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GESU’ NON HA SCELTO IL PALAZZO

A 50 anni dal Concilio vaticano II, queste riflessioni di Don Gallo sulla Chiesa contemporanea, i suoi rapporti col Potere e la coscienza dei cristiani invitano ad una fede vissuta con sempre maggiore consapevolezza critica

Come prete, ho vissuto con commozione la primavera del Concilio vaticano II. Quella stagione è finita? Vorrei con tutto il cuore che la mia amata Chiesa cattolica, della quale sono presbitero da oltre cinquant’anni, non volesse mai avere un “posto speciale” nella storia. Essa è sale, è lievito, è chicco di grano. Non ha nulla da spartire con il Potere.
Gesù non ha scelto il Palazzo, ha scelto di nascere in una mangiatoia.
Vorrei guardare alla gloriosa storia della Chiesa come a una cattedra alta, che accetta la discussione, che apre le braccia a tutti, che accoglie con gioia il confronto. Una Chiesa che evangelizza sempre.
La comunità dei discepoli porta la Buona Novella a tutte le culture, rispettandole, visitandole, rinverdendole.
I tentativi di “presenza” dei cristiani devono essere portati davanti alla croce per essere giudicati e riconciliati dalla Parola di colui che ha tanto amato il mondo da dargli il suo unico figlio.
I cristiani – da prete dei poveracci lo dico – non devono avere una loro cultura, ma devono “abitare” la cultura degli uomini, conferendo a essa, semmai, quell’orizzonte che solo la fede può dare.
La croce del Vangelo non ci consegna una cultura, ma si incultura, non fa di noi una città, ma abita le case degli uomini.
Allora né i migranti, né i poveri, né i giovani, né gli operai, né i soggetti ghettizzati, né il cuore antico della gente, né la ragione comune laica, si troveranno fuori casa e subiranno scandalo.
Non vogliamo, cari fratelli e sorelle in Cristo crocifisso e risorto, per la nostra Chiesa, una sorta di “corsia preferenziale”, sottratta alla verifica di tanti credenti e non credenti, che cercano, con onestà intellettuale, di ordinare il traffico delle idee nella storia contemporanea, con profondo spirito critico reciproco.

Non mi sembra più possibile continuare a sostenere: «Cristianesimo uguale occidente». Ci vuole estrema chiarezza quando si parla di “radici cristiane”.
Dal famoso “caso del crocifisso” emerge in modo chiaro una politica – non solo leghista – incolta, arrogante e accomodante, pronta a riconoscere per il proprio tornaconto elettorale l’utilità sociale della religione. Questa però è vista come una religione che fornisce coesione, forza e motivazioni trascendenti di fronte al “nemico”, o quando addirittura esso viene appositamente creato, poiché spesso si sente anche questa urgenza, in questa società così frammentata, quella di crearsi un nemico.
La virtù della vigilanza, della lotta spirituale, del discernimento, deve attuarsi più che mai nell’attuale contesto, in cui la Chiesa non è osteggiata, anzi è ascoltata e omaggiata come Chiesa che serve, che mostra un’utilità sociale.
La croce di Gesù tiene aperto il futuro, contro tutte le chiusure e le ghettizzazioni delle frontiere, delle fabbriche, dei partiti, della scuola pubblica, del servizio civile, degli uffici, dei pubblici ministeri e dello stesso parlamento.

Lo specifico del cristiano consiste, tutto e per intero, nella fede stessa e in null’altro.
La fede non fornisce alcuna certezza politica, anzi, obbliga il cristiano a rivedere criticamente ogni sua scelta e lo spinge a ricercare insieme a tutti gli uomini, alla pari, la risposta più adeguata all’incessante domanda di costruzione di un mondo più giusto, più umano. Il cristiano non è mai “contro”: è con gli uomini di tutto il mondo.
Da prete di strada spero, con l’aiuto di Dio, di incontrare ancora numerosi cattolici, vescovi, preti, monaci, fratelli cristiani, che mi annuncino la Buona Novella, con coerenza evangelica.
Con il crocifisso di Gesù, unico mediatore tra Dio e gli uomini, unico sacerdote, i cristiani con i loro pastori devono smascherare le disumanità, con la capacità di destare il salutare “scandalo” dell’Evangelo; devono avere il coraggio della denuncia profetica contro tutte le ingiustizie, con vigilanza e istanza critica, contro i rischi dell’assurgere del potere politico ed economico a idolo, con tutte le donne e gli uomini che Dio ama.

“Camminare domandando”, nella via della non violenza, della pace, alla scoperta delle cause della struttura oppressiva.
Tutti, credenti e non credenti, possono giungere al ritrovamento di un nuovo significato: cercare la verità e sperare sempre nella possibilità di un mondo migliore; tutto ciò per i singoli e la stessa convivenza civile, costruendo una vera e unica famiglia umana.
C’è un ampio spazio per i credenti di tutte le religioni, e anche per i non credenti, nella nostra laicità del villaggio globale.
La fede ha il diritto e il dovere di criticare, di essere proposta all’uomo come senso del suo destino, d’innalzare la voce in nome dei propri valori, e il credente in questo fa parte della polis, ha il diritto di far ascoltare la sua voce tra gli altri uomini. Tuttavia non spetta alle religioni (e qui parlo della religione cristiana) definire o reggere la società, cadendo magari nella deriva del fondamentalismo o peggio dell’integralismo, come la storia insegna.
Una parola, una testimonianza che sia “eco di Dio”. I cristiani non hanno la loro cultura ma devono abitare la cultura degli uomini. Il Vangelo, infatti, è una proposta: il messaggio del Vangelo non ci consegna una cultura, una civiltà, ma si in-cultura; non fa di noi una città cristiana, ma abita le case degli uomini.
Il compito dei cristiani è di essere sale, luce, di illuminare sentieri possibili, di offrire indicazioni di senso, di speranza, di dialogo tra le culture e le civiltà, tra le religioni.

Nella Chiesa, purtroppo, è ancora inverno… e nella nostra intera società è notte. Ma tanti cristiani sono capaci, nel mondo, di urto, con risolutezza, con forza, contro la mondanità, contro l’idolatria, senza integralismi, senza pretendere privilegi e prebende, senza indire ancora crociate.
La mia amata Chiesa, nel processo di omologazione, stabilisce una Santa Alleanza tra il popolo di Dio e le leggi del mercato. Se il pensiero unico neo-liberale presenta il capitalismo come il fine, lo scopo della storia politica ed economica, allora questo è l’unico mondo possibile! E lo stesso discorso vale se il pensiero unico vaticano presenta il cattolicesimo come fine della storia religiosa.
A farne le spese è la teologia del pluralismo religioso, e si afferma sempre più dogmaticamente la Chiesa cattolica depositaria esclusiva della rivelazione divina, piena e definitiva. Come può quindi il dialogo con le altre religioni essere una forma di arricchimento, se si continua a ragionare così? Senza dialogo di base, come può la Chiesa adempiere alla sua missione evangelizzatrice di incontro e non di scontro tra religioni, tra civiltà, tra etnie? Volendo convertire tutte le persone e i popoli, il cristiano rischia un’evangelizzazione forzata come quella avvenuta durante la conquista dell’America, o ritorna come alla lotta anticomunista (il “nemico”) alleandosi con l’antico nemico, il liberalismo. Per passare oggi alle guerre di religione, per finire nello scontro di civiltà: «L’islam che ci invade, allarme su tutti i fronti!»

