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CON FRANCESCO D’ASSISI, UOMINI E DONNE DELLA MISERICORDIA

perdonoassisiL’Anno Santo della Misericordia, indetto da papa Francesco, è un “dono” dello Spirito Santo fatto alla Chiesa e all’umanità intera, perché ogni uomo possa riscoprire la dolcezza dell’abbraccio Misericordioso del Padre, ma non è solo questo. Avendo ricevuto questo “dono”, tutti noi siamo chiamati a “restituire” al nostro prossimo l’“abbraccio” del Padre, facendoci testimoni di Misericordia.
È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza.” (M.V.10).
Come essere “testimoni di Misericordia”? Papa Francesco ci indica la strada maestra: “Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri.” (M.V.9).
Non basta, però, essere testimoni, la nostra testimonianza deve essere credibile e per essere tale è necessario che ciascun credente viva in prima persona la misericordia; “il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre”. (M.V.12)
Il Papa esorta tutte le parrocchie, i movimenti e le associazioni … a diventare “oasi” di misericordia.
Questo invito coinvolge anche l’Ordine Francescano Secolare, fondato circa ottocento anni fa da San Francesco d’Assisi, per coloro che volevano vivere il Vangelo senza separarsi dal “mondo”, conservando lo stato di laici e diventando “luce del mondo e sale della terra”.
La chiesa attende anche da noi, Francescani Secolari, la testimonianza dell’esperienza del Vangelo vissuto alla maniera di Francesco, uomo della “fraternità e della misericordia”.
La misericordia, infatti, fu il primo frutto dell’avvicinamento di Francesco d’Assisi al Signore, come affermò lui stesso: «Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo. E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo». (Testamento di S. Francesco, Fonti Francescane 110)
«Ci sono stati alcuni – afferma padre Raniero Cantalamessa, OFM Cap – che sono arrivati a Cristo partendo dall’amore per i poveri e vi sono stati altri che sono arrivati ai poveri partendo dall’amore per Cristo. Francesco appartiene a questi secondi… Francesco ha dapprima sperimentato la misericordia di Dio verso di lui, la misericordia come dono gratuito, ed è questo che lo ha spinto e gli ha dato la forza di avere misericordia dei lebbroso e dei poveri».
Il poverello di Assisi chiedeva anche ai suoi frati, in particolare ai suoi “superiori” – considerati i “servi” dell’Ordine – di essere uomini della misericordia; nella “lettera a un ministro”, Francesco così li esortava: «Non ci sia alcun frate al mondo, che abbia peccato, quanto è possibile peccare, che, dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne torni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se vuole essere perdonato. E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo: che tu possa attrarlo al Signore; ed abbi misericordia per tali fratelli» (Lettera a un ministro — FF 235).
San Francesco aveva l’ardente desiderio che la Misericordia del Signore arrivasse ad ogni cuore, ferito dal peccato e dalla sofferenza, soprattutto quella provocata dai conflitti che al suo tempo coinvolgevano tutto il tessuto sociale: conflitti tra i popoli, con la guerra fra la Francia e la Germania e le Crociate in Terra Santa tra i cristiani e i musulmani; ma anche conflitti all’interno delle famiglie e all’interno della Chiesa.
In questo contesto, in una notte del 1216, Francesco, mentre era immerso nella preghiera alla Porziuncola, come sempre faceva, vide una luce, una luce molto forte e, sopra l’altare, vide il Cristo e alla sua destra la Madonna e gli angeli, che gli chiesero cosa desiderasse per la salvezza delle anime. La risposta immediata fu: «Santissimo Padre, benché io sia misero e peccatore, ti prego di concedere ampio e generoso perdono».
«Egli, alzatosi di mattina, chiamò frate Masseo da Marignano, suo compagno, col quale si trovava, e si presentò al cospetto di papa Onorio, e disse: “Santo Padre, di recente, ad onore della Vergine Madre di Cristo, riparai per voi una chiesa. Prego umilmente vostra santità che vi poniate un’Indulgenza senza oboli».
Il papa rispose: «Questo, stando alla consuetudine, non si può fare, poiché è opportuno che colui che chiede un’Indulgenza la meriti stendendo la mano ad aiutare, ma tuttavia indicami quanti anni vuoi che io fissi riguardo all’Indulgenza». San Francesco gli rispose: «Santo Padre, piaccia alla vostra santità concedermi, non anni, ma anime». Ed il papa riprese: «In che modo vuoi delle anime?». Il beato Francesco rispose: «Santo Padre, voglio, se ciò piace alla vostra santità, che quanti verranno a questa chiesa confessati, pentiti e, come conviene, assolti dal sacerdote, siano liberati dalla colpa e dalla pena in cielo e in terra, dal giorno del battesimo al giorno ed all’ora dell’entrata in questa chiesa». Il papa rispose: «Molto è ciò che chiedi, o Francesco; non è infatti consuetudine della Curia romana concedere una simile indulgenza». Il beato Francesco rispose: «Signore, ciò che chiedo non viene da me, ma lo chiedo da parte di colui che mi ha mandato, il Signore Gesù Cristo». Allora il signor papa, senza indugio proruppe dicendo tre volte: «Ordino che tu l’abbia».
Questa è la prima testimonianza storica ufficiale – il racconto è risalente al 1310 ed è inserito nel diploma del Vescovo Teobaldo di Assisi, scritto per chiudere la questione e inviato a tutte le sedi episcopali d’Italia – che racconta come a Francesco venne l’idea di chiedere questa straordinaria indulgenza, disponibile per tutti, senza limiti di tempo e senza necessità di elemosina. Era una rivoluzione per l’epoca: nel Medioevo, infatti le indulgenze erano lucrate solo nei grandi santuari della cristianità (Gerusalemme, Santiago, Roma) e questo richiedeva anche uno sforzo economico per raggiungerli.
La richiesta di Francesco scandalizzò la curia del suo tempo.
Così, forse per non contrapporsi troppo al volere dei vescovi i quali avevano paura di ledere, con questa concessione, gli interessi dei grandi pellegrinaggi, l’indulgenza richiesta da Francesco fu limitata nel tempo (solo il 2 agosto) e nello spazio (solo nella chiesetta della Porziuncola).
Teobaldo infatti racconta delle immediate rimostranze dei vescovi, che temevano che questo luogo, facile da raggiungere e senza offerta obbligatoria, facesse scomparire l’importanza delle indulgenze nei luoghi santi e a Roma. Per questo il Papa, non volendo comunque annullare ciò che aveva già concesso, contenne la richiesta di Francesco; questa limitazione, però, non scoraggiò affatto il Poverello, tanto che il 2 agosto dello stesso anno, dopo aver predicato davanti alla chiesetta e ai vescovi ivi radunati, disse: «Io vi voglio mandare tutti in paradiso e vi annuncio una Indulgenza che ho ottenuto dalla bocca del sommo pontefice. Tutti voi che siete venuti oggi, e tutti coloro che ogni anno verranno in questo giorno, con buona disposizione di cuore e pentiti, abbiano l’Indulgenza di tutti i loro peccati» …
Francesco aveva in mente un perdono più vicino all’uomo comune, al povero, al semplice e soprattutto possibile per tutti: ecco perché scelse un luogo facilmente raggiungibile e chiese al papa che fosse una concessione “senza obolo”, con la sola clausola della confessione sacramentale e della conversione del cuore.
A ottocento anni dall’approvazione dell’indulgenza per la chiesetta della Porziuncola, papa Francesco indice il Giubileo della Misericordia, con lo stesso proposito del Poverello d’Assisi: portare a tutta l’umanità – e a tutto il creato – l’abbraccio misericordioso del Padre.
Icona di questo Giubileo è Gesù, strumento della misericordia del Padre, che carica sulle sue spalle l’uomo smarrito, con tutte le sue ferite, corporali e spirituali.
Quell’uomo rappresenta tutta l’umanità, ma in particolare i più deboli, i poveri, gli emarginati: gli ultimi, come amava definirli San Francesco.
Tutti noi Francescani Secolari, sull’esempio del Santo di Assisi, siamo chiamati ad avere compassione per il prossimo che soffre ai margini della strada, lasciandoci coinvolgere nella vita dell’altro, donando amore, tenerezza, misericordia.
Anche perché, aspetto importantissimo, «la misericordia rende l’uomo capace di rendere lode a Dio», osserva fra Paolo Martinelli, vescovo ausiliare di Milano.
«In Francesco d’Assisi – afferma Martinelli – questa capacità è espressa in modo mirabile nel Cantico di Frate Sole. Non è un inno spensierato, come potrebbe sembrare a prima vista, ma scritto da Francesco alla fine della sua vita dopo un lungo cammino di sequela di Gesù fino alle stimmate, dove il Poverello diventa uomo conformato perfettamente a Cristo, anche e soprattutto nel dolore della Sua passione. Francesco vive il rapporto con la realtà in modo così sublime e pieno perché è un uomo profondamente riconciliato con se stesso, con gli altri, con le cose e con Dio. La misericordia lo ha reso cantore della lode per tutte le creature che è espressione di un nuovo umanesimo: l’uomo è tale se è capace di lode, ecco la vera statura dell’uomo!».
Fra Paolo Martinelli suggerisce, in particolare a noi Francescani, di: «Essere uomini nuovi in Cristo, capaci così di conversione e di agire fuori dagli schemi e dalla logica del mondo, per poter essere rigenerati dalla misericordia di Dio al fine di rinnovare le nostre relazioni con noi stessi, gli altri, il creato e Dio. Con questa forza e consapevolezza tutti i francescani – religiosi, suore e laici – vivranno il Giubileo come tempo favorevole per sperimentare e donare misericordia».
Mi piace, a questo punto, concludere con le parole del Ministro nazionale dell’Ordine Francescano Secolare d’Italia, Remo Di Pinto che nell’annunciare il 2016 come anno straordinario della missione – non a caso denominata Per-Dono – afferma: «Vogliamo fare esperienza dell’abbandono silenzioso a un abbraccio d’amore: quello del Padre che viene incontro a ogni uomo per mettergli l’anello al dito, fargli indossare l’abito della festa e i calzari. I calzari ci invitano a metterci in movimento, si devono consumare per la strada, come Francesco, perché possiamo diventare testimoni del Perdono ricevuto… Ciò che serve ad ogni uomo e ad ogni donna è fare esperienza dell’amore misericordioso del Padre, sentirsi accolto con profonda dolcezza da uno sguardo, da un abbraccio forte, dolce, caldo e rassicurante che è più forte di ogni peccato, che dona il coraggio di affidarsi e dona speranza. Per i francescani secolari e per i giovani della Gioventù Francescana, questo è l’inizio del pellegrinaggio verso la misericordia di Dio, per divenirne segno nel mondo. È l’inizio del viaggio che ci conduce alla Porta Santa per divenire noi stessi Porta Santa, immagine piena della fraternità che contraddistingue la nostra esperienza, che ci rende responsabili dell’altro, non attraverso una immagine chiusa e perfetta di seguaci privilegiati o di famiglie portatrici di felicità artificiale, che giudica chi non è conforme a modelli inavvicinabili, come isole irraggiungibili. C’è piuttosto il bisogno di condividere la fragilità, la debolezza, ma insieme a questa i segni del perdono, esperienza di un incontro: questo riduce le distanze e accoglie, questa è fraternità, porta di speranza! … Gesù chiede di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Con questo spirito ci siamo proposti di vivere un Anno della missione, a cui abbiamo dato proprio il titolo “Per Dono”: per essere segno di fraternità nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa, che dice a ciascuno con il Vangelo: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mt 5,19)».




IL CANTICO DELLE CREATURE

il cantico delle creatureNell’incontro di formazione Ofs di Avellino-Roseto, del 9 gennaio 2016, p. Gianluca Manganelli ha fatto una riflessione su uno degli scritti più famosi di S. Francesco: “Il cantico delle Creature“, attraverso cui, il relatore, ha sottolineato l’importanza del canto per la vita di Francesco. Il canto è la tipica espressione del suo modo di essere. Nell’ultima parte del recital “Forza venite gente“, il padre di Francesco, Pietro di Bernardone, afferma proprio questo, cioè sapere di avere un figlio che canta, anche se non immagina che sarebbe diventato Santo.
Francesco esprime con il canto i suoi sentimenti, a volte con canti in francese. La Letizia che porta dentro l’anima non trova altra espressione che quella del canto. Si può paragonare la Letizia di Francesco alla gioia degli apostoli che ricevono lo Spirito Santo ed esprimono la loro ebbrezza, parlando in varie lingue, quando escono fuori dal Cenacolo.
Nella Vita Prima di Celano si parla di un Francesco che esorta le creature a lodare Dio. Questo lo troviamo anche nell’Antico Testamento quando Re Davide esorta la natura a lodare Dio, oppure, ancora, quando i tre giovani cantano nella fornace ardente.
un altro momento in cui esprime col canto la gioia che ha nel cuore è quando realizza il presepio di Greccio, in quell’occasione anche Francesco canta di gioia insieme a tutti i presenti.
Francesco, però, canta anche nei momenti di sofferenza; faceva ricorso al canto nei momenti di prova e di tentazione, infatti il Cantico delle Creature nasce proprio in questa circostanza, cioè vicino alla sua morte.
Anche le sue prediche si concludevano con Francesco che esortava i presenti a cantare le lodi di Dio. Il canto era anche strumento di riconciliazione tra due contendenti: Beati quelli che perdonano per lo tuo amore
Al termine della sua vita invita i canti a cantare le lodi ed è come se scegliesse la colonna sonora della sua vita che è proprio il Cantico delle Creature:

[F.F.263] Altissimu, onnipotente, bon Signore, Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad Te solo, Altissimo, se konfane, et nullu homo ène dignu Te mentovare. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo quale è iorno et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’ Signore, per sor’Acqua
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po’ skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male. Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.

Per Francesco le creature sono considerate soprattutto nel loro aspetto positivo.
Mentre contempla le creature, Francesco si meraviglia; riesce a vedere la bellezza originale che c’è nelle creature perché in esse c’è la significazione di Dio. Tutte le creature gli parlano di Dio; la creatura bella per eccellenza è quella che porta in se tutta la bellezza dell’universo creato, ecco perché Francesco si meraviglia quando contempla le cose, perché gli parlano del Signore.
Nel cantico delle creature si esprime tutta la sua meravigliosa. Francesco si sente parte di questo cosmo che Dio ha fatto; vive in simbiosi con le creature.
Francesco attribuisce alle cose i sentimenti che prova lui, cioè lui vede nell’acqua, ad esempio, la castità e l’umiltà che vorrebbe avere lui stesso, così come vorrebbe essere fuoco per illuminare la notte ed essere robustoso e forte.
Francesco è in sintonia, in armonia con il creato. Riesce a fare pace tra lo spirito e la materia.




LODI DI DIO ALTISSIMO

padre Gianluca Manganelli

Appunti tratti dall’incontro di formazione alla fraternità Ofs del Roseto di Avellino, tenuto da P. Gianluca Manganelli – OFM Cappuccini – sugli Scritti di San Francesco, in particolare sono state commentate le ‘Lodi di Dio Altissimo’.

“Francesco, come San Paolo ha nel Vangelo inteso come Gesù Cristo morto e risorto, il suo punto di riferimento e tutti i suoi scritti sono orientati alla esortazione a vivere il Vangelo in maniera autentica.
Francesco scrive non direttamente ma sotto dettatura, altre volte riferisce ad un frate che poi elabora il suo pensiero.
Le laudi e preghiere fanno parte di una delle tre parti in cui si dividono gli scritti di Francesco. La preghiera Alto e glorioso Iddio secondo alcuni è attribuita a San Francesco, ma non è stata scritta da lui.
Le lodi di Dio altissimo sono la preghiera figlia dell’esperienza sulla Verna. Nelle preghiere si può capire il rapporto che Francesco ha con Gesù e tutto quello che lui ha scaturisce proprio da questa sua vita di preghiera. Nelle preghiere c’è tutta la sua fede. Le fede è la roccia su cui ti aggrappi dove costruisci la tua casa, perché è un luogo stabile. Così è per Francesco che in Gesù trova la sua ricusa, si punto di riferimento. Nelle preghiere cu sino anche i suoi desideri: l’intimità con il Signore e con I fratelli. L’aspirazione di Francesco è la santità; fare fraternità in Dio tutti insieme. Francesco Si intrattiene nella preghiera perché desidera stare con Dio, tutti insieme. Da questi deriva il suo desiderio espresso nel perdono di Assisi, dove diceva di voler portare tutti in paradiso. La preghiera di Francesco non è di richiesta, ma tutta estatica; Francesco quando prega esce fuori di sé. Francesco è contento per i doni ricevuti e il suo atteggiamento è di ringraziamento; a Dio restituisce la lode, la gloria.
Nelle preghiere si manifesta l’atteggiamento desiderio di Francesco: Avere sente di al centro dei suoi pensieri. Anche le preghiere come gli altri scritti sono state dettate da Francesco.
Le fonti di ispirazione sono la sacra scrittura e la liturgia, difficilmente utilizza parole sue. Il linguaggio dell’amore è il silenzio e in esso riceve e da al Signore. Francesco ha una buona memoria, ad esempio l’ufficio della passione del Signore è un collage di salmi.
Settembre 1224. Nel giorno dell’esaltazione della croce Francesco se ne va sulla Verna a pregare.
F.F.635 . Mentre il Santo era sul monte della Verna, chiuso nella sua cella, un confratello desiderava ardentemente di avere a sua consolazione uno scritto contenente parole del Signore con brevi note scritte di proprio pugno da san Francesco. Era infatti convinto che avrebbe potuto superare o almeno sopportare più facilmente la grave tentazione, non della carne ma dello spirito, da cui si sentiva oppresso.
Pur avendone un vivissimo desiderio, non osava confidarsi col Padre santissimo ma ciò che non gli disse la creatura, glielo rivelò lo Spirito. Un giorno Francesco lo chiama: ” Portami–gli dice– carta e calamaio, perché voglio scrivere le parole e le lodi del Signore, come le ho meditate nel mio cuore “. Subito gli portò quanto aveva chiesto, ed egli, di sua mano, scrisse le Lodi di Dio e le parole che aveva in animo. Alla fine aggiunse la benedizione del frate e gli disse: ” Prenditi questa piccola carta e custodiscila con cura sino al giorno della tua morte “. Immediatamente fu libero da ogni tentazione, e lo scritto, conservato, ha operato in seguito cose meravigliose.
Un frate tentato da un momento di crisi vuole uno scritto di Francesco che scrive di suo pugno le Lodi di Dio Altissimo. Frate Leone scrive a margine di questa reliquia che questa preghiera gli è stata scritta da Francesco e questa reliquia è assolutamente originaria e quella di foglietto è proprio la scrittura di Francesco.
Questa preghiera è stata partorita proprio durante l’esperienza delle stimmate.
[261] LODI DI DIO ALTISSIMO
Tu sei santo, Signore, solo Dio, che operi cose meravigliose. Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo, Tu sei re onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra. Tu sei trino ed uno, Signore Dio degli dèi, Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero. Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza, Tu sei umiltà, Tu sei pazienza, Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete. Tu sei gaudio e letizia, Tu sei la nostra speranza, Tu sei giustizia, Tu sei temperanza, Tu sei tutta la nostra ricchezza a sufficienza. Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine. Tu sei protettore, Tu sei custode e nostro difensore
Tu sei fortezza, Tu sei refrigerio. Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede, Tu sei la nostra carità. Tu sei tutta la nostra dolcezza, Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore, Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.
Quando sono state fatte le traduzioni non c’è mai l’invocazione, non è Francesco che chiama il Signore, ma va verso il Signore e si fonde con Lui. Il credente non ha più il cuore che batte per se, ma il suo cuore batte con quello di Dio.
Sulla Verna non esiste più Francesco, ma esiste Francesco in Gesù. In quella fase della sua vita Francesco vive la sofferenza della croce dovuta alla dell’ordine per la sua fraternità e al momento di deserto della sua fede. Noi non siamo angelo e il peso di questa fragilità richiede uno sforzo da parte del credente. Il Signore ci da dei doni che però devono fruttificare Grazie al nostro impegno.”




SAN FRANCESCO E IL SULTANO – Considerazioni finali

Nella giornata di studio “San Francesco e il Sultano” ho scoperto che la storia non era come ce l’avevano raccontata. Da tutte le fonti attendibili emergono sia l’avidità e le scelleratezze dei cristiani (considerate che eravamo noi i deliberati invasori di un popolo che fino ad allora non ci aveva dato alcun fastidio), sia la cortesia del Sultano nell’accogliere Francesco -un uomo del nemico!- ascoltandolo volentieri e lasciandolo persino libero di predicare.
Il sultano voleva la pace, ci aveva offerto la Terrasanta gratis, e le autorità cristiane rifiutarono. Lo fecero per calcoli politici ed economici, ma resta il fatto che rifiutarono. Quindi, per logica conseguenza, da quel momento in poi tutto il carico di sofferenze e morti a causa delle crociate poteva essere evitato. Avremmo avuto il possesso di Gerusalemme e di tutta la Terrasanta, all’unica condizione di non molestare chi già vi abitava; avremmo fatto la pace col mondo islamico, si sarebbe sviluppato un rispetto reciproco, e tante stragi non sarebbero mai avvenute, comprese quelle che succedono oggi. Credo che noi stiamo pagando le conseguenze delle cattive azioni dei nostri antenati.
Tornando al passato, la gente fu mandata a morire e ad uccidere senza nemmeno il pretesto di una necessità morale (liberare il Santo Sepolcro dalle mani degli infedeli), dato che il luogo richiesto ci era stato offerto gratis. Inoltre, i predicatori, per reclutare volontari, parlavano della liberazione dei luoghi santi, e poi in concreto chi si arruolava si ritrovava in Egitto e perfino a Tunisi. Dunque quel che interessava alle autorità civili e religiose era l’annientamento dei regni islamici dovunque fossero, la conquista di territori e ricchezze, e non certo la Terrasanta, zona poco redditizia. Tant’è vero che fu lasciata al suo destino.La cosa che più sbalordisce è che gran parte della documentazione era già presente negli archivi (lettere, cronache) ed è stata volutamente ignorata. Ho diffuso gli appunti nella mia fraternità e via mail anche ad altre fraternità toscane: pensavo che fossero scoperte importantissime, che avrebbero avuto una vasta eco. Macché. Ignorate. Delle rivelazioni uscite in quel convegno non si trova traccia neanche su internet; sono scritte solo in un numero della rivista dei frati minori “Studi Francescani 108/3-4 (2011)”, “Francesco e il Sultano. Atti della Giornata di Studio (Firenze, 25 settembre 2010)”.
Mi sono chiesta a lungo il perché di tutto, sia dell’ostinazione dei crociati a rifiutare la pace offerta dal sultano, sia della mancanza di interesse alla verità oggi. Poi ho visto questa citazione di Dietrich Bonhoeffer:

Per il bene, la stupidità è più pericolosa della malvagità. Contro il male è possibile protestare, opporsi anche con la forza. Ma contro lo stupido non abbiamo difese, perché ai fatti che non quadrano con i suoi pregiudizi egli non crede affatto e qualora non potesse sfuggire all’evidenza lo stupido metterà semplicemente da parte, come non rilevanti, quei fatti. E in questo è molto fiero di sé; anzi, diventa pericoloso in quanto, con facilità e rabbiosamente, passerà al contrattacco.”

(D. BONHOEFFER, Resistenza e resa, cit., 64-66).

Patrizia Mancini OFS Siena




SAN FRANCESCO E IL SULTANO – parte prima

Appunti dalla giornata di studio “SAN FRANCESCO E IL SULTANO”
25 settembre 2010 – “sala delle laudi”, convento San Francesco, Via A. Giacomini 3, Firenze.

Appunti di Patrizia Mancini, Ordine Francescano Secolare (Siena). Questi appunti non pretendono di essere completi, ho semplicemente annotato le cose che mi hanno colpito di più. Li fornisco come condivisione per tutti quelli a cui l’argomento può interessare.

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Giuseppe Ligato, La crociata a Damietta tra legato papale, profezie e strategie.

Appunti:
1219 – L’esercito crociato, per scelta strategica, invece di dirigersi verso la Terrasanta invade l’Egitto e assedia la città di Damietta sul Delta del Nilo. Il sultano Malik-al Kamil, che ha già difficoltà interne al suo regno e non vuole altre seccature, offre Gerusalemme purché i crociati se ne vadano. Alcuni comandanti crociati sarebbero favorevoli, ma la pace viene respinta del legato pontificio, cardinal Pelagio. Il sultano allora offre l’intera Terrasanta, riservando per sé l’Egitto e qualche castello in Giordania. Si impegna persino a ricostruire le mura di Gerusalemme a proprie spese. Anche questa offerta viene respinta dal legato pontificio. Il papa avallò quel rifiuto (proposta non grata vel accepta) perché tenendo la situazione in stallo voleva mettere fretta all’imperatore Federico II, che si coinvolgesse anche lui nella crociata. Previsione e scopo: non il semplice recupero della Terrasanta, ma il ripristino della cristianità in tutto l’oriente. Delta del Nilo: voluto perché utile ai commerci pisani e genovesi. Idem l’Egitto intero.
La V crociata fu sospinta da profezie fasulle, o tradotte in modo astuto, o semplicemente male interpretate a causa dell’incomprensione di uno stile letterario: nel genere “profetico”, eventi già accaduti sono narrati col tempo verbale del futuro. Era lo stile tipico di queste composizioni, ma gli esegeti non lo sapevano. Nella cristianità si parlava di profetica certitudine; veniva fatta girare una profezia attribuita a un povero vagante (mai identificato) che dava l’assoluta garanzia dal Cielo che Gerusalemme sarebbe stata cristiana sotto il papa allora vivente (Onorio III). Paradossalmente, tale profezia si sarebbe realizzata davvero, se solo i cristiani avessero accettato l’offerta di pace del sultano. Ma la disponibilità dei capi crociati all’accordo si infranse contro l’intransigenza del legato pontificio e delle alte sfere della gerarchia ecclesiastica.
In realtà, quel che si voleva era l’annientamento dell’islam, sia in senso politico (Stato) sia in senso religioso.
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Anna Ajello, I Frati Minori e i Saraceni agli inizi del XIII secolo.

Appunti:
L’incontro tra San Francesco e il Sultano ebbe una fortissima risonanza, deducibile dal numero altissimo di citazioni del fatto, nelle fonti (sia crociate sia laiche) e nell’iconografia. Per logica, quell’incontro probabilmente è accaduto davvero, perché cos’è accaduto dopo? La missione verso gli infedeli diventò il tratto distintivo e la vocazione specifica francescana. In Francesco c’era un aprirsi al mondo, “ad gentes”. Oggi potremmo dire che fu un inizio di globalizzazione. Fu un fatto storico: nei francescani c’era questa spinta verso sentieri sconosciuti e luoghi nuovi.Ma san Francesco, perché andò a predicare il Vangelo ai saraceni? voleva convertire il sultano o perseguiva il martirio? Difficile dirlo. Di sicuro la realtà che san Francesco si trovò davanti deve averlo lasciato stupefatto. Non solo l’accoglienza amichevole. Alla corte del sultano Malik-al-Kamil c’erano 5000 cristiani, perlopiù copti, ma anche operatori commerciali europei. Il papa di allora aveva lanciato la scomunica per chi, cristiano, commerciava coi musulmani. Le scomuniche venivano ripetute, segno che il fatto continuava. In pratica, questi rapporti commerciali venivano considerati “rapporti con il nemico”. Malik-al-Kamil era invece aperto, come si è appena detto. Roma cercherà di frenare i francescani nella loro missionarietà e originalità apostolica perché spesso il loro agire va in contrario alla politica papale. I francescani di fronte a questi ostacoli avranno varie reazioni: ansia di rinnovamento spirituale, missione per “recuperare la cristianità”; progetto culturale per recuperare i nemici con un colloquio (incontro tra San Francesco e il sultano visto come idea, come modo di agire).
La missione ad gentes, tra infedeli e in terre lontane, per san Francesco e i suoi frati significa:
I FRATI NON HANNO NEMICI. Neanche in quelli che tutti gli altri considerano nemici. Pensare a tutti gli uomini come potenziali amici. Uno specifico dell’ordine: andare in giro per il mondo, predicare la conversione (la penitenza) e la pace.
Le prime missioni francescane non danno frutti immediati ma danno frutti di conoscenza.
Francesco scoraggiò l’imitazione degli euforici per desiderio di martirio. Francesco non ama l’esaltazione.
I frati primi predicatori portavano con sé un bagaglio culturale con visione dell’islam negativa (leggende, canzoni, ecc.) ma cultura vera, poca. Anche dopo, partivano più o meno ignoranti e sospettosi, non certo per colpa loro, ma perché dipendenti da un corpus di testi classici (cluniacensi, arcivescovo di Toledo, bizantini) concepiti come polemistica anti-islamica (che comunque è sempre una via alternativa allo scontro).
Risultati dei contatti con i musulmani: ci fu conoscenza chiara del loro monoteismo assoluto, del loro concetto di rivelazione divina, e delle loro accuse al cristianesimo. I frati si accorgono della prossimità di islam e cristianesimo. Nasce l’idea di colloqui per alleanza intellettuale, armonia almeno filosofica. Scoprono che il saraceno è prossimo. Infine scoprono che l’islam non è un’eresia del cristianesimo, come gli avevano detto, è proprio un’altra cosa, a sé. I frati nel vedere le persone professare l’islam si interrogano su quanto nelle proprie terre ci sia la stessa sincerità e devozione. Pensano a come sono i cristiani (tiepidi). Scoprono che le minacce a volte vengono più dai cristiani locali che dai musulmani stessi. (Frate Egidio venne cacciato da Tunisi proprio dai mercanti cristiani, perché il suo predicare faceva danno agli affari). Inoltre imparano a predicare come insegnava san Francesco: non verbo ma exemplo. Le fonti francescane ci mostrano che riguardo alle missioni tra gli infedeli i frati oscillano tra paura e attrazione. Il fatto storico è che nasce un contatto, una via d’incontro. A volte dialogo, a volte scontro, ma è sempre un contatto. Anche quando i frati si convincono che è impossibile convertire i saraceni, sentono che è possibile viverci in mezzo mantenendosi cristiani. I frati così restano in Terrasanta anche dopo, in pace.
***

Padre Pacifico Sella, ofm – L’incontro tra frate Francesco e il Sultano

Appunti:
Il sultano d’Egitto, Malik-al-Kamil, era nipote (di zio) del Saladino. Naturalmente ci fu un uso ideologico del fatto e ci furono anche gli scettici (incontro storicamente avvenuto e poi stop). Invece Francesco aveva un piano operativo apostolico: uscire dallo “stretto” della cristianità di allora e cercare il contatto con chi è lontano e diverso. Inoltre, farlo persino in tempo di crociata, quando c’era sterminio di prigionieri da ambo le parti.
In missione di pace
Era il settembre del 1219, durante l’assedio di Damietta, città sul Delta del Nilo. Vi era una breve tregua nei combattimenti. Il Sultano era noto come persona mite. Da dati storici si deduce che probabilmente Francesco, più che convertire, sperava di ottenere la pace o almeno una tregua lunga; che in Gerusalemme e in Terrasanta ci fosse libertà di passaggio per i pellegrini, senza fargli pagare gabelle, in cambio del ritiro dei crociati dall’Egitto. Il sultano era in difficoltà, pronto ad accettare pur di salvare la città di Damietta e il suo trono. Offrì persino più del previsto: l’intera Terrasanta purché la guerra finisse. Purtroppo alcuni capi crociati e soprattutto il legato pontificio dissero di no. Perché questo no che a noi sembra assurdo? Perché con la pace interessi economici saltavano e guadagni previsti sfumavano. Se la proposta di accordo fosse stata accettata, ciò avrebbe completamente svilito la crociata rispetto alle sue motivazioni portanti. Essendo il fine della crociata la conquista della Terrasanta per via militare (con tutto ciò che implicava sul piano finanziario), l’ottenere tale scopo mediante un accordo diplomatico avrebbe comportato la conclusione della crociata stessa (e il fallimento di tutti coloro che in essa avevano finanziariamente investito…)
Nell’impresa di Francesco che oltrepassa le linee nemiche in cerca del comandante dell’esercito avversario, c’è la ricerca della pace attraverso il confronto dialogico. Francesco prevede il rischio di morte, ma non la cerca in se stessa.
Interpretazione della prova del fuoco di fronte al sultano, spesso raffigurata da Giotto in poi. Innanzitutto nessun fuoco è mai stato acceso: l’unica fonte che riporta tale prova (legenda maior di San Bonaventura) dice che essa era solo una proposta, oltretutto respinta dal sultano stesso.
Altro falso storico grave: i cosiddetti Verba Fratri Illuminati, nel Liber Exemplum ecc. [Fonti Francescane 2690-2691]. Si trovano nel Codice Ottoboniano Vaticano. Ora si è visto che questi Verba sono falsi, ma erano fatti così bene che hanno ingannato anche gli esperti (“e anche me”, aggiunge Padre Sella umilmente. “Lo riconosco, c’ero cascato anch’io”). Che c’era scritto? I Verba riportano presunte conversazioni tra san Francesco e il Sultano, in cui Francesco polemizza e dà ragione ai crociati. Detto in breve, prima il Sultano lo accoglie facendolo camminare su un tappeto tessuto a croci, e gli dice con scherno: ma come, tu calpesti la croce? E Francesco gli risponde: ma queste son le croci vostre, noi abbiamo la croce del Signore, voi avete le croci dei ladroni. Poi il sultano gli chiede: perché voi cristiani ci attaccate? È forse nell’insegnamento di Gesù? E lui gli risponde: sì, perché Gesù dice “se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo, se il tuo piede ti scandalizza, taglialo”; voi ci siete d’impedimento nella religione e dunque noi vi eliminiamo.
Ora sappiamo che questo dialogo è stato copiato da altre polemiche tra musulmani e cristiani. Il discorso è stato riscoperto di recente in una cronaca risalente alla prima crociata, cent’anni prima di san Francesco. Quindi chi aveva pronunciato quelle frasi non era lui. Il falso puntava a trasformare san Francesco in un sostenitore della guerra santa, invece che nell’uomo del dialogo che era stato. Purtroppo il falso funzionò. I futuri frati arrivarono a essere sostenitori delle crociate.
***

Alcune precisazioni del Prof. Franco Cardini.

Appunti:
Nonostante quel che si raccontava in Europa, i musulmani non avevano MAI impedito ai pellegrini cristiani di raggiungere i luoghi santi, purché pagassero un tributo. Prima che cominciassero le crociate era consentito anche il commercio. Durante la crociata, tutto sospeso. Legislazione eccezionale. Per chi pagava l’obolo c’era la scomunica. Guerra totale, senza pietà. Più che guerra di religione, era una guerra e basta.
Quando san Francesco partì, lui che ne sapeva dell’islam? Probabile una sorpresa sul credo islamico. Per loro Gesù è un grande profeta, viene detto SIGNORE Gesù, un titolo che non viene dato neanche a Maometto. Credono che il Signore Gesù tornerà dal cielo alla fine dei tempi per sconfiggere satana. Gesù è definito Spirito di Dio. Poi hanno anche il culto di Maria. Ovvero. Francesco scopre con sorpresa che esistono anche i punti di unione.
Il modus operandi dei frati martiri del Marocco è completamente diverso dal modus operandi prescritto da Francesco nella Regola non Bollata. Francesco proibisce la lettura di quel martirio. Oltre al motivo riportato dalle Fonti (non gloriarsi dell’eroismo altrui), l’avrà proibita anche per evitare un’imitazione del loro agire?
– Precisazione di un vescovo francescano: secondo la tradizione dell’Egitto, che là viene ancora insegnata nelle scuole, nella visita al sultano i due frati vengono a DISSOCIARSI dalle crociate e dicono che la loro fede (Gesù Cristo) non le approva.
Altri:
– Sulla prova del fuoco e la falsa polemica riportata nei Verba Fratri Illuminati:
La vera opinione di Francesco si ricava da ciò che lui ha scritto nel cap. 16 della Regola non Bollata. “I frati evitino contese e dispute di parole”. Questo avrebbe già proibito a Francesco di fare una disputa e la prova del fuoco.
– Francesco deve essere rimasto colpito dalla prassi dell’islam: nella lettera ai reggitori dei popoli chiede che un banditore, dall’alto di una torre, a ore fisse inviti alla lode di Dio: un muezzin. Nella ad universo populo – ovvero a tutti, cristiani e non – per dire Dio dice “l’Altissimo” che è una parola che possono accettare sia cristiani sia musulmani.
– Chiediamoci: chi è per noi il sultano oggi?
– Quando Francesco parla di stare tra i saraceni, il verbo stare presuppone una presenza fissa. Nella Regola non Bollata non c’è nessun accenno esplicito al martirio, nella Bollata nemmeno, anche se il rischio c’era e si sapeva: quindi Francesco non vuole che si vada là allo scopo di diventare martiri, ha in progetto lo stare, l’obiettivo di vivere insieme nella speranza di evangelizzare.
***
Chiara Frugoni, L’iconografia dell’incontro tra san Francesco e il sultano.

Attraverso la proiezione di numerose immagini di tavole dipinte, affreschi e quadri, la professoressa mostra come sia sempre stata rappresentata la sfida del fuoco acceso, in realtà mai avvenuta, oppure un incontro rigido tra avversari, e non il dialogo amichevole tra i due. Ovviamente il motivo di tali raffigurazioni sta nell’esaltare il santo come eroe e gli altri come arroganti (il sultano in trono) o vigliacchi (i sacerdoti islamici in fuga). Solo in una raffigurazione dei primi tempi, la tavola della cappella Baldi in Santa Croce a Firenze, si vede san Francesco che predica al sultano e a una folla di saraceni, tenendo nella mano sinistra il libretto del Vangelo, con la mano destra alta che pare accennare un segno di benedizione verso di loro. In questa raffigurazione, Francesco viene ascoltato con attenzione e con rispetto (persone comodamente sedute, occhi rivolti verso di lui). Un paio di saraceni hanno perfino la mano tesa verso Francesco. Naturalmente una simile immagine non tornava comoda per rappresentare il nemico infedele, quindi non ne fecero più.

***
Fine prima parte.

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ESSERI SPECIALI

Non hanno niente di piu’, non hanno niente di meno
hanno solamente ottocento anni di vita.
Esseri inconsapevoli della Grazia che emana dai
loro corpi, della Luce che semplicemente
traspare e che procede dall’interno all’esterno
Dai movimenti, dai sorrisi, dalle parole, dai silenzi
parlanti, dagli sguardi sapidi di chi non si nasconde.
Esseri contemplativi nella intima ricerca della Verita’
consci della sofferenza di trovarvi anche le proprie
contraddizioni, le delusioni per gli sforzi non sempre
compresi nell’ineludibile confronto con gli altri,
ma cui ci si abbandona con umilta’ e senza riserve
con Carita’ perché nella condivisione c’è sempre
un’opportunità che migliora, rendendo meritoria
un’azione.
Ci si forma formando, e si impara facendo, è una
catena di indiscussa validità che non ha bisogno
di approvazione: è la Tradizione.
Esseri che si donano settimana dopo settimana
alternandosi come solo le virtu’ interiori sanno
fare senza copioni già scritti. Come Artisti di strada
che non improvvisano l’arte: ce l’hanno nel sangue
Grazie ad una lunga preparazione che costa fatica, costa
sacrifici, tante incertezze e trepidazioni per il domani
Esseri in cammino a cui poter porre tante domande
ma che solo il tempo e la storia daranno risposte sufficienti.
Un anno è trascorso nel Terzo Ordine Francescano e per
essere in grado di affrontare la scena della vita, che grazie
a loro cambia prospettiva, io li seguo col sigillo indelebiledella nostra fede rispolverato e tirato a lucido
per farlo brillare come un astro sulle nostre vite.
Essi pecore madri, io mite agnellino, anima svezzata
che comprende ed apprezza il Bene, la Pace, la Sollecitudine,
e la Gioia di essere tra fratelli in Cristo, figli di un unico
Padre che ci vuole uniti nell’amore dell’uno verso l’altro
Perché il mondo ci riconosca e creda.
Buon lavoro a tutti!

Eugenia Iannone




IL SALUTO DELLA GIOVENTÙ FRANCESCANA DI AVELLINO A P. INNOCENZO MASSARO

O Signore, fa di me uno strumento…”
Hai basato su queste parole la tua vita e questo hai trasmesso anche a noi. Fin da piccoli ci hai teso la mano e ci hai accolti nella tua casa, passo dopo passo con amore di padre, ci hai condotto fin qui:
un percorso fatto di preghiera, di gioia, di affetto, di formazione.
In ogni momento abbiamo avvertito la tua presenza, sempre discreta, che con dolcezza e fermezza ci ha incoraggiati e sostenuti anche nelle cadute che nella vita di noi giovani non mancano mai.
Dobbiamo lottare per il bene difficile contro il male facile”, quante volte l’abbiamo sentito ed ora è diventato il nostro motto. Noi che grazie a te siamo diventati uomini e donne con la U maiuscola e con la M maiuscola come dicevi tu, abbiamo imparato tanto da te, anche a resistere alle tentazioni come Gigino con la torta, un esempio semplice che alla festa della mamma non ci facevi mai mancare.
Ci hai insegnato non solo con le parole ma con la tua vita, per questo l’unica cosa che possiamo ora dirti è “grazie” . Quante volte l’hai detto a noi, alla tua scuola cantorum, ai tuoi gifrini. Per ogni piccola cosa sei sempre stato fiero di noi, come noi lo siamo di te, e se la nostra vita è così piena d’amore è merito tuo.
Ci resta ora la consapevolezza che non abbiamo perso un padre, ma acquistato una stella che guiderà per sempre il nostro cammino.

Ti vogliamo bene
La Gi.Fra.




LA SECONDA VENUTA DI FRANCESCO

La seconda venuta di Francesco è il titolo di una sceneggiatura teatrale scritta da Josè Saramago nel 1987[1]. Al pari del più famoso Il vangelo secondo Gesù Cristo del 1997 alla sua uscita suscitò lo sdegno del mondo cattolico; o meglio, di quella gerarchia ecclesiastica che ritiene di esserne l’unica legittima rappresentante, deputata ad esprimere l’opinione alla quale tutti i cattolici si devono conformare.
Personalmente, in quanto francescano secolare non mi sono sentito per nulla offeso dalla versione che il grande scrittore portoghese ha offerto di Francesco e del francescanesimo; la sua mente acuta non era mai blasfema anche quando si soffermava su quel sacro che categoricamente rifiutava. Non solo, ma gli sono anche riconoscente per quella sua impareggiabile capacità di portare impietosamente in superficie quegli interrogativi che spesso, per timore non si sa bene di cosa, noi francescani non osiamo porci; le prospettive che egli apre, seppur discutibili, mi hanno aiutato ad interrogarmi sul mio francescanesimo molto più di tante stanche e ripetitive conferenze, così come l’inquietante Il Vangelo secondo Gesù Cristo ha stimolato la mia riflessione più di tante soporifere omelie domenicali.Nell’immaginazione di Saramago Francesco torna tra i suoi frati ma è costretto a constatare  che l’Ordine è cambiato, è divenuto una sorta di società finanziaria: quelli che un tempo erano i frati più fidati – Leone, Masseo, Egidio, Ginepro, Rufino, Bernardo – ora sono i membri del Consiglio di amministrazione il cui presidente è frate Elia; suo padre Pietro di Bernardone ne è il direttore generale; sua madre Pica dirige il personale amministrativo del quale fanno parte Chiara, Agnese e Jacopa. Il saio è una divisa da indossare nelle riunioni ufficiali.
Francesco vorrebbe riportare l’Ordine alla originaria povertà ma si scontra con il rifiuto dei consiglieri e si mette in aperta competizione con loro, specie con Elia. Addirittura, si  ingegna per cercare di distruggere l’Ordine; la sua strategia è singolare: distribuire a tutti i frati – che nel frattempo sono diventati agenti di commercio – il testo della Regola, caduta nell’oblio, sommersa da avvisi, ordini di servizio e circolari. Sicuramente a noi francescani non fa piacere vedere un Ordine diviso, lacerato; ma abbiamo dimenticato i forti contrasti che hanno attanagliato l’Ordine vivente ancora Francesco e proseguite con inaudita violenza dopo la sua morte? Ci sembra paradossale un Francesco che vuole distruggere l’Ordine; ma abbiamo dimenticato come Francesco al Capitolo delle Stuoie del 1221 maledice i frati che volevano imporgli di scrivere una regola, abbiamo rimosso la sua reazione rabbiosa alla vista della casa che il comune di Assisi aveva edificato per i frati approfittando della sua assenza?
Saramago presenta Francesco e suo padre come due estranei che non sono mai riusciti a perdonarsi e mette in bocca al Poverello parole di odio che sicuramente suscitano inquietudine e turbamento. Ma come non considerare che Francesco ha chiamato «fratello» finanche una bestia feroce ma non suo padre? Che ha chiamato «sorella» finanche la morte ma non sua madre? Il primo campo di apostolato per un laico non è forse la propria stessa famiglia? Francesco fa eccezione? Non sono mai riuscito a spiegarmi il gesto di Francesco sulla piazza di Assisi: Francesco era sempre molto discreto nei suoi comportamenti, perché in quella circostanza ha voluto sottoporre il padre a quella umiliazione pubblica? Non gli era più che sufficiente abbandonare la sua casa e intraprendere la sua nuova strada senza tanti clamori?
Piuttosto enigmatico nel testo di Saramago è il rapporto tra Francesco e Chiara; a volte si cercano, altre si evitano; a volte sembrano estranei, altre complici. Poche parole, dalle quali non si capisce bene, o almeno non lo capisco io, se Saramago voglia attribuire al sentimento profondo che lega i due anche una velata sfumatura di umanissimo amore. Ma anche se vi fosse stata questa componente che male vi sarebbe? Forse sminuirebbe la purezza di queste due creature?
Ma ancora più sconvolgente è il finale. Francesco, per vincere la sua battaglia con frate Elia, fa entrare un povero nel corso di una seduta del Consiglio di amministrazione ma questi, a sorpresa, lo tradisce: gli rinfaccia di aver beatificato e sublimato la povertà, di aver fatto di una piaga sociale la strada verso il cielo: «Non siamo poveri allo stesso modo», gli dice. Francesco comprende, si pente e come di fronte a una nuova vocazione, liberato da un peso, esclama: «Ora lotterò contro la povertà. È la povertà che deve essere eliminata dal mondo. La povertà non è santa. Tanti secoli per capirlo. Prenderò il nome di Giovanni, che è il mio vero nome. Sceglierò un’altra vita, sarò un altro uomo. Qualcuno viene con me? Chiara?». Chiara lo segue e così  Leone e Ginepro. E poi anche Pica che rivolta ad Elia dice: «Vado ad aiutare Giovanni a scrivere la sua prima pagina».  Sicuramente un Francesco marxista è una forzatura; ma come non considerare che Francesco e i primi frati con la povera gente non avevano nulla a che fare essendo tutti borghesi se non addirittura nobili? Come non ricordare che sulle prime incassarono l’ostilità dei poveri che li guardavano come figli di papà cui d’improvviso aveva dato di volta il cervello? E come non ammettere che l’Ordine ben presto cominciò a trascurare il servizio ai poveri per dedicarsi alla riflessione teologica sulla povertà?
Insomma, un gran bel testo, come tutta la produzione di Saramago, che consiglio vivamente. Forse l’unica cosa che non mi sento di condividere con il grande scrittore portoghese è l’ambientazione della vicenda; sicuramente noi francescani abbiamo perso molto dell’originaria carica ideale, specie in materia di povertà e di presenza sociale; e sicuramente abbiamo tante altre carenze sulle quali forse non ci interroghiamo abbastanza; ma non siamo ridotti a una macchina da soldi, non siamo noi a fare affari con la cricca.
Un anno fa, il 18 giugno 2010, Josè Saramago moriva nella sua casa di Lanzarote. L’Osservatore Romano commentava la notizia con un pezzo al limite dell’offensivo, straripante di antico livore[2]; recentemente, in occasione della morte di Osama Bin Laden la Santa Sede ha mostrato un atteggiamento più rispettoso. «Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell’evangelico campo di grano», concludeva il giornale vaticano. Sarà pure. Tuttavia mi chiedo: da cosa bisogna guardarsi maggiormente, dalle piante di zizzania o dal lievito dei farisei?

 

Pietro Urciuoli, OFS d’Italia


[1] In Italia è pubblicato, insieme ad altri tre testi teatrali, nel volume: Josè Saramago, Teatro, ed. Einaudi, Torino 1997.

[2] L’onnipotenza (presunta) del narratore, di Claudio Toscani, l’Osservatore Romano del 20 giugno 2010. Nel 1998 il Vaticano si oppose alla attribuzione del Nobel per la letteratura, considerandola dovuta a motivazioni più ideologiche che artistiche.

 




PREPARIAMOCI AL 5° INCONTRO DELLA ZONA INTERDIOCESANA DI AVELLINO

Eccoci, Signore, davanti a te, dopo aver tanto camminato lungo quest’anno. Se ci sentiamo stanchi, non è perché abbiamo percorso un lungo tragitto, o abbiamo coperto chi sa quali interminabili vie. È perché, purtroppo, molti passi, li abbiamo consumati sulle viottole nostre, e non sulle tue: seguendo i tracciati involuti della nostra caparbietà faccendiera, e non le indicazioni della tua Parola; confidando sulla riuscita delle nostre estenuanti manovre, e non sui moduli semplici dell’abbandono fiducioso in te. Forse mai, come in questo crepuscolo dell’anno, sentiamo nostre le parole di Pietro: «Abbiamo faticato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla». Ad ogni modo, vogliamo ringraziarti ugualmente. Perché, facendoci contemplare la povertà del raccolto, ci aiuti a capire che senza di te non possiamo far nulla.
Ma ci sono altri motivi, Signore, che, al termine dell’anno, esigono il nostro rendimento di grazie. Tutti Ti ringraziamo, Signore, perché ci conservi nel tuo amore. Perché continui ad avere fiducia in noi. Grazie, perché non solo ci sopporti, ma ci dai ad intendere che non sai fare a meno di noi. Grazie, Signore, perché non finisci di scommettere su di noi. Perché non ci avvilisci per le nostre inettitudini. Anzi, ci metti nell’anima un cosi vivo desiderio di ricupero, che già vediamo il nuovo anno come spazio della speranza e tempo propizio per sanare i nostri dissesti. Spogliaci, Signore, di ogni ombra di arroganza. Rivestici dei panni della misericordia e della dolcezza. Donaci un futuro gravido di grazia e di luce e di incontenibile amore per la vita. Aiutaci a spendere per te tutto quello che abbiamo e che siamo. E la Vergine tua Madre ci intenerisca il cuore. Fino alle lacrime”. Carissimi Fratelli e Sorelle, a tutti voi il saluto di pace e bene!
Credo non ci siano parole più adatte, di quelle di don Tonino Bello, per entrare nel clima dell’ultimo incontro zonale dell’anno sociale.
La conclusione di un viaggio, appunto, è il momento giusto per fare bilanci, pensando a quanto di bello abbiamo vissuto o alle difficoltà che abbiamo incontrato; per svuotare la valigia dei ricordi; riprendere “bastone e bisaccia” e partire nuovamente. Questo è il nostro “cammino di fede”, fatto di tante piccole tappe e di un unico grande traguardo: “Andare incontro a Gesù ed entrare nella Vita Eterna”.
Per raggiungere tale ambizioso traguardo, però, abbiamo ancora tanta strada da fare e la cosa che più ci da’ forza e fiducia è sapere che, accanto all’impronta che lasciamo sulla via, c’è sempre quella del fratello che condivide con noi le difficoltà di vivere, con coerenza, la vocazione francescana.
L’ultimo appuntamento, dunque, vuole essere, un’opportunità per fare una breve sosta, riprendere il fiato e condividere la gioia di aver vissuto, insieme, un anno con tanti spunti, utili a “rendere sempre più salda la nostra vocazione” (Cfr. 2 Pt 1,10).
Ma è anche il momento giusto per dare nuove indicazioni al nostro itinerario di fede, facendo tesoro degli errori commessi e ripartendo da quanto di buono è stato fatto fino ad oggi.
Con questa disposizione, ci prepariamo a vivere l’incontro che si terrà presso il Convento S. Rocco dei frati Minori di Lioni (AV), domenica 29 maggio 2011 che avrà per tema: “IL RAPPORTO FRATERNO CON TUTTE LE CREATURE”.
L’incontro si svolgerà secondo il programma seguente:
PROGRAMMA
ore 9.00 – Accoglienza
ore 9.30 – Lodi
ore 10.00 – Introduzione alla giornata.
Presentazione [1^ parte]: In principio Dio creò il cielo e la terra. … e vide che era                         cosa buona. (Gn 1) – a cura di Alfredo Trocciola.
ore 10.15 – Intervento di p. Damiano Lanzone (Consigliere Nazionale di Giustizia Pace e                              Integrità del Creato) sul tema: “Il rapporto fraterno con tutte le creature”.
Segue dibattito
ore 11.15 – Coffe -break
ore 11.30 – Presentazione [2^ parte]: Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di                              Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse (Gn 2,15) – a cura di Alfredo Trocciola.
ore 12.00 – S. Messa della Fraternità
ore 13.00 – Pranzo a sacco
ore 16.00 – Condivisione sul cammino percorso dalla Zona nell’anno sociale 2010/2011 e proposte per il nuovo anno.
ore 17.00 – preghiera finale
ore 17.10 – saluti e partenza
L’invito è rivolto a tutte le fraternità Ofs e Gi.Fra. della Zona Interdiocesana di Avellino e a tutti i loro membri [invito i ministri a coinvolgere tutta la fraternità e anche gli Assistenti]; immagino gli impegni di ciascuno che non metto in discussione, di qualunque natura siano, ma vi esorto a non mettere sempre all’ultimo posto la Fraternità!
Invitate anche i vostri parenti, amici, perché possa essere una giornata di festa e di testimonianza, per tutta la fraternità, oltre ad essere occasione di riflessione, per tutti, su temi di stretta attualità.

scarica la circolare

 

INDICAZIONI STRADALI


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FRANCESCO D’ASSISI. GIULLARE, NON TROVATORE [10^ parte]

Le stimmate cambiano radicalmente il corso della vita di Francesco. Defilatosi definitivamente dalla guida dell’Ordine ne diviene l’icona vivente, la guida spirituale. Sono anni segnati, benché gravemente ammalato, da una ripresa delle sue peregrinazioni e da numerose lettere apostoliche di incoraggiamento e di esortazione: a tutti i fedeli, ai reggitori di popoli, a tutti i chierici, a tutti i custodi.
Tra i testi lasciatici da Francesco in questo ultimo periodo della sua vita, due sono certamente i più significativi.
Il primo è il Cantico delle Creature, dettato durante un periodo di riposo a San Damiano nella primavera del 1225. Su tale componimento, considerato giustamente uno dei primi capolavori della letteratura italiana in volgare, è stato detto e scritto tantissimo. Segnato dalle stimmate – che lo rendono simile al Cristo nello spirito come nella carne, nella sofferenza come nella gloria – egli può vedere le creature con gli occhi del creatore, come un nuovo Adamo nel giardino dell’Eden. Il secondo è il Testamento, dettato probabilmente nell’aprile 1226 nell’eremo delle Celle di Cortona. È un documento suscettibile di essere analizzato sotto svariati punti di vista. In primo luogo, presenta molteplici valenze indicate da Francesco stesso nel corpo del testo: è un ricordo, col quale riporta alla mente il fervore dei primi anni; è un’esortazione, che rivolge ai frati consapevole delle crescenti difficoltà in cui si dibattono; è una ammonizione, a non deviare dalla strada maestra che lui ha tracciato; è un testamento, con il quale benedice i frati di ogni tempo e di ogni luogo.
Inoltre, è lo strumento utilizzato da Francesco per ribadire alcuni concetti cui nella Regola non era stato dato il necessario risalto e che invece gli stavano particolarmente a cuore: il lavoro manuale, il servizio ai lebbrosi, l’assoluta povertà, il divieto di chiedere privilegi ed altro ancora.
Infine, è sicuramente il testo che meglio rende la ricchezza della sua personalità e l’originalità della sua esperienza religiosa.
Un testo che da sempre è oggetto di studio, fonte di ispirazione, orizzonte di preghiera. Magnifico è il commento di Paul Sabatier nella sua fondamentale Vita di San Francesco d’Assisi del 1894:

«A queste pagine occorre chiedere la nota giusta per delineare la vita del loro autore e farsi un’idea della riforma che egli aveva sognato. In questo monumento dall’autenticità incontestabile, la più solenne manifestazione del suo pensiero, il Poverello si rivela con verginale candore. La sua umiltà è di una sincerità che si impone; è assoluta senza essere eccessiva. Tuttavia egli parla, poiché si tratta della sua missione, con tranquillità e serena sicurezza. Non è forse ambasciatore di Dio? Non ha ricevuto il suo messaggio da Cristo stesso? La genesi del suo pensiero si manifesta divina e personalissima insieme. La coscienza individuale proclama al tempo stesso la sua autorità sovrana e la sua responsabilità: “Nessuno mi mostrava cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la norma del santo Vangelo”».

Gli ultimi mesi della sua vita sono segnati da sofferenze indicibili. L’incontro con sorella morte avviene la sera del 3 ottobre 1226 a Santa Maria degli Angeli. Chissà se negli ultimi istanti della sua vita terrena – per citare un altro grande storico, questa volta contemporaneo, il francese Jacques Le Goff – Francesco si chiede se ha fondato la prima fraternità moderna o l’ultima comunità monastica.

Pace e bene

Pietro Urciuoli