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CIAO RITA

Rita Borriello

Lo scorso venerdì 18 gennaio 2013, sorella morte ha nuovamente visitato la Famiglia Francescana del Roseto di Avellino, portando via con sé Rita Borriello, 42 anni, sposata con Claudio e mamma di Francesca, una bambina di soli 9 anni.
Con Rita abbiamo condiviso gli anni più belli della nostra giovinezza, quando, nella Gioventù Francescana, incontri di formazione, campi scuola, momenti di preghiera erano il nostro pane quotidiano. La fraternità era la nostra seconda famiglia, ma ci passavamo molto più tempo che nella prima e per noi era una vera sofferenza quando eravamo “costretti” a non partecipare, qualunque fosse il motivo.
Di Rita ricordo in particolare il suo grande amore per la fraternità che la spingeva a essere sempre presente, per non privarsi nemmeno di un istante vissuto insieme con gli altri; ricordo la sua risata, spesso incontenibile, quanto ingiustificata, che contagiava tutti noi.
Non posso, però, fare a meno di dimenticare le sue “proverbiali” lacrime durante le mitiche condivisioni di Fraternità; tanto che al momento in cui prendeva lei la parola, qualcuno si procurava secchio e straccio, per asciugare il pavimento!
Poi siamo diventati tutti più grandi, forse troppo, tanto da perdere la spensieratezza di quei giorni, ma anche la gioia per il solo fatto di volersi bene e non desiderare null’altro che stare insieme.
Il lavoro ci aveva allontanato già da qualche tempo e quei momenti vissuti insieme erano, ormai, un ricordo lontano, ma sorella morte, in una sorta di feedback, ce li ha fanno vivere nuovamente, questa volta, però, lasciandoci un retrogusto amaro, dovuto alla consapevolezza di non ritrovarci più.
È in questi momenti che, quasi sopraffatti dal dolore, ci chiediamo chi o cosa siamo noi e qui mi piace riportare la risposta che diede un saggio a questa domanda: «Siamo la somma di tutto quello che è successo prima di noi, di tutto quello che è accaduto davanti ai nostri occhi, di tutto quello che ci è stato fatto, siamo ogni persona, ogni cosa la cui esistenza ci abbia influenzato o con la nostra esistenza abbia influenzato, siamo tutto ciò che accade dopo che non esistiamo più e ciò che non sarebbe accaduto se non fossimo mai esistiti[1].

Ciao, Rita!


[1] Dal film: Almanya




FRANCESCO D’ASSISI. GIULLARE, NON TROVATORE [10^ parte]

Le stimmate cambiano radicalmente il corso della vita di Francesco. Defilatosi definitivamente dalla guida dell’Ordine ne diviene l’icona vivente, la guida spirituale. Sono anni segnati, benché gravemente ammalato, da una ripresa delle sue peregrinazioni e da numerose lettere apostoliche di incoraggiamento e di esortazione: a tutti i fedeli, ai reggitori di popoli, a tutti i chierici, a tutti i custodi.
Tra i testi lasciatici da Francesco in questo ultimo periodo della sua vita, due sono certamente i più significativi.
Il primo è il Cantico delle Creature, dettato durante un periodo di riposo a San Damiano nella primavera del 1225. Su tale componimento, considerato giustamente uno dei primi capolavori della letteratura italiana in volgare, è stato detto e scritto tantissimo. Segnato dalle stimmate – che lo rendono simile al Cristo nello spirito come nella carne, nella sofferenza come nella gloria – egli può vedere le creature con gli occhi del creatore, come un nuovo Adamo nel giardino dell’Eden. Il secondo è il Testamento, dettato probabilmente nell’aprile 1226 nell’eremo delle Celle di Cortona. È un documento suscettibile di essere analizzato sotto svariati punti di vista. In primo luogo, presenta molteplici valenze indicate da Francesco stesso nel corpo del testo: è un ricordo, col quale riporta alla mente il fervore dei primi anni; è un’esortazione, che rivolge ai frati consapevole delle crescenti difficoltà in cui si dibattono; è una ammonizione, a non deviare dalla strada maestra che lui ha tracciato; è un testamento, con il quale benedice i frati di ogni tempo e di ogni luogo.
Inoltre, è lo strumento utilizzato da Francesco per ribadire alcuni concetti cui nella Regola non era stato dato il necessario risalto e che invece gli stavano particolarmente a cuore: il lavoro manuale, il servizio ai lebbrosi, l’assoluta povertà, il divieto di chiedere privilegi ed altro ancora.
Infine, è sicuramente il testo che meglio rende la ricchezza della sua personalità e l’originalità della sua esperienza religiosa.
Un testo che da sempre è oggetto di studio, fonte di ispirazione, orizzonte di preghiera. Magnifico è il commento di Paul Sabatier nella sua fondamentale Vita di San Francesco d’Assisi del 1894:

«A queste pagine occorre chiedere la nota giusta per delineare la vita del loro autore e farsi un’idea della riforma che egli aveva sognato. In questo monumento dall’autenticità incontestabile, la più solenne manifestazione del suo pensiero, il Poverello si rivela con verginale candore. La sua umiltà è di una sincerità che si impone; è assoluta senza essere eccessiva. Tuttavia egli parla, poiché si tratta della sua missione, con tranquillità e serena sicurezza. Non è forse ambasciatore di Dio? Non ha ricevuto il suo messaggio da Cristo stesso? La genesi del suo pensiero si manifesta divina e personalissima insieme. La coscienza individuale proclama al tempo stesso la sua autorità sovrana e la sua responsabilità: “Nessuno mi mostrava cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la norma del santo Vangelo”».

Gli ultimi mesi della sua vita sono segnati da sofferenze indicibili. L’incontro con sorella morte avviene la sera del 3 ottobre 1226 a Santa Maria degli Angeli. Chissà se negli ultimi istanti della sua vita terrena – per citare un altro grande storico, questa volta contemporaneo, il francese Jacques Le Goff – Francesco si chiede se ha fondato la prima fraternità moderna o l’ultima comunità monastica.

Pace e bene

Pietro Urciuoli

 




LE STORIE DI AVVENIRE: Viviana, la felicità è tornare a scuola

Viviana Visciani festeggia i suoi otto anni riempiendo fogli e fogli di disegni raffiguranti alberi, fiori, farfalle: il mondo di fuori, il mondo della natura e soprattutto della libertà, che così a lungo le è mancata. La bambina è euforica, loquace. Per lei questo è un compleanno indimenticabile, con tre grandi regali: ora vive finalmente in una casa e non più in ospedale; le hanno tolto il catetere che portava sul petto da tanto tempo; le sono ricresciuti i bei capelli, castani e ricci, che aveva perso a causa di novanta chemioterapie a base di interferone.
Un «supplizio» per chiunque, figuriamoci per una bimba, una vispa come lei; ma un supplizio necessario per tentare di salvarla dal nefroblastoma di Wilms, una della 32 malattie considerate dalla scienza medica «rare», che si è accanita contro di lei per un anno e mezzo, costringendola a sopportare cure massive e dolorose, oltre che l’asportazione chirurgica di un rene e due operazioni ai polmoni. Ma ora Viviana sta – letteralmente – tornando a vivere. La tac effettuata a settembre ha dato buon esito: le lesioni ai polmoni risultano assorbite, la chemio è stata sospesa, e Viviana è stata finalmente dimessa dal reparto di onco-ematologia del «Salesi» di Ancona, che era divenuto per lei tetto e famiglia.
Forse possiamo mettere la parola fine – un lieto fine – alla storia di questa piccola di Lucera, nel Foggiano; una storia strappalacrime, di sofferenza umana e familiare portata con dignità, che ha commosso l’Italia intera, e che era venuta alla luce proprio grazie ad Avvenire, ai servizi della nostra collega Antonella Mariani. Per mesi, Viviana, malata, e i suoi genitori Antonio e Lucia sono stati costretti a vivere sulla strada, senza un soldo, rifugiandosi in macchina. Il papà aveva perso il lavoro – l’unico reddito che entrava in casa – e subito dopo la famiglia era stata sfrattata. Il proprietario dell’appartamento non aveva dimostrato la minima sensibilità per il drammatico stato di bisogno dei Visciani. Giorni e giorni in trasferta sull’autostrada, tra Lucera e Ancona; poi lunghe nottate all’addiaccio, mentre la figlioletta era ricoverata in un letto d’ospedale, trapassata da flebo, sonde, aghi. Per i coniugi Visciani la sorte aveva riservato – in serrata sequenza – colpi che avrebbero messo in ginocchio qualunque coppia e famiglia. La disoccupazione, la malattia della figlia, la perdita dell’abitazione, l’umiliazione di dover dipendere dagli altri per la sussistenza, chiedendo soccorso e trovando porte chiuse: quelle dei parenti, quelle delle istituzioni. «Dal Comune e dai servizi sociali di Lucera non abbiamo avuto un aiuto – sottolinea amaramente la signora Lucia –. Non un alloggio, non un assegno, non un ausilio. Dobbiamo però ringraziare l’ex vicesindaco Fabio Valerio che più volte si è adoperato, personalmente e senza appoggi, per alleviare la nostra situazione».
Adesso tutto ciò appartiene al passato. Viviana sta riassaporando la «normalità»: è guarita, si mostra di buon umore, ha ritrovato la gioia di mangiare con gusto, dopo tanta forzata inappetenza causata dalle chemioterapie e dalle ulcerazioni alle mucose della bocca. Ma soprattutto, Viviana gioisce dell’essere tornata nella sua Lucera e sui banchi di scuola, dove bambini e maestre l’hanno accolta con una grande festa. Finalmente, anche lei può fare i compiti. Inoltre, i Visciani hanno ritrovato un tetto, anche se – chiosa Lucia – «facciamo i salti mortali per pagare l’affitto». Il miracolo che manca è quello di un impiego per Antonio, ancora disoccupato. Tutto ciò che è saltato fuori, in questi mesi di incessante domandare, è stato un lavoro in nero presso l’impresa di pulizie di un conoscente: due stipendi mai pagati. Borsa-lavoro pubblica? Soltanto promesse, vane parole di politici e di burocrati. «Qui è un’altra Italia», sintetizza con rassegnata ironia il padre di Viviana.
Nonostante tutto, Viviana ha realizzato il suo sogno, ed è questo che conta. Un sogno scaturito da un altro sogno, bello e misterioso. Racconta mamma Lucia: «Era l’aprile del 2009. Viviana doveva essere operata. Mi chiamò e mi riferì di aver sognato, vedendo “un’immensa luce e sentendo una voce dolce e calma” che la esortava a pregare, perché “Gesù e la Madonnina” erano vicini a lei, e l’avrebbero fatta “uscire dall’ospedale”. E così è stato».
Lucia dice la sua famiglia «sta ricominciando tutto daccapo». Il loro è un ripartire dopo una prova durissima, superata anche grazie all’aiuto di molti. Perché è questa l’altra bella notizia nel caso doloroso di Viviana: lei e i suoi non mai stati lasciati soli. «In questo tempo di sofferenza – racconta infatti la signora Visciani – siamo stati circondati da una rete di solidarietà. Molti ci hanno aiutato concretamente, a cominciare da Avvenire e da Antonella Mariani, che per noi hanno fatto davvero moltissimo, dando visibilità al nostro dramma. Tante persone – mi spiace dirlo, soprattutto fuori dal mio paese e dalla cerchia dei parenti – ci sono state vicine, ci hanno fatto toccare con mano – in un luogo di sofferenza qual è l’ospedale – la realtà dell’amore cristiano, facendoci vedere che c’è tanta gente che crede nei valori, che l’indifferenza non è l’ultima parola sul nostro vivere. Il mio pensiero grato va all’Associazione “Le patronesse” di Ancona che, tramite Milena Fiore, ci hanno procurato un alloggio gratuito, ed è stata vicina a Viviana con visite, regali, contributi. Un grazie anche ai volontari del servizio di clownterapia, che col buonumore portano un po’ di conforto ai piccoli ricoverati.
Un grazie pieno di riconoscenza ai dottori Paolo Pierani e Ascanio Martino, chirurgo pediatrico che ha operato nostra figlia tre volte: ci hanno dimostrato cosa significhi la competenza medica accompagnata sempre da una grande umanità. Infine un grazie alle nostre zie Emma e Alfonsina che, da Foggia e da Milano, si sono prodigate per noi come mamme. Certo viene spontaneo domandarsi il perché, il senso di tanto spavento e di tanta sofferenza, per la bimba e per noi genitori. Ma il perché non lo possiamo trovare da noi. Il perché lo conosce solo Dio. E Dio esiste, ed è buono. E si mostra attraverso l’amore di cui gli altri, anche sconosciuti, ci fanno oggetto. Questa verità l’ho vissuta sulla mia pelle di madre e di donna, e la proclamo a chiare lettere».
Domenico Montalto

Tratto da www.avvenire.it