Per sfuggire a ogni fondamentalismo è indispensabile, a mio avviso, invece, una profonda interpretazione del pluralismo religioso e una vera vocazione al dialogo.
Permettetemi una metafora: l’identità, e allo stesso modo la coscienza, ha perso il suo stato solido, ormai scorre liquida e mutevole a seconda dei contesti. Cambia continuamente, senza più centro. E questo crea insicurezza, fragilità, anche paura.
Il bisogno di educare coscienze mature e responsabili non deriva da una generica esigenza morale, ma da una concreta urgenza di questo tempo. Siamo tutti compagni di strada, alla ricerca, non necessariamente allo sbando. Solo partendo da questo presupposto i cristiani riusciranno ad aprire cammini assieme agli altri uomini, e si sforzeranno insieme di edificare la polis senza titoli di privilegi, senza ricette infallibili, senza pretese di egemonia.
Il Vangelo, infatti, ispira i loro progetti, ma non ne detta la forma di realizzazione. Questa è da ricercarsi insieme agli altri cittadini non cristiani. Nessun fondamentalismo, quindi, né tanto meno integralismo, che sono sempre figli dell’angoscia di salvezza e di dominio, deve inficiare l’attiva presenza dei cristiani nella società.

La Chiesa in questi anni ha frenato e bloccato la riforma del Concilio vaticano II. Il messaggio di Gesù è che prima della fede viene l’etica, cioè il comportamento di ciascuno. E in questa testimonianza, in questa realizzazione del suo appartenere alla famiglia umana e quindi alla sfera civica che cresce sempre più, ecco che può vivere la sua fede, altrimenti egli è un incoerente – questo concetto c’era già nel Collegio apostolico – è un traditore del messaggio di Gesù. Bisogna incrociare questi valori che vengono da lontano (io li chiamo di sinistra), la solidarietà, la pace, il rispetto della natura, con una nuova storia del civismo, dei giovani, e soprattutto con la irrinunciabilità del protagonismo delle donne, che non hanno più paura degli uomini, e quindi vogliono la parità.
Vorrei terminare questo primo Vangelo esprimendo un augurio: liberarsi dalle paure. Il Male sta dove manca la speranza del Bene. Come diceva papa Giovanni, nella Pacem in terris: «Non ascoltate i profeti di sventura».

Don Andrea Gallo
Da Il Vangelo di un utopista, Aliberti Editore

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IL MIO DIO SI CHIAMA LIBERTÀ

Teologo e filosofo, Vito Mancuso è anche uno scrittore che sa come  dialogare con i lettori, credenti e non credenti. I suoi libri vendono decine di migliaia di copie, diventando veri e propri casi editoriali e  dimostrando che  c’è “ una domanda di spiritualità molto forte nel nostro paese alla quale l’offerta della religione tradizionale per molti aspetti non riesce ad andare incontro”(Mancuso) .

E’ stato definito  «il teologo che vuole rifondare la fede»  per le sue posizioni non sempre allineate con le gerarchie ecclesiastiche. Qui parla del suo ultimo libro, in una intervista  rilasciata in occasione della consegna di  un premio letterario.

 Vito Mancuso è a Reggio Calabria, vincitore del Premio Rhegium Julii “I.Falcomatà” dedicato alla saggistica con il volume Obbedienza e libertà. Parlare con Mancuso è immergersi nei suoi silenzi, disimparare le regole ordinarie di conversazione per reimpararne di nuove, seguendo un ritmo meno sincopato, più ampio, disteso, profondo.

Nel volume afferma che la sua è una teologia laica: potrebbe sembrare un ossimoro…

La laicità non è uno stato della persona: ci sono dei preti o dei monaci perfettamente laici e viceversa dei laici perfettamente clericali o anticlericali (la stessa cosa in positivo o negativo). La teologia laica è quella modalità di intendere e sviluppare il discorso teologico non per appartenere a una istituzione, quindi non per essere funzionale a una struttura di potere, ma per servire la verità per se stessa, così come si manifesta nella coscienza umana. E’ una teologia che si potrebbe esemplificare con la frase di Albert Schweitzer, “la sincerità è il fondamento della vita spirituale”: una teologia che ama la verità e da questo amore prende il coraggio di fare emergere tutte le aporie del discorso tradizionale, cercando di risolverle e sapendo che solo così si può servire la coscienza contemporanea…

Scrive che la verità libera quando ci si chiede continuamente che cos’è la verità… però la teologia di fatto nasce per dare una risposta a questa domanda…oppure no?

Io penso di no. Penso che il centro del Vangelo, dove Gesù dice “Io sono la verità”, mostri che la verità non vada intesa come un contenuto (perché altrimenti non avrebbe nessun senso che un essere umano dica: “Io sono la verità”), ma come metodo. “Io sono la via, la verità e la vita”: la verità è al centro, della via e della vita, è un metodo. Solo così si capisce la fede.  In un altro passo del Vangelo Gesù dice: “Chi fa la verità viene alla luce”. Anche qui la verità non è un contenuto, perché un contenuto lo si dichiara, lo si professa, non lo si “fa”. La verità (radice di veritas in latino è la stessa di primavera) è un metodo in grado di far fiorire la vita, di fare sì che le cose, e l’energia primordiale di cui noi consistiamo, si dispongano in modo tale da creare maggiore organizzazione: vitale, mentale, spirituale. Questa concezione legata alla prassi è precisamente la concezione evangelica: il cristianesimo non è nato per servire un sistema dottrinale, anzi il fondatore del cristianesimo è stato messo a morte perché considerato una minaccia per un preciso sistema politico-dottrinale. Il cristianesimo nel suo nucleo originale ha potuto sorgere e svilupparsi proprio per questa disposizione metodologica: io mi dispongo nella vita in modo tale da ricercare sempre qual è il punto di vista per servire la verità, e per fare questo sono disposto anche a infrangere alcuni dogmi, alcune usanze, alcune dottrine, come faceva Gesù quando violava il sabato o le leggi di purità rituale e così via…

Però a questo punto la verità diventa un telos, un obiettivo da raggiungere, a cui tendere,  ma che non si raggiunge mai…

Si raggiunge sempre ma non si può mai definire, concludere. Se la verità è la logica della vita, ogni situazione ha una logica che la rende vera. In questo momento, stiamo facendo un’intervista: esiste una logica del nostro discorso? La stiamo servendo? Siamo in una situazione autentica? Io ritengo di sì. In questo momento stiamo facendo la verità. La stiamo definendo? No, perché dopo di questo incontro ce ne saranno altri, etc… e ogni volta dovremmo cercare la logica mentale e operativa in base alla quale disporsi. Non è una formula in base alla quale uno possa pensare di possederla.

Il punto fermo però, in questa analisi e nel libro, è l’oggettività del bene, cioè il bene definibile universalmente cercando dentro la coscienza , quindi la capacità dell’uomo in quanto tale di sapere riconoscere “naturalmente” il bene…

Esatto. C’è bisogno di fidarsi dell’istinto naturale di cui siamo formati, perché la logica che ha portato all’esistenza il nostro corpo e che lo mantiene è la logica dell’armonia relazionale, tra le componenti subatomiche, poi atomiche,  molecolari e così via. Il fondo del mio pensiero è il principio della relazione: uno deve semplicemente essere fedele a questa logica e trasmetterla al di fuori di sé. La religione, intesa come religio, legame, è in funzione di questo, armonia attraverso la relazione, dentro di sé, tra se stessi e gli altri, tra se stessi e la natura. Ai ragazzi del liceo (lo scrittore ha incontrato gli studenti del Campanella, ndr) ho chiesto:  la famosa frase kantiana, “Due cose riempiono la mia anima: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me” rimanda a una sola realtà o a due realtà? La legge morale dentro di me è della stessa pasta del cielo stellato sopra di me? Qui ci sono diverse scuole ma la religione è quella disposizione della mente e del cuore che ti fa capire che quanto più sei fedele alla legge morale dentro di te tanto più sei fedele alla legge cosmica che ti ha portato all’esistenza, e viceversa. Questa è la religio. Un’unione tra me e il cosmo.

Nel volume parla del postmodernismo come una sorta di neopaganesimo. Eppure, la concezione antidottrinale della verità cui fa riferimento  mi fa venire in mente, per assurdo forse, quella espressa da Eco ne “Il nome della rosa” (“Forse il compito di chi ama gli uomini é di far ridere della verità, fare ridere la verità, perché l’unica verità è imparare a liberarci dalla passione insana per la verità)

Beh, la concezione che ho della verità, identificazione della legge cosmica che ci pervade e informa l’energia e che è stata individuata nelle diverse tradizioni con nomi diversi, più che alla contemporaneità la vedo affine ad una dimensione classica. Se per paganesimo si intende questa dimensione, quindi non l’accezione comune (cancellazione di ogni riferimento trascendente, immoralismo etc) ma un discorso che partendo dalla realtà materiale vuole condurre un rigoroso discorso spirituale io non vedo contraddizione, anzi, probabilmente aggiungo che in quello che definivi postmodernismo, che è la condizione in cui ci muoviamo, il bisogno fondamentale della coscienza umana sia quello di giungere a sanare la frattura scientifica/materiale e umanistica/spirituale. Se devo dare una spiegazione dell’attenzione che vedo attorno a quello che scrivo è perché probabilmente la gente vede che questa frattura viene ricucita.

Alla fine però non abbandona la dimensione gerarchica della Chiesa. Tutto quello che dice, scrive, sembra condurre più ad una dimensione orizzontale, reticolare, e invece lei mantiene quella gerarchica…

Noi viviamo di dimensione orizzontale e verticale. Non esiste nulla (che conosca io) in natura che prescinda da una gerarchia: la natura non conosce nulla che non abbia una funzione gerarchica. Questo però non significa cadere nel verticismo, nell’autoritarismo,  significa capire che ci sono dei sistemi gerarchicamente configurati, tali solo nella misura in cui ascoltano le dinamiche orizzontali. Io sono un figlio spirituale del card. Martini: è stato il mio punto di riferimento, con il quale avevo un rapporto vivo, intenso ma asimmetrico, un rapporto in cui lui mi dava del tu e io del lei. Io ho avuto beneficio da questo rapporto, soprattutto nella mia giovane età, perché avevo bisogno di una guida, di un supporto, e ancora adesso ne ho bisogno.  Ho sempre aderito a questa guida perché non era una guida che imponeva se stessa ma che diceva l’ultima parola dopo avere ascoltato la prima, la seconda, l’ennesima, una parola che sorgeva dalla sintesi, dall’ascolto, dal discernimento.  Quindi io ritengo che la struttura verticale, non verticista, sia qualcosa di positivo: ha un fondamento naturale ed anche biblico. Gesù sceglieva: c’erano le folle, i 72 discepoli,  i 12 discepoli, i 3 preferiti, e poi uno solo, Pietro o Giovanni a seconda delle scuole… Ma deve essere una gerarchia tale che chi sta sopra stia in funzione del basso:  va cambiato proprio il flusso di energia, dal basso verso l’alto e non viceversa.

In questo senso pensa che il Sud del mondo possa dare un contributo?

Sì. Ed è una bella domanda questa. Penso che soprattutto il sud del mondo possa fare scaturire questo. Purtroppo c’è da dire che quando tentava di emergere, soprattutto attraverso la Teologia della Liberazione, il vertice verticista ha fatto di tutto per soffocarla e di fatto c’è riuscito. Adesso dobbiamo combattere per la liberazione della teologia.

Poi sorride. E sembra il sorriso di Siddharta. Der suchende. Colui che cerca.

Intervista di Josephine Condemi

Tratto da: A Vito Mancuso il premio Rhegium Julii “I.Falcomatà”




FUNERALI DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI

Ieri, 3 settembre 2012, sono stati celebrati i funerali del Cardinale Carlo Maria Martini, cui hanno preso parte, oltre le migliaia di fedeli (circa ventimila), diversi personaggi politici, tra cui, su tutti, il Presidente del Consiglio Mario Monti.
Vogliamo ricordare il Card. Martini con le parole dal Santo Padre, Benedetto XVI, scritte nel messaggio inviato in occasione dei funerali:
«Cari fratelli e sorelle,
in questo momento desidero esprimere la mia vicinanza, con la preghiera e l’affetto, all’intera Arcidiocesi di Milano, alla Compagnia di Gesù, ai parenti e a tutti coloro che hanno stimato e amato il Cardinale Carlo Maria Martini e hanno voluto accompagnarlo per questo ultimo viaggio.
«Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 118[117], 105): le parole del Salmista possono riassumere l’intera esistenza di questo Pastore generoso e fedele della Chiesa. È stato un uomo di Dio, che non solo ha studiato la Sacra Scrittura, ma l’ha amata intensamente, ne ha fatto la luce della sua vita, perché tutto fosse «ad maiorem Dei gloriam», per la maggior gloria di Dio. E proprio per questo è stato capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l’unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell’amore. Lo è stato con una grande apertura d’animo, non rifiutando mai l’incontro e il dialogo con tutti, rispondendo concretamente all’invito dell’Apostolo di essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 4,13). Lo è stato con uno spirito di carità pastorale profonda, secondo il suo motto episcopale, Pro veritate adversa diligere, attento a tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili, vicino, con amore, a chi era nello smarrimento, nella povertà, nella sofferenza.In un’omelia del suo lungo ministero a servizio di questa Arcidiocesi ambrosiana pregava così: «Ti chiediamo, Signore, che tu faccia di noi acqua sorgiva per gli altri, pane spezzato per i fratelli, luce per coloro che camminano nelle tenebre, vita per coloro che brancolano
nelle ombre di morte. Signore, sii la vita del mondo; Signore, guidaci tu verso la tua Pasqua; insieme cammineremo verso di te, porteremo la tua croce, gusteremo la comunione con la tua risurrezione. Insieme con te cammineremo verso la Gerusalemme celeste, verso il Padre» (Omelia del 29 marzo 1980).
Il Signore, che ha guidato il Cardinale Carlo Maria Martini in tutta la sua esistenza accolga questo instancabile servitore del Vangelo e della Chiesa nella Gerusalemme del Cielo. A tutti i presenti e a coloro che ne piangono la scomparsa, giunga il conforto della mia Benedizione».

Da Castel Gandolfo, 3 Settembre 2012
BENEDICTUS PP. XVI




L’INCONTRO CON CRISTO NELLA PAROLA – 2° incontro Ofs della zona interdiocesana di Avellino

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Nel I° incontro zonale ci siamo lasciati con la “Volontà di rimanere in Cristo”, per ritrovarci con grande gioia al II° incontro zonale “Con Cristo nella Parola”. Si è sottolineata l’importanza della comunicazione per essere in comunione, ponendo a tutti noi appartenenti alle rispettive fraternità presenti, sei domande formulate dai vescovi. Ognuno di noi, ma soprattutto un buon francescano dovrebbe rendere il Vangelo parte integrante della propria vita ritrovando nelle sue parole il senso della sua esistenza nella quotidianità. Una quotidianità spesso nascosta dietro ad un video, creando delle relazioni irreali dove tutto ha un’identità incerta e precaria; ed è proprio lì che l’unico educatore, il Signore, con la sua presenza reale e attraverso la Parola riesce a “resettare ” l’IO che prende il sopravvento in noi stessi e fa si che ci si incontri e ci si relazioni con i fratelli. Solo ponendoci continue domande sui nostri dubbi e scavando nelle Verità di Fede, potremmo essere sereni nelle risposte. Il confrontarci, ha tuttavia fatto riaffiorare tutte le paure del “dirsi” francescano nella società odierna, dove le problematiche socio-economiche che affliggono l’uomo fino allo stremo comportano, a partire dalla famiglia che dovrebbe essere la linfa vitale della società cristiana, una diseducazione alla Parola del Signore, portando all’offuscamento della vera identità. È proprio dinanzi a questi dubbi che bisogna perseverare con la testimonianza; una delle domande chiedeva: “Un vero incontro con Cristo mi porta a testimoniarlo, annunciarlo. Quando, come cristiano e francescano, questo avviene nella mia vita?”. La risposta? Ebbene la possiamo trovare solo nella profondità della nostra fede e nella forza che essa ci dona nel riuscire a superare il dolore, le difficoltà che sembrano insormontabili, condividendo le piccole gioie e raccogliendo i frutti dopo tanti “raccolti “distrutti, riuscendo a non perdere mai di vista quella “luce” che illumina la nostra strada senza mai oscurarla. È questo che segna il nostro incontro con Cristo e non si può stabilire come e quando ciò avviene, perché solo rimanendo con Lui ed in Lui, in ascolto della sua Parola, potremmo avere delle risposte. «Io sono la vite, voi i tralci; chi rimane in me ed io in lui, questi porta molto frutto; perché senza di me non potete far niente» (Gv 15, 5).

Assunta D’Argenio
Fraternità di Atripalda

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2° INCONTRO ZONA INTERDIOCESANA DI AVELLINO

La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore nostro Gesù Cristo.” [FONTI FRANCESCANE n°466]

Carissimi, dopo la pausa natalizia – in cui è stato rinnovato il Consiglio della Fraternità di Salza Irpina e altri si apprestano a farlo – ci disponiamo a vivere un nuovo appuntamento con la Fraternità zonale, in cui approfondiremo il nostro rapporto con il Vangelo.
Seguendo l’esempio del Serafico Padre S. Francesco che considerava l’osservanza del Santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo l’unica Regola di vita per i frati minori (cfr. FF. 75), anche noi, francescani secolari siamo invitati a fare, del Cristo, “l’ispiratore e il centro” della nostra vita.
Con la Professione, infatti, ci siamo impegnati, prima di ogni cosa, “ad una assidua lettura del Vangelo, passando dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo” (Reg. Ofs 4).
Questo impegno, però, non si esaurisce con una lettura, il più delle volte “distratta”, della Parola del Signore, ma ci esorta a conformare il nostro “modo di pensare e di agire a quello di Cristo mediante un radicale mutamento interiore che lo stesso Vangelo designa con il nome di «conversione», la quale, per la umana fragilità, deve essere attuata ogni giorno” (Reg. Ofs 7).In questo nostro cammino, lasciamoci guidare dalla Vergine Maria che, come ci dice l’evangelista Luca nel racconto dell’Annunciazione, “serbava queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). In questo suo modo di agire, la Madre di Gesù ci suggerisce di “mettere insieme” gli insegnamenti del Vangelo, meditandoli nel nostro cuore, per comprendere, poco a poco, il disegno che Dio ha su di noi.
Apprestiamoci, dunque, a vivere questo nuovo incontro con la Fraternità zonale, in un atteggiamento di ascolto, per meditare sul tema: L’INCONTRO CON CRISTO NELLA PAROLA.
Ci guiderà, nella riflessione, il M.R.P. Sabino Iannuzzi, Padre Provinciale dell’OFM del Sannio e dell’Irpinia, la cui presenza, per noi, è motivo di grande gioia, anche per la concomitanza dei festeggiamenti per il primo centenario della fondazione della Provincia Francescana dei Frati Minori.
L’incontro si svolgerà sabato 21 gennaio 2012, dalle 16,30 alle 18,30, presso il convento S. Giovanni Battista, rampa S. Pasquale, ATRIPALDA.
Invito tutte le fraternità della Zona a partecipare a quest’appuntamento che rappresenta un’opportunità necessaria per progredire nel cammino di fede e rafforzare il senso di appartenenza all’Ordine, soprattutto in questo tempo di preparazione al Capitolo elettivo regionale.
Esorto, in particolare, le fraternità con maggiori problemi di spostamento, perché si attivino e non si lascino vincere dalla pigrizia e dalle difficoltà, anche se oggettive.
Nell’eventualità ci siano condizioni meteorologiche particolarmente avverse [neve], l’incontro sarà spostato in altra data, in tal caso le fraternità saranno avvisate tempestivamente!

Come arrivare al convento:

Visualizza Incontro zonale Atripalda in una mappa di dimensioni maggiori




IL RAPPORTO CON LA PAROLA

Ogni uomo desidera trovare una bussola che lo orienti nel cammino della sua vita; per noi cristiani, questa bussola è il Vangelo.
La Parola di Dio diventa, per il credente, il riferimento della sua vita e lo strumento per leggervi, in ogni avvenimento, la presenza di Dio.
In ogni accadimento, l’uomo vede solo l’aspetto esteriore, il profeta, invece, riesce a leggervi la volontà di Dio; anche noi dobbiamo imparare a vedere Dio in ogni situazione della nostra vita.
Un esempio ci è dato dalla Vergine Maria che, quando ebbe l’annuncio dell’angelo, viveva , come tutte le donne del tempo, l’attesa del Messia.
La consapevolezza di portare nel grembo il Figlio di Dio, Maria lo acquisisce un po’ alla volta, grazie alla meditazione sugli eventi che le stanno accadendo e che lei collega a tutta la tradizione religiosa.
A prescindere dal fatto che l’apparizione dell’angelo sia reale o meno, quello che accade alla Vergine, avviene, ogni giorno, anche nella nostra vita, solo che noi ci riflettiamo su e, in questo modo, non favoriamo la realizzazione del progetto Divino su di noi.
Quando s’interroga, Maria si chiede quale sia la strada che deve percorrere, perché ha compreso che Dio è entrato a far parte della sua esistenza e che, per questo motivo, la sua vita non può più essere quella di prima.
Sull’esempio di Maria che meditava in cuor suo tutti gli avvenimenti della sua vita, alla luce della tradizione religiosa del tempo, così anche noi, per realizzare la Parola di Dio nella nostra vita, dobbiamo imparare prima a leggere e, poi, a meditare il Vangelo che è la Parola di Dio, sia nei momenti felici della nostra vita, sia in quelli tristi.
Dio ci parla continuamente, in tutti gli avvenimenti della nostra giornata e noi abbiamo due possibilità di scelta: ascoltarlo, o relegarlo in uno spazio bene definito, ma lontano dalla nostra vita.
L’ascolto della Parola non può avvenire senza portare frutti nella nostra vita, come ci dice il Signore, attraverso il profeta Isaia: «Come la pioggia e la neve scendono giù dal cielo, e non vi ritornano senza averla irrigata, fecondata e fatta germogliare, per dare seme al seminatore e pane a chi mangia, così sarà della parola uscita dalla mia bocca» (Is. 55, 10-11).
Quando ci accorgiamo che la Parola di Dio non è più creativa, si evidenzia la necessità di ricollocarla al centro della nostra vita, perché torni a diventare la nostra bussola.
Porre la Parola come punto di riferimento per la nostra esistenza, significa impegnarsi ad acquisire uno stile di vita che tenti di adeguarsi sempre più a Cristo.
Oggi, invece, i mezzi di comunicazione riescono a influenzare, più di ogni altra cosa, il nostro stile di vita, soprattutto dei giovani, lasciando all’insegnamento della famiglia, della scuola e della parrocchia, un’incidenza molto bassa.
Il Vangelo dell’annunciazione ci insegna a prendere ad esempio la vita di Maria che meditava in cuor suo la Parola di Dio, per comprendere il disegno del Padre su di lei ed è proprio da questa meditazione che scaturisce uno stile di vita conforme alla sua vocazione.
Dobbiamo, quindi, imparare a vedere la Parola di Dio ovunque, anche al supermercato, e imparare a mettere insieme i vari messaggi che il Signore ci invia, come in una specie di puzzle.
Ogni evento della nostra vita non lo dobbiamo vedere come un semplice accadimento, ma come un messaggio che Dio ci vuole lanciare.
Il “sacramento” della Parola è il segno del dialogo tra l’uomo e Dio, dove è sempre il Signore a prendere l’iniziativa, ed è paragonabile alle lettere d’amore che, ogni volta che le rileggiamo, riportiamo all’attualità i nostri sentimenti.
La Liturgia della Parola è una parte sostanziosa della Celebrazione Eucaristica; essa, anche se rivolta a tutta la comunità, ci interroga personalmente.
“La Parola celebrata ci permette di ascoltare colui che non è possibile ascoltare”. Quel Dio che sembra lontano da me, durante la Liturgia della Parola ci parla ancora e ci dice: “Io ci sto’, ti accompagno”.
Questo è il motivo per cui il popolo si riunisce attorno alla Parola: per fare festa, perché Dio ci parla.
La radice latina della parola “ascoltare” è “colere” che significa: coltivare, custodire, adorare. Nell’ascolto della Parola, quindi, devono esserci attenzione e partecipazione interiore, questo è il motivo per cui la Parola non va “letta”, ma “celebrata”, perché è il dialogo tra Dio e l’uomo.
La preghiera dei fedeli è una risposta alla Parola di Dio che ci interpella, affinché possiamo metterla in pratica, con il suo aiuto.
Oggi è dilagante il rischio del relativismo, secondo cui ognuno interpreta la Parola a modo suo, secondo le proprie esigenze; il confronto del commento alla Parola, con il magistero, invece, costituisce un passaggio ineludibile.
Come imparare a leggere i segni?
Tutto ciò che ci accade dobbiamo abituarci a collegarlo alla volontà di Dio, in questo modo, con l’ispirazione dello Spirito Santo, possiamo comprendere qual è il messaggio che Dio ha per noi.
Dobbiamo, quindi, imparare ad interrogarci sulle cose che ci succedono, conservando nel nostro cuore tutte le piccole rivelazioni e cercando di metterle insieme.
Così, forse, possiamo imparare a capire il messaggio che il Signore vuole inviarci.

don Antonio Dente
Parroco di Picarelli fraz. Di Avellino




TESTA O CULO

Approfitto del fatto che il blog non lo legge quasi nessuno per esprimere liberamente il mio pensiero sullo “Strumento di lavoro per la formazione iniziale” redatto dal Consiglio nazionale nel 2010 e trasmesso a tutte le fraternità dell’OFS Campania dal Ministro regionale e dalla Delegata alla formazione con nota prot. n. 165/2011/P-Form del 14.11.2011 (spero di non aver sbagliato nulla).
Sono sinceramente smarrito nel constatare che passano gli anni, addirittura i decenni, ma diciamo sempre le stesse cose e nello stesso modo.
Dobbiamo educarci alla contemporaneità.
Nella formazione degli Iniziandi si fa riferimento ai documenti del Concilio Vaticano II. Ma che senso ha questa operazione se non si spiega loro che la Chiesa istituzionale in questi cinquant’anni ha fatto consistenti passi indietro rispetto questo storico evento? E che senso ha citare a piene mani le Fonti Francescane se non si spiega loro la distorsione imposta dalle gerarchie ecclesiastiche all’originaria intuizione di Francesco? Proposti così diventano riferimenti solo formali, statici, retorici, depotenziati.
Nella formazione dei Neo-Professi viene trattato il tema dell’impegno socio-politico dei francescani. Mi piacerebbe sapere se oltre agli scontati auspici in tal senso, sarà fatto oggetto di discussione anche quanto è avvenuto recentemente a Todi. Se si dovesse formare una nuova DC, in versione riveduta e corretta, i francescani secolari sono chiamati a dare il proprio consenso o possono scegliere diversamente senza dover affrontare sensi di colpa con la propria coscienza e con la Chiesa?Pochi esempi e pochi interrogativi ma che bastano e avanzano.
Ripeto, dobbiamo educarci alla contemporaneità. La Parola di Gesù continua ad essere pietra di inciampo solo se è vissuta integralmente nella concretezza della vita quotidiana altrimenti viene rinchiusa in teologismi e liturgismi dal sapore vagamente farisaico. Analogamente è degli insegnamenti del passato; se non sono attualizzati con il necessario coraggio intellettuale perdono la loro valenza essenziale che è quella di offrirci gli strumenti culturali per interpretare e affrontare il nostro presente. Se non si procede in questa direzione non si sfonda il muro dell’ovvietà e non si formano personalità mature: «Una lezione di storia vale più di mille prediche», diceva il beato card. Newman.
Bisogna quindi chiedersi con franchezza cosa vogliamo fare delle persone che si avvicinano alle nostre fraternità. Cattolici adulti o bigotti devoti? Assemblea attiva o platea passiva? Teste che pensano in dimensione ecclesiale o culi che riscaldano le panche di una chiesa?
Ma questo, ne sono più che convinto, è un interrogativo che non riguarda solo i formandi bensì tutti noi: nella Chiesa cattolica vogliamo essere una testa o un culo?
Io ho scelto. Testa.

Pietro Urciuoli

P.S. Non vorrei aver turbato la sensibilità di qualcuno; ma è che nelle nostre fraternità il linguaggio abitualmente utilizzato sa un po’ troppo di sagrestia, neanche fossimo ecclesiastici. Noi siamo laici, viviamo nel mondo, possiamo e dobbiamo parlare il linguaggio del mondo. Ciò che dice lo Zingarelli possiamo dirlo anche noi.




CHE COS’È IL VANGELO?

Alcuni credono che il vangelo sia la biografia di Gesù, come i libri lo sono, per i personaggi storici.
Il vangelo, invece, è la “buona notizia” che Gesù è risorto e così non fosse, tutta la nostra fede sarebbe vana.
Il vangelo, dunque, non è una semplice “biografia” di Gesù, ma è una rilettura della sua vita, alla luce della Resurrezione; è come leggere un libro o veder un film di cui già si conosce il finale.
Il vangelo fu scritto alcuni anni dopo la morte di Gesù.
Il gruppetto degli Apostoli che si riuniva con Maria, grazie alla discesa dello Spirito Santo, esce dal cenacolo, per annunziare la Resurrezione di Cristo, a cui essi avevano assistito, in veste di testimoni diretti.
Questi discepoli analfabeti che prima si rinchiudevano nel cenacolo, per paura di fare la stessa fine di Gesù, all’improvviso, dopo l’incontro col Risorto e rafforzati dallo Spirito Santo, trovano il coraggio di andare per il mondo.
Andando per il mondo, gli Apostoli annunciano la morte e Resurrezione di Gesù, cioè la “buona novella” o “Vangelo”.
Accanto a quest’annuncio, gli Apostoli riportano anche le parole dette da Gesù che erano trascritte su bigliettini e conservate.La prima forma di trasmissione del Vangelo, quindi, è stata quella orale sostituita solo alcuni decenni dopo la morte di Gesù dalla forma scritta.
I Vangeli canonici, cioè quelli “ispirati” da Dio e riconosciuti dalla Chiesa, sono stati scritti da Luca, Matteo, Marco e Giovanni.
L’autore del Vangelo è detto “evangelista” ed è chi mette, per la prima volta, nero su bianco l’annuncio di Gesù.
Matteo e Giovanni sono stati anche Apostoli di Gesù, mentre Luca e Marco sono discepoli che sono cresciuti sotto la guida di Paolo e Pietro.
Gli evangelisti, a un certo punto della storia, hanno deciso di mettere insieme quei bigliettini lasciati dagli Apostoli nelle loro predicazioni.
Nasce, così, la prima redazione del Vangelo, con l’obiettivo principale di evitare cattive interpretazioni del pensiero degli Apostoli che, piano piano, andavano scomparendo, a causa delle persecuzioni, dell’età, ecc..
I quattro evangelisti riportano episodi della vita di Gesù, visti da prospettive diverse: il punto di vista da cui guarda Luca è diversa da quella da cui guardano Marco, Matteo e Giovanni.
È come leggere il commento di una partita fatto da tifosi di squadre avverse che raccontano lo stesso evento, ma secondo prospettive diverse.
Matteo, ad esempio, è un ebreo, quindi, il suo obiettivo è di annunciare il messaggio di Gesù agli ebrei, basando tutta la storia della salvezza sulla tradizione ebraica, cioè innestando il Vangelo sulle scritture dell’Antico Testamento.
Matteo, perché Gesù sia accolto anche dal popolo ebraico, lo presenta come il vero Messia promesso dalle scritture.
La radice ebraica del Vangelo di Matteo si può notare già dall’inizio, cioè dal “vangelo dell’infanzia”, dove il protagonista è Giuseppe – e non Maria come avviene per Luca, a d esempio – e questo perché l’ebreo era maschilista e anche Matteo lo era.
L’evangelista Luca è greco ed è discepolo di Paolo, ma è un pagano e non conosce nulla della Legge ebraica.
Questa libertà da qualunque radice religiosa la mette in risalto in alcuni temi fondamentali che emergono dal suo vangelo, tra cui l’universalità della salvezza che, al contrario di Matteo, non è destinata solo al popolo ebraico, ma a tutta l’umanità.
Il concetto di una salvezza universale lo porta ad approfondire le varie problematiche legate alla misericordia divina.
Anche Marco, come Luca, è pagano; il suo è un vangelo soprattutto narrativo, infatti, è il più breve.
Il vangelo di Giovanni è, in ordine di tempo, quello a noi più vicino. È scritto quando Giovanni ha tra gli ottanta e i novanta anni e la comunità ha già fatto un certo cammino, perché sono già passati alcuni decenni dalla morte di Gesù.
Nel vangelo di Giovanni non c’è la cronologia degli eventi, l’autore racconta la vita di Gesù riportando alcuni episodi importanti della sua vita, per presentare, teologicamente, un messaggio ben preciso, ad esempio approfondendo il tema dei “segni” (Giovanni non parla mai di miracoli), di cui Gesù si serve, per trasmetterci il suo insegnamento.
Tra i vari “segni” compiuti da Gesù, Giovanni ne sceglie sette.
I Vangeli sono stati scritti in epoche diverse, per cui, quando Luca scrive, tiene conto di Marco e Matteo e questo si può evincere dall’introduzione del suo vangelo.
I fatti raccontati, anche se scritti in epoche differenti, coincidono (nonostante la prospettiva diversa), per questo motivo sono detti “sinottici”.

dalle catechesi di p. Gianluca Manganelli




LA SPIRITUALITÀ DEGLI ATEI

CRISTIANI, NON CRISTIANI, ATEI, AGNOSTICI… E’ POSSIBILE UN DIALOGO SERENO E COSTRUTTIVO?
Una riflessione del Priore di Bose

Ormai in Italia il confronto tra credenti cattolici e non cristiani, agnostici o atei è sempre più segnato da conflittualità e polemiche che a volte diventano derisione e disprezzo reciproco. Va detto con franchezza: siamo lontani dallo spirito espresso da Paolo VI con parole ormai dimenticate: “Noi dedichiamo uno sforzo pastorale di riflessione per cercare di cogliere negli atei nell’intimo del loro pensiero i motivi del loro dubbio e della loro negazione di Dio”. È vero che oggi l’ateismo militante non è più attestato come negli anni sessanta, ma l’orizzonte agnostico, oggi ancor più esteso di allora, richiede in realtà lo stesso sforzo da parte dei cristiani per tessere un dialogo che si nutra di ricerca comune, di ascolto, di dibattito tra vie diverse. Invece da una parte, quella dei credenti, le posizioni sono sovente difensive perché nutrite di paura e di vittimismo, mentre da parte di alcuni non cristiani si arriva a deridere la fede, ad affermare che proprio i cristiani sono incapaci di avere un’etica, che la fede è fomentatrice di integralismo, intolleranza e violenza. Veementi attacchi anticristiani da una parte, dall’altra mancanza di ascolto e persino demonizzazione del “non credente”, giudicato “incapace di moralità”.
E così, qua e là echeggia una parola di Dostoevskij: “Se Dio non esiste, tutto è permesso!”, considerando chi non crede come persona priva di spiritualità e di morale. Ma allora, è praticabile un dialogo convinto, rispettoso, capace di essere anche fecondo? È possibile che i non credenti si confrontino con i cristiani sulle domande attorno al senso della vita? È possibile che il cammino di “umanizzazione”, essenziale all’umanità per non cadere nella barbarie, sia percorso insieme? Ma affinché questo cammino si apra occorrono alcune urgenze che cerco di delineare. Agnostici e atei non credono in Dio, non si sentono coinvolti da questa presenza perché non la sentono reale, ma sono consapevoli che invece le religioni che professano Dio fanno parte della storia umana, della società, del mondo. Come essi non trovano ragioni per credere, altri invece le trovano e sono felici: gli uni pensano che questo mondo basti loro, gli altri sono soddisfatti di avere la fede.
Ma proprio questo fa dire che l’umanità è una, che di essa fanno parte religione e irreligione e che, comunque, in essa è possibile, per credenti e non credenti, la via della spiritualità. Spiritualità non intesa in stretto senso religioso, ma come vita interiore profonda, come fedeltà-impegno nelle vicende umane, come ricerca di un vero servizio agli altri, attenta alla dimensione estetica e alla creazione di bellezza nei rapporti umani. Spiritualità, soprattutto, come antidoto al nichilismo che è lo scivolo verso la barbarie: nichilismo che credenti e non credenti dovrebbero temere maggiormente nella sua forza di negazione di ogni progetto, di ogni principio etico, di ogni ideologia. Purtroppo questo nichilismo viene sovente definito relativismo, finendo per confondere il linguaggio del dialogo e del confronto e portando all’incomprensione reciproca. Ed è lo stesso nichilismo che, paradossalmente, può assumere la forma del fanatismo in cui ci sono certezze assolute, dogmatismi, intolleranza che accecano fino a rendere una persona disposta a morire e a far morire.
No al nichilismo, dunque, ma allora emerge l’urgenza di riconoscere la presenza di una spiritualità anche negli atei e negli agnostici, capaci di mostrare che, se anche Dio non esiste, non per questo ci si può permettere tutto: persone che sanno scegliere cosa fare in base a principi etici di cui l’uomo in quanto tale è capace. E la grande tradizione cattolica chiede ai cristiani di riconoscere che l’uomo, qualsiasi essere umano, proprio perché, secondo la nostra fede, è creato a immagine e somiglianza di Dio, è “capax boni”, capace di discernere tra
bene e male in virtù di un indistruttibile sigillo posto nel suo cuore e della ragione di cui è dotato. I non credenti sono capaci di combattere l’orrore, la violenza, l’ingiustizia; sono capaci di riconoscere “principi” e “valori”, di
formulare diritti umani, di perseguire un progresso sociale e politico attraverso un’autentica umanizzazione.
Si tratta, per tutti, di essere fedeli alla terra, fedeli all’uomo, vivendo e agendo umanamente, credendo all’amore, parola sì abusata oggi e sovente svuotata di significato, ma parola unica che resta nella grammatica umana universale per esprimere il “luogo” cui l’essere umano si sente chiamato. Credenti e non credenti non possono essere insensibili ad affermazioni che percorrono come un adagio i testi biblici e che sono stati ripresi dalla tradizione: “Solo l’amore è più forte della morte… Solo l’amore resterà per l’eternità…”. Del resto la
fede – questa adesione a Dio sentito come una presenza soprattutto a causa del coinvolgimento che il cristiano vive con Gesù Cristo – non sta nell’ordine del “sapere” e neppure in quello dell’acquisizione: si crede nella libertà, accogliendo un dono che non ci si può dare da sé. Analogamente gli atei, nell’ordine del sapere non possono dire “Dio non c’è”: è, infatti, un’affermazione che possono fare solo nell’ambito della convinzione.

Vorrei che noi cristiani potessimo ascoltare atei e agnostici, potessimo confrontarci con loro, senza inimicizie, soprattutto attraverso un confronto delle nostre spiritualità, di ciò che in profondità ci muove nel nostro agire.
Lo spirito dell’uomo è troppo importante perché lo si lasci nelle mani di fanatici e di intolleranti oppure di spiritualisti alla moda. Certo, ogni religione si nutre di spiritualità, ma c’è posto anche per una spiritualità
senza religione, senza Dio. Ma nella specifica situazione italiana dovremmo prestare attenzione anche ad un
altro elemento, facendo tesoro di un aneddoto storico. Mussolini confidò un giorno al suo ministro degli Esteri: “Io sono cattolico e anticristiano!”. Eredi di questa posizione se ne possono trovare tuttora in Italia: persone non
credenti né in Cristo né nel suo vangelo, ma pronti a difendere valori culturali “cattolici”. Non è questo che intendo quando parlo di spiritualità degli atei: penso invece a un sentire che rende possibile un confronto proprio sui valori del Vangelo, sul suo messaggio umanizzante a servizio dell’uomo.
Credo ci sia posto per una spiritualità degli agnostici e dei non credenti, di coloro che sono in cerca della verità perché non soddisfatti di risposte prefabbricate, di verità definite una volta per tutte. È una spiritualità che
si nutre dell’esperienza dell’interiorità, della ricerca del senso e del senso dei sensi, del confronto con la realtà della morte come parola originaria e con l’esperienza del limite; una spiritualità che conosce l’importanza anche della solitudine, del silenzio, del pensare, del meditare. È una spiritualità che si alimenta dell’alterità: va incontro agli altri, all’altro e resta aperta all’Altro se mai si rivelasse. Ne La Peste, Camus scriveva: “Poter essere santi senza Dio è il solo problema concreto che io oggi conosco”. Oggi potremmo parafrasare questa affermazione dicendo che il solo autentico problema è essere impegnati in una ricerca spirituale al fine di fare della vita umana un’opera d’arte, un cammino di piena umanizzazione. Sì, in Francia pensatori come Luc Ferry o André Comte-Sponville, non cristiani e non credenti, propongono nella lotta contro la barbarie incipiente una spiritualità anche per gli atei. Da noi in Italia, invece, alcuni paiono esercitarsi a offendere la fede dei credenti e a negarsi reciprocamente la capacità di etica universale, di umanesimo… Io resto testardamente convinto che, in quanto esseri umani, non siamo estranei gli uni agli altri e che siamo pertanto chiamati ad ascoltarci e a cercare insieme.

Enzo Bianchi
(La Repubblica, 28 febbraio 2007)




ASSEMBLEA REGIONALE OFS CAMPANIA – Pietrelcina (BN) 25/09/2011

Il 25 settembre 2011, si è svolta, a Pietrelcina (BN), l’Assemblea Regionale dell’Ordine Francescano Secolare della Campania cui hanno partecipato settantasette fraternità – cui se ne aggiungono quattro in formazione, tra cui Gesualdo e Lioni, per la Provincia di Avellino –, rappresentative di tutte le Province della Regione Campania.
Il tema dell’incontro è stato: “Educazione al Vangelo e vita quotidiana”, con riferimento agli orientamenti pastorali dei vescovi italiani, per il decennio 2010 – 2020 e al nuovo testo di formazione nazionale.
All’apertura dell’assemblea, il Ministro Regionale, Antonio Bruno, ha salutato tutti i convenuti e ringraziato la fraternità Ofs [la cui ministra Maria Grazia Rossi è intervenuta per un saluto] e l’Amministrazione Comunale di Pietrelcina, per l’accoglienza ricevuta, concretatasi nell’aver permesso alla fraternità regionale, con sforzi non indifferenti, di utilizzare una struttura appena completata e non ancora utilizzata da nessuno, prima.
Antonio Bruno, dopo aver presentato il programma, ha invitato tutta la fraternità a stringersi attorno al Consiglio Nazionale che sta attraversando un momento particolare, a causa delle dimissioni, per motivi personali, del Ministro Nazionale, Giuseppe Failla.Continuando nella sua introduzione ai lavori, Antonio ha ricordato i prossimi appuntamenti cui le fraternità locali dovranno prepararsi con maggior cura: “Lo Spirito di Assisi” – che avrà nell’incontro di tutto il movimento francescano della Campania, previsto per il 23 ottobre a Ponticelli (NA), il suo momento culminate – e il capitolo elettivo regionale, previsto per febbraio 2011 – che le fraternità dovranno preparare, anche al livello di disponibilità.
Dopo l’introduzione del ministro regionale, ha preso la parola Silvia Riviezzo, responsabile regionale della Formazione, che ha presentato il nuovo testo dell’anno – purtroppo non ancora disponibile –, il cui titolo ha ispirato il tema dell’assemblea.
Il testo è stato mostrato con una proiezione di diapositive che hanno analizzato la struttura del nuovo strumento di formazione.
Il volume si compone di otto capitoli (identità, appartenenza, famiglia, vita quotidiana …) suddivisi, secondo uno schema fisso, in quattro parti: preghiera introduttiva, confronto con la Parola, raffronto con le Fonti Francescane e con la Regola, dibattito in fraternità.
Dal punto di vista degli incontri di formazione, il Consiglio regionale ha proposto l’eliminazione degli appuntamenti di macrozona, accogliendo la proposta fatta in sede di assemblea di fine anno a Baronissi. Rimangono, invece, i tre incontri di formazione organizzati sullo stile di quelli avuto nello scorso anno sociale, con i Vescovi.
È stato aggiunto, invece, come novità, un convegno di due giorni di formazione regionale, caldamente proposto dalle fraternità.
La Formazione, ha rilevato Silvia Riviezzo, è un elemento fondamentale per la vita della fraternità e non deve essere sottovalutata, fin dai primi passi nell’Ordine.
A tal proposito è stata evidenziata la necessità di non avere fretta nel portare i formandi a emettere la Professione, per non “correre il rischio di perderli”, ma è importante, invece, rispettare i tempi di maturazione della vocazione di ciascuno. Il Consiglio Nazionale ha suggerito un cammino di formazione di cinque anni, così ripartito: due anni per gli iniziandi, due per i formandi e un anno di Professione temporanea.
Il viceministro ha parlato del progetto di Zona, rimarcando i progressi che sono stati fatti e le modifiche apportate alla modulistica, per renderlo di più agevole lettura.
Michele Ortaglio ha sottolineato i due obiettivi che il Progetto di Zona dovrebbe prefiggersi: la conoscenza tra le fraternità e la loro comunione.
Progettare insieme, ha detto il viceministro regionale – responsabile dei Piani di Zona – significa condividere il cammino e interagire tra le fraternità.
Il Consiglio Regionale suggerisce due incontri zonali, per non appesantire troppo il cammino delle singole fraternità. L’obiettivo prioritario, però, rimane la collaborazione con le diocesi, per uscire dalla dimensione della fraternità locale e il donarsi a quelle realtà che vivono con difficoltà il proprio cammino vocazionale.
Dopo il Piano di Zona è stato il turno del Ce.Mi.Ofs-Gifra, rappresentato da Enzo Siciliano – responsabile regionale – che chiede di essere invitato presso le fraternità locali, per renderle partecipi dell’esperienza e le attività del centro Missionario regionale.
Tra le cose che Enzo ha evidenziato, infatti, è l’assenza di condivisione delle attività missionarie che ciascuna fraternità svolge durante l’anno; a queste attività, poi, vanno ad aggiungersi quelle organizzate a livello regionale, come le varie vacanze per bambini in difficoltà, le visite alle carceri di Nisida, Eboli e, da quest’anno Benevento, il “banchetto dell’equo e solidale” e la scuola di pace.
L’invito di Enzo Siciliano, così come quello di Anna Russo, responsabile regionale per la “Famiglia” è che ogni fraternità si prenda cura dei settori “missioni” e “famiglia”, delegando un fratello o una sorella ad esortare e sensibilizzare tutta la fraternità.
Assunta Giannone ha parlato della situazione degli Araldini che sono ancora pochi, rispetto al numero di fraternità Ofs e ha invitato i terziari a non disinteressarsi alla fascia più giovane e, quindi, più delicata della Famiglia francescana.
Si è parlato del kit di formazione che avrà un costo di €. 36.00 a persona [€.7.00 testo dell’anno, €. 6.00 contributo al Consiglio Regionale, €. 3.00 contributo al Consiglio Nazionale, €. 20.00 abbonamento alla rivista FVS], mentre per le coppie il costo è di €. 45.00; i calendari saranno in regalo col kit, mentre presi singolarmente, