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DUE PAROLE SULLA PEDANA MOBILE

Carissimo Ciro,
ad integrazione e a completamento delle recenti riflessioni sul ruolo dei laici ti invio due articoli di Aldo Maria Valli (il vaticanista del TG1) pubblicati su Vino nuovo, un sito internet che mi permetto di consigliare.
Il primo è una sua riflessione sull’utilizzo della pedana mobile per il papa; il secondo è la sua replica alle offese ricevute a seguito della pubblicazione del pezzo.
Vorrei far notare che nel secondo articolo sostiene esattamente le cose che ho detto io in maniera (volutamente) provocatoria.

Ti abbraccio
Pietro

Perché non dire semplicemente che il Papa fa fatica a camminare? Altrimenti vuole dire che si torna a qualcosa di molto simile alla sedia gestatoria

Due parole sull’uso della pedana mobile (il “carrelletto”, come lo chiama una mia amica romana) da parte di Benedetto XVI domenica scorsa.
Perché questa scelta? Il papa, ha detto il portavoce padre Lombardi, sta bene e non ha problemi nel camminare, vogliamo soltanto evitargli alcune fatiche.
Ma, domando, se davvero sta bene, come può essere per lui un compito improbo coprire pochi metri all’inizio e alla fine di una celebrazione? Se si è deciso di usare la pedana mobile vuol dire che il papa non sta proprio bene. Ma allora perché non dire semplicemente che il papa fa fatica a camminare? Perché trincerarsi sempre dietro questa ideologia del segreto che non fa altro che alimentare voci, creare sconcerto e diffondere interpretazioni distorte? Perché non ricorrere alla trasparenza?
In secondo luogo c’è un problema di contenuto. Il papa trasportato sulla pedana mobile e spinto dai sediari pontifici sembra una statua portata in giro per essere mostrata alla folla. C’è qualcosa di idolatrico, di papolatrico, in quell’uomo issato sul “carrelletto”. Se quella di papa è davvero una funzione di servizio, perché smentirla così platealmente e proprio in occasione delle celebrazioni più solenni? Il pastore è uno che cammina alla testa e accanto al suo gregge. Il pastore non si fa trasportare su una lettiga, come un principe o un faraone. L’abolizione della sedia gestatoria ha un significato.
Se davvero, come dice il Vaticano, il papa sta bene, farlo trasportare da qualcuno è un gesto che stona e che ha una valenza profondamente anti-conciliare. Ha il gusto di un ritorno al papa re, al sovrano che domina sulla folla e che si distacca dal resto dell’umanità.Si dirà: ma già Giovanni Paolo II usò la pedana mobile e nessuno disse niente. È vero, ma papa Wojtyla stava male, non riusciva più a camminare, e quel trasportarlo apparve a tutti un aiuto necessario per un pastore che, alla fine del suo mandato, non voleva comunque rinunciare a stare tra la gente. L’immagine di Wojtyla sulla pedana non aveva niente di papolatrico perché le condizioni fisiche di Giovanni Paolo II legittimavano l’uso di quello strumento.
Infine un dettaglio. A bordo della pedana Benedetto XVI ha comunque impugnato il pastorale. Mentre Giovanni Paolo II doveva farne a meno, perché era costretto a reggersi al corrimano, papa Ratzinger si è lasciato trasportare reggendosi con una mano e impiegando l’altra per impugnare il pastorale. Il che ha qualcosa di contraddittorio. Il pastorale è un bastone che si chiama così perché serve al pastore per aiutarsi a camminare. Ma se il pastore si fa trasportare, a che gli serve il pastorale?
Benedetto XVI sulla pedana mobile, spinto dai sediari, sembrava una statua, e le statue non camminano accanto alla gente. Le statue si fanno ammirare. Una statua che sta su un piedistallo può essere bellissima, ma è inevitabilmente lontana dalla gente.
Giovanni Paolo II, alla fine della sua vita, quando si lasciava trasportare era l’icona della sofferenza e al tempo stesso del coraggio. Benedetto XVI, sorridente e apparentemente integro, con tanto di pastorale in mano, assomiglia invece a una divinità pagana, alla quale occorre rendere omaggio.
Tanto varrebbe, a questo punto, ripristinare la sedia gestatoria, magari con il contorno di flabelli e guardie palatine in alta uniforme. Che ne pensate?

di Aldo Maria Valli in Vino nuovo del 20 ottobre 2011




IL LIBRO DI RATZINGER, IL GESÙ STORICO E LE VERITÀ DELLA CHIESA

Rivela un affanno il nuovo libro su Gesù con cui papa Ratzinger si adopera a mostrare e dimostrare la storicità di Cristo e in particolare della morte-resurrezione di lui. Lo ammette chiaramente quando scrive: “la barca della Chiesa … spesso si ha l’impressione che debba affondare”. Ed ecco l’importanza della realtà pienamente divina e pienamente umana del Salvatore Gesù.
E’ Gesù Cristo l’unico salvatore e la chiave della salvezza universale. Ed è la Chiesa cattolica governata dal papa e dai vescovi uniti al papa la custode unica e universale per tutti i secoli della chiave affidatale da Gesù. Tutta la ricerca umana di senso della vita e di salvezza materiale e morale sarebbe completamente inutile senza il Dio che si fa uomo e offre in sacrificio la sua vita. Sono due millenni che queste “verità”, questi assoluti, vengono ripetuti identici, declinati in codici espressivi diversi tradotti in tutte le lingue del mondo ma sempre nella sostanza uguali a se stessi: è Gesù l’unico salvatore universale attraverso il suo sacrificio perenne.Di fatto del Gesù storico non si sa quasi nulla. Ormai è un dato acquisito nella teologia biblica non servile. I Vangeli non sono la storia di Gesù ma la riflessione teologica in forme narrative o rituali delle comunità cristiane del primo secolo in ambiente pagano. Inoltre è accertato ormai che le più antiche testimonianze scritte non sono i Vangeli canonici. Sono le tradizioni dei cosiddetti “loghia”, cioè dei “detti” di Gesù. Che prima sono stati tramandati oralmente nell’ambiente palestinese e poi sono stati inseriti nei Vangeli.
Quei “detti” di Gesù sono “il Vangelo prima dei Vangeli”. Poi il Vangelo dei detti di Gesù è andato perso perché gli scribi smisero di farne copie in conseguenza della fissazione autoritativa del canone. Oggi si direbbe sbrigativamente che ha subito una censura. E’ stato recuperato o riscoperto nel 1838, attraverso un delicato lavoro di filologia, incastonato nei Vangeli canonici. E’ stato pubblicato solo nel 2007 in italiano dalla Queriniana in un volume a cura di un grande specialista, James M. Robinson: I detti di Gesù. Questo ritardo di quasi due secoli la dice lunga sulle resistenze poste dall’autorità ecclesiastica alla pubblicazione di un testo storico che mette in crisi le certezze dogmatiche.
Perché è importante questo “Proto-Vangelo”? Perché l’immagine di Gesù che se ne ricava è molto diversa da quella fissata nelle narrazioni canoniche dei Vangeli. E soprattutto è diversa l’immagine che si ricava del cristianesimo nascente. Non ci sono che nel sottofondo racconti di miracoli e soprattutto non c’è notizia dei fatti della nascita, della morte e della resurrezione. Questa assenza di eventi così fondamentali per i Vangeli canonici e poi per il dogma è impressionante.
L’accento è posto non sulla persona di Gesù ma sul messaggio e sul movimento messianico di impegno per la realizzazione del “Regno di Dio”. Il quale tradotto in termini moderni si potrebbe definire come movimento per un “mondo nuovo possibile”.
Il Gesù del “Proto-Vangelo” è soprattutto un “figlio dell’uomo” che alla lettera può significare “Figlio dell’umanità”, parte di un movimento storico di liberazione radicale. C’è in quel documento solo un’eco flebile del processo di mitizzazione della persona di Gesù che è appena agli inizi e che però presto sfocerà nella divinizzazione. E’ assente l’essere divino-umano, il dio incarnato che si sacrifica per redimere l’umanità peccatrice. Il quale invece sarà poi offerto soprattutto dalla Chiesa di Paolo al mondo pagano avido di sacro e di salvezza mistica.
Ovviamente le persone all’origine di questo Proto-Vangelo, che di bocca in bocca si tramandavano i detti di Gesù, conoscevano la morte di Gesù. Ma per loro la morte del profeta non aveva il significato di sacrificio. Non si sentivano impegnati ad annunciare la morte. “Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti” – è un’affermazione fondamentale del Proto-Vangelo. Non la morte né il sacrificio né il miracolo aveva cambiato la loro vita. Ma il messaggio culturalmente rivoluzionario di Gesù aveva dato un senso nuovo alla loro esistenza; in quello e non nel miracolo trovavano il senso della resurrezione; quel messaggio e l’esperienza di vita che c’era dietro si sentivano impegnati ad annunciare perché cambiasse la vita di molti e trasformasse radicalmente la società dando vita a un mondo nuovo.
La teologia sacrificale del Cristo che salva in quanto Figlio di Dio morto e risorto verrà dopo, quando il cristianesimo dovrà rivolgersi al mondo pagano. Sarà tale teologia la carta vincente, il fulcro del trionfo della nuova religione. Un trionfo però contestato da persone, anche sinceramente credenti, con senso critico, lungo tutta la storia, dall’antichità fino ad oggi, quale tradimento e devitalizzazione del Dna generativo del movimento di Gesù.

Di Enzo Mazzi, il Manifesto, 13 marzo 2011