francescane 2690-2691]. Si trovano nel Codice Ottoboniano Vaticano. Ora si è visto che questi Verba sono falsi, ma erano fatti così bene che hanno ingannato anche gli esperti (“e anche me”, aggiunge Padre Sella umilmente. “Lo riconosco, c’ero cascato anch’io”). Che c’era scritto? I Verba riportano presunte conversazioni tra san Francesco e il Sultano, in cui Francesco polemizza e dà ragione ai crociati. Detto in breve, prima il Sultano lo accoglie facendolo camminare su un tappeto tessuto a croci, e gli dice con scherno: ma come, tu calpesti la croce? E Francesco gli risponde: ma queste son le croci vostre, noi abbiamo la croce del Signore, voi avete le croci dei ladroni. Poi il sultano gli chiede: perché voi cristiani ci attaccate? È forse nell’insegnamento di Gesù? E lui gli risponde: sì, perché Gesù dice “se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo, se il tuo piede ti scandalizza, taglialo”; voi ci siete d’impedimento nella religione e dunque noi vi eliminiamo.
Ora sappiamo che questo dialogo è stato copiato da altre polemiche tra musulmani e cristiani. Il discorso è stato riscoperto di recente in una cronaca risalente alla prima crociata, cent’anni prima di san Francesco. Quindi chi aveva pronunciato quelle frasi non era lui. Il falso puntava a trasformare san Francesco in un sostenitore della guerra santa, invece che nell’uomo del dialogo che era stato. Purtroppo il falso funzionò. I futuri frati arrivarono a essere sostenitori delle crociate.
***

Alcune precisazioni del Prof. Franco Cardini.

Appunti:
Nonostante quel che si raccontava in Europa, i musulmani non avevano MAI impedito ai pellegrini cristiani di raggiungere i luoghi santi, purché pagassero un tributo. Prima che cominciassero le crociate era consentito anche il commercio. Durante la crociata, tutto sospeso. Legislazione eccezionale. Per chi pagava l’obolo c’era la scomunica. Guerra totale, senza pietà. Più che guerra di religione, era una guerra e basta.
Quando san Francesco partì, lui che ne sapeva dell’islam? Probabile una sorpresa sul credo islamico. Per loro Gesù è un grande profeta, viene detto SIGNORE Gesù, un titolo che non viene dato neanche a Maometto. Credono che il Signore Gesù tornerà dal cielo alla fine dei tempi per sconfiggere satana. Gesù è definito Spirito di Dio. Poi hanno anche il culto di Maria. Ovvero. Francesco scopre con sorpresa che esistono anche i punti di unione.
Il modus operandi dei frati martiri del Marocco è completamente diverso dal modus operandi prescritto da Francesco nella Regola non Bollata. Francesco proibisce la lettura di quel martirio. Oltre al motivo riportato dalle Fonti (non gloriarsi dell’eroismo altrui), l’avrà proibita anche per evitare un’imitazione del loro agire?
– Precisazione di un vescovo francescano: secondo la tradizione dell’Egitto, che là viene ancora insegnata nelle scuole, nella visita al sultano i due frati vengono a DISSOCIARSI dalle crociate e dicono che la loro fede (Gesù Cristo) non le approva.
Altri:
– Sulla prova del fuoco e la falsa polemica riportata nei Verba Fratri Illuminati:
La vera opinione di Francesco si ricava da ciò che lui ha scritto nel cap. 16 della Regola non Bollata. “I frati evitino contese e dispute di parole”. Questo avrebbe già proibito a Francesco di fare una disputa e la prova del fuoco.
– Francesco deve essere rimasto colpito dalla prassi dell’islam: nella lettera ai reggitori dei popoli chiede che un banditore, dall’alto di una torre, a ore fisse inviti alla lode di Dio: un muezzin. Nella ad universo populo – ovvero a tutti, cristiani e non – per dire Dio dice “l’Altissimo” che è una parola che possono accettare sia cristiani sia musulmani.
– Chiediamoci: chi è per noi il sultano oggi?
– Quando Francesco parla di stare tra i saraceni, il verbo stare presuppone una presenza fissa. Nella Regola non Bollata non c’è nessun accenno esplicito al martirio, nella Bollata nemmeno, anche se il rischio c’era e si sapeva: quindi Francesco non vuole che si vada là allo scopo di diventare martiri, ha in progetto lo stare, l’obiettivo di vivere insieme nella speranza di evangelizzare.
***
Chiara Frugoni, L’iconografia dell’incontro tra san Francesco e il sultano.

Attraverso la proiezione di numerose immagini di tavole dipinte, affreschi e quadri, la professoressa mostra come sia sempre stata rappresentata la sfida del fuoco acceso, in realtà mai avvenuta, oppure un incontro rigido tra avversari, e non il dialogo amichevole tra i due. Ovviamente il motivo di tali raffigurazioni sta nell’esaltare il santo come eroe e gli altri come arroganti (il sultano in trono) o vigliacchi (i sacerdoti islamici in fuga). Solo in una raffigurazione dei primi tempi, la tavola della cappella Baldi in Santa Croce a Firenze, si vede san Francesco che predica al sultano e a una folla di saraceni, tenendo nella mano sinistra il libretto del Vangelo, con la mano destra alta che pare accennare un segno di benedizione verso di loro. In questa raffigurazione, Francesco viene ascoltato con attenzione e con rispetto (persone comodamente sedute, occhi rivolti verso di lui). Un paio di saraceni hanno perfino la mano tesa verso Francesco. Naturalmente una simile immagine non tornava comoda per rappresentare il nemico infedele, quindi non ne fecero più.

***
Fine prima parte.

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LAUDATO SI’, MI’ SIGNORE, PER … ONNE TEMPO, PER LO QUALE A LE TUE CREATURE DÀI SUSTENTAMENTO

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Carissimo Ciro,
purtroppo è così, il tempo non accenna proprio a migliorare. Sotto un’altra prospettiva stiamo vivendo un momento magico e poetico. Tutto il paese si è fermato, tutti vanno a piedi e anche gli adulti tornano bambini giocando a palle di neve o realizzando piccoli capolavori nella neve ghiacciata: chi ha riprodotto il ponte della lavandaia, chi la tour Eiffel… i nostri giovani domani si cimentano con la riproduzione del convento. Ti invio una foto, se puoi farla girare porti a tutti un messaggio di pace agli uomini e di lode a Dio. Secondo la tradizione san Francesco arrivò in terra irpina con questo tempo “da lupi”, la neve non toccò le fronde del leccio dove si riparò con i compagni, come racconta il Wadding. Anche il miracolo del “sacco” accadde quando una straordinaria nevicata isolò i frati che stavano morendo di fame. Arrivò il pane dalla lontana Francia per la preghiera di Francesco.
Un abbraccio grande a tutti, da parte mia, della comunità dei frati e dalla fraternità OFS di Montella.

Frate Agnello

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2° INCONTRO ZONA INTERDIOCESANA DI AVELLINO

La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.” [FONTI FRANCESCANE n°466]

Carissimi, dopo la pausa natalizia – in cui è stato rinnovato il Consiglio della Fraternità di Salza Irpina e altri si apprestano a farlo – ci disponiamo a vivere un nuovo appuntamento con la Fraternità zonale, in cui approfondiremo il nostro rapporto con il Vangelo.
Seguendo l’esempio del Serafico Padre S. Francesco che considerava l’osservanza del Santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo l’unica Regola di vita per i frati minori (cfr. FF. 75), anche noi, francescani secolari siamo invitati a fare, del Cristo, “l’ispiratore e il centro” della nostra vita.
Con la Professione, infatti, ci siamo impegnati, prima di ogni cosa, “ad una assidua lettura del Vangelo, passando dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo” (Reg. Ofs 4).
Questo impegno, però, non si esaurisce con una lettura, il più delle volte “distratta”, della Parola del Signore, ma ci esorta a conformare il nostro “modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore che lo stesso Vangelo designa con il nome di «conversione», la quale, per la umana fragilità, deve essere attuata ogni giorno” (Reg. Ofs 7).In questo nostro cammino, lasciamoci guidare dalla Vergine Maria che, come ci dice l’evangelista Luca nel racconto dell’Annunciazione, “serbava queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). In questo suo modo di agire, la Madre di Gesù ci suggerisce di “mettere insieme” gli insegnamenti del Vangelo, meditandoli nel nostro cuore, per comprendere, poco a poco, il disegno che Dio ha su di noi.
Apprestiamoci, dunque, a vivere questo nuovo incontro con la Fraternità zonale, in un atteggiamento di ascolto, per meditare sul tema: L’INCONTRO CON CRISTO NELLA PAROLA.
Ci guiderà, nella riflessione, il M.R.P. Sabino Iannuzzi, Padre Provinciale dell’OFM del Sannio e dell’Irpinia, la cui presenza, per noi, è motivo di grande gioia, anche per la concomitanza dei festeggiamenti per il primo centenario della fondazione della Provincia Francescana dei Frati Minori.
L’incontro si svolgerà sabato 21 gennaio 2012, dalle 16,30 alle 18,30, presso il convento S. Giovanni Battista, rampa S. Pasquale, ATRIPALDA.
Invito tutte le fraternità della Zona a partecipare a quest’appuntamento che rappresenta un’opportunità necessaria per progredire nel cammino di fede e rafforzare il senso di appartenenza all’Ordine, soprattutto in questo tempo di preparazione al Capitolo elettivo regionale.
Esorto, in particolare, le fraternità con maggiori problemi di spostamento, perché si attivino e non si lascino vincere dalla pigrizia e dalle difficoltà, anche se oggettive.
Nell’eventualità ci siano condizioni meteorologiche particolarmente avverse [neve], l’incontro sarà spostato in altra data, in tal caso le fraternità saranno avvisate tempestivamente!

Come arrivare al convento:

Visualizza Incontro zonale Atripalda in una mappa di dimensioni maggiori




UN’AVVENTURA CHE SI CHIAMA ROSETO

Con il presente post, apriamo una nuova rubrica, dal titolo: “Un’avventura che si chiama Roseto”.
I post di questa nuova rubrica, tratti dal libro omonimo scritto da p. Innocenzo Massaro, nel 1988, illustreranno tutte le vicissitudini che p. Innocenzo, fondatore del Roseto, e il Terz’Ordine Francescano di Avellino, hanno attraversato, per realizzare un “sogno” divenuto realtà per opera della “Divina Provvidenza”.
La finalità è di rendere omaggio al caro p. Innocenzo che non è più con noi, ma anche la dimostrazione di come, ancora oggi, la Fraternità, così come alle origini, è ancora capace di testimoniare Speranza, quando si lascia guidare dallo Spirito Santo.
Nell’auspicio che queste pagine possano aiutarvi nella riflessione, vi auguro una buona lettura.

PRESENTAZIONE
“ROSETO” un nome; un programma; una realtà.
Lo incontri un pò fuori la città di Avellino, verso il Nord, di fronte al Santuario della Madonna di Montevergine; quasi ne richiama la presenza, ne ricorda l’esistenza: ma più vicino agli uomini, non sulla montagna, forte e verde, ma a mezza collina, per fare memoria a tutti gli uomini che si è pellegrini verso un’altra patria.
Di per sé, già l’ubicazione, a media distanza tra la cima del monte e il fondamento della casa dell’uomo, ha segnato una scelta, ha determinato un destino: accogliere una realtà umana, di gioia e sofferenza, e trasformarla in FRATERNITÀ, segno della paternità universale di Dio per tutti gli uomini.Una FRATERNITÀ cui tutti aspirano; una FRATERNITÀ piantata tra la divisione degli uomini, per ricordare che è possibile vincere il male con il bene, l’odio con l’amore, la morte con la vita.
P. INNOCENZO MASSARO, frate cappuccino, ha intrapreso questa avventura” in comunione con la FRATERNITÀ dell’Ordine Francescano Secolare; un’avventura ormai storia “fatta di speranza e di ansia, di gioie e di lacrime” – tradotta, ora, in “dolce favola”.
Sei invitato a contemplare l’eterno miracolo della fede che germina esclusivamente dalla morte; il contemplare tanta armonia di sintesi tra la natura e la mano dell’uomo sollecitata dall’amore, è frutto di una storia che parte da lontano e lontano intende andare sul ritmo del servizio che offrendo carità, carità riceve per fare giustizia: e nasce la gioia o, come al P. INNOCENZO MASSARO piace e con lui a tutti i Francescani, germina la perfetta letizia.
Cantata con Maria, la Vergine del Roseto, spuntata dalla spine della colpa, per proclamare la liberazione totale, perfino sulla morte; cantata con Francesco, l’araldo del gran Re che si avventurò per sentieri sconosciuti per ripresentare il dinamismo contagioso e vitale del Vangelo; cantata, infine, con la FRATERNITÀ FRANCESCANA tutta, nella sua molteplice articolazione del Prim’Ordine Francescano Secolare, della GiFra, degli Araldini, delle carissime sorelle Elisabettine.
Roseto: opera corale come le antiche cattedrali medievali dove il singolo, architetto, maestro o manovale si stempera in una coralità che non annulla ma qualifica; non impoverisce ma arricchisce.
“Chi mi darà una pietra, avrà una ricompensa; chi due pietre, due ricompense; chi tre, altrettante ricompense” diceva il Serafico Francesco.
I protagonisti di questa “avventura” ci hanno creduto. Questa pubblicazione è una testimonianza ma anche una provocazione profetica e come tale va accolta.
E se passerai per il Roselo ci sarà una rosa anche per te, anche se sarà pieno inverno: è il miracolo dell’amore e della fede!
Fra Luigi Monaco Min. Prov. OFM Capp. Napoli, 11 giungo 1988

ALCUNE CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
“Un’avventura che si chiama Roseto” è il titolo che ho creduto dare al presente libro, perché l’Opera è stata veramente un’avventura, sia per il grave rischio che portava in sé, sia anche per i molti sacrifici che essa ha chiesto a me ed ai miei collaboratori.
Lo scopo del presente libro è quello di proclamare agli uomini che il Signore è buono e ricordare loro che Dio esplica la sua carità attraverso la loro bontà.
Questo libro è dedicato a tutti coloro che hanno condiviso con me il sofferto cammino dell’Opera, particolarmente alla Signora Franca Ferrante ved. Agosta, Ministra e Presidente legale dell’Associazione. Alla Fraternità del Terz’Ordine Francescano di Avellino, generosa collaboratrice del Roseto. Ai moltissimi Amici e Benefattori dell’Opera della città e fuori che, con la loro offerta, hanno consentito di realizzare il miracolo dell’Amore.
Il libro, infine, si auspica che coloro che lo leggeranno diventino amici del Roseto e l’aiuteranno, per l’avvenire, nel suo compito di accoglienza ai fratelli poveri e sofferenti.
La composizione del libro è stata facilitata dalla raccolta di articoli scritti da me e da altre persone per la rivista “Campania Serafica” e per il quotidiano “Il Mattino”. Gli articoli sono stati stampati così come furono scritti nell’immediata ispirazione degli avvenimenti. Il lettore noterà che essi presentano, talvolta, inutili ripetizioni, ma che in cambio offrono, però, una visione autentica dei fatti.
I brevi episodi narrati sono come piccoli spiragli di luce che lasciano intravvedere quella parte di storia segreta che si svolge nelle profondità dello spirito e che gli uomini non sanno né riescono a leggere.
Questa storia, fatta di speranza e di ansia, di gioia e di lacrime, vista a distanza di anni, sembra ora una dolce favola.
Tutto il peso è passato, esso non ha lasciato nessuna traccia di risentimento alcuno. L’impegno per l’Opera ha lasciato nel cuore di coloro che vi hanno lavorato, solo la gioia di aver detto “sì” al Signore.
Roseto è fiorito! Ciò che sembrava un sogno di bimbo, oggi, è consolante realtà. Dio ha fecondato con la sua grazia il piccolo seme ed esso è diventato albero sui cui rami fratelli e sorelle trovano sicurezza e pace.
p. Innocenzo Massaro




IL SALUTO DELLA GIOVENTÙ FRANCESCANA DI AVELLINO A P. INNOCENZO MASSARO

O Signore, fa di me uno strumento…”
Hai basato su queste parole la tua vita e questo hai trasmesso anche a noi. Fin da piccoli ci hai teso la mano e ci hai accolti nella tua casa, passo dopo passo con amore di padre, ci hai condotto fin qui:
un percorso fatto di preghiera, di gioia, di affetto, di formazione.
In ogni momento abbiamo avvertito la tua presenza, sempre discreta, che con dolcezza e fermezza ci ha incoraggiati e sostenuti anche nelle cadute che nella vita di noi giovani non mancano mai.
Dobbiamo lottare per il bene difficile contro il male facile”, quante volte l’abbiamo sentito ed ora è diventato il nostro motto. Noi che grazie a te siamo diventati uomini e donne con la U maiuscola e con la M maiuscola come dicevi tu, abbiamo imparato tanto da te, anche a resistere alle tentazioni come Gigino con la torta, un esempio semplice che alla festa della mamma non ci facevi mai mancare.
Ci hai insegnato non solo con le parole ma con la tua vita, per questo l’unica cosa che possiamo ora dirti è “grazie” . Quante volte l’hai detto a noi, alla tua scuola cantorum, ai tuoi gifrini. Per ogni piccola cosa sei sempre stato fiero di noi, come noi lo siamo di te, e se la nostra vita è così piena d’amore è merito tuo.
Ci resta ora la consapevolezza che non abbiamo perso un padre, ma acquistato una stella che guiderà per sempre il nostro cammino.

Ti vogliamo bene
La Gi.Fra.




LA SECONDA VENUTA DI FRANCESCO

La seconda venuta di Francesco è il titolo di una sceneggiatura teatrale scritta da Josè Saramago nel 1987[1]. Al pari del più famoso Il vangelo secondo Gesù Cristo del 1997 alla sua uscita suscitò lo sdegno del mondo cattolico; o meglio, di quella gerarchia ecclesiastica che ritiene di esserne l’unica legittima rappresentante, deputata ad esprimere l’opinione alla quale tutti i cattolici si devono conformare.
Personalmente, in quanto francescano secolare non mi sono sentito per nulla offeso dalla versione che il grande scrittore portoghese ha offerto di Francesco e del francescanesimo; la sua mente acuta non era mai blasfema anche quando si soffermava su quel sacro che categoricamente rifiutava. Non solo, ma gli sono anche riconoscente per quella sua impareggiabile capacità di portare impietosamente in superficie quegli interrogativi che spesso, per timore non si sa bene di cosa, noi francescani non osiamo porci; le prospettive che egli apre, seppur discutibili, mi hanno aiutato ad interrogarmi sul mio francescanesimo molto più di tante stanche e ripetitive conferenze, così come l’inquietante Il Vangelo secondo Gesù Cristo ha stimolato la mia riflessione più di tante soporifere omelie domenicali.Nell’immaginazione di Saramago Francesco torna tra i suoi frati ma è costretto a constatare  che l’Ordine è cambiato, è divenuto una sorta di società finanziaria: quelli che un tempo erano i frati più fidati – Leone, Masseo, Egidio, Ginepro, Rufino, Bernardo – ora sono i membri del Consiglio di amministrazione il cui presidente è frate Elia; suo padre Pietro di Bernardone ne è il direttore generale; sua madre Pica dirige il personale amministrativo del quale fanno parte Chiara, Agnese e Jacopa. Il saio è una divisa da indossare nelle riunioni ufficiali.
Francesco vorrebbe riportare l’Ordine alla originaria povertà ma si scontra con il rifiuto dei consiglieri e si mette in aperta competizione con loro, specie con Elia. Addirittura, si  ingegna per cercare di distruggere l’Ordine; la sua strategia è singolare: distribuire a tutti i frati – che nel frattempo sono diventati agenti di commercio – il testo della Regola, caduta nell’oblio, sommersa da avvisi, ordini di servizio e circolari. Sicuramente a noi francescani non fa piacere vedere un Ordine diviso, lacerato; ma abbiamo dimenticato i forti contrasti che hanno attanagliato l’Ordine vivente ancora Francesco e proseguite con inaudita violenza dopo la sua morte? Ci sembra paradossale un Francesco che vuole distruggere l’Ordine; ma abbiamo dimenticato come Francesco al Capitolo delle Stuoie del 1221 maledice i frati che volevano imporgli di scrivere una regola, abbiamo rimosso la sua reazione rabbiosa alla vista della casa che il comune di Assisi aveva edificato per i frati approfittando della sua assenza?
Saramago presenta Francesco e suo padre come due estranei che non sono mai riusciti a perdonarsi e mette in bocca al Poverello parole di odio che sicuramente suscitano inquietudine e turbamento. Ma come non considerare che Francesco ha chiamato «fratello» finanche una bestia feroce ma non suo padre? Che ha chiamato «sorella» finanche la morte ma non sua madre? Il primo campo di apostolato per un laico non è forse la propria stessa famiglia? Francesco fa eccezione? Non sono mai riuscito a spiegarmi il gesto di Francesco sulla piazza di Assisi: Francesco era sempre molto discreto nei suoi comportamenti, perché in quella circostanza ha voluto sottoporre il padre a quella umiliazione pubblica? Non gli era più che sufficiente abbandonare la sua casa e intraprendere la sua nuova strada senza tanti clamori?
Piuttosto enigmatico nel testo di Saramago è il rapporto tra Francesco e Chiara; a volte si cercano, altre si evitano; a volte sembrano estranei, altre complici. Poche parole, dalle quali non si capisce bene, o almeno non lo capisco io, se Saramago voglia attribuire al sentimento profondo che lega i due anche una velata sfumatura di umanissimo amore. Ma anche se vi fosse stata questa componente che male vi sarebbe? Forse sminuirebbe la purezza di queste due creature?
Ma ancora più sconvolgente è il finale. Francesco, per vincere la sua battaglia con frate Elia, fa entrare un povero nel corso di una seduta del Consiglio di amministrazione ma questi, a sorpresa, lo tradisce: gli rinfaccia di aver beatificato e sublimato la povertà, di aver fatto di una piaga sociale la strada verso il cielo: «Non siamo poveri allo stesso modo», gli dice. Francesco comprende, si pente e come di fronte a una nuova vocazione, liberato da un peso, esclama: «Ora lotterò contro la povertà. È la povertà che deve essere eliminata dal mondo. La povertà non è santa. Tanti secoli per capirlo. Prenderò il nome di Giovanni, che è il mio vero nome. Sceglierò un’altra vita, sarò un altro uomo. Qualcuno viene con me? Chiara?». Chiara lo segue e così  Leone e Ginepro. E poi anche Pica che rivolta ad Elia dice: «Vado ad aiutare Giovanni a scrivere la sua prima pagina».  Sicuramente un Francesco marxista è una forzatura; ma come non considerare che Francesco e i primi frati con la povera gente non avevano nulla a che fare essendo tutti borghesi se non addirittura nobili? Come non ricordare che sulle prime incassarono l’ostilità dei poveri che li guardavano come figli di papà cui d’improvviso aveva dato di volta il cervello? E come non ammettere che l’Ordine ben presto cominciò a trascurare il servizio ai poveri per dedicarsi alla riflessione teologica sulla povertà?
Insomma, un gran bel testo, come tutta la produzione di Saramago, che consiglio vivamente. Forse l’unica cosa che non mi sento di condividere con il grande scrittore portoghese è l’ambientazione della vicenda; sicuramente noi francescani abbiamo perso molto dell’originaria carica ideale, specie in materia di povertà e di presenza sociale; e sicuramente abbiamo tante altre carenze sulle quali forse non ci interroghiamo abbastanza; ma non siamo ridotti a una macchina da soldi, non siamo noi a fare affari con la cricca.
Un anno fa, il 18 giugno 2010, Josè Saramago moriva nella sua casa di Lanzarote. L’Osservatore Romano commentava la notizia con un pezzo al limite dell’offensivo, straripante di antico livore[2]; recentemente, in occasione della morte di Osama Bin Laden la Santa Sede ha mostrato un atteggiamento più rispettoso. «Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell’evangelico campo di grano», concludeva il giornale vaticano. Sarà pure. Tuttavia mi chiedo: da cosa bisogna guardarsi maggiormente, dalle piante di zizzania o dal lievito dei farisei?

 

Pietro Urciuoli, OFS d’Italia


[1] In Italia è pubblicato, insieme ad altri tre testi teatrali, nel volume: Josè Saramago, Teatro, ed. Einaudi, Torino 1997.

[2] L’onnipotenza (presunta) del narratore, di Claudio Toscani, l’Osservatore Romano del 20 giugno 2010. Nel 1998 il Vaticano si oppose alla attribuzione del Nobel per la letteratura, considerandola dovuta a motivazioni più ideologiche che artistiche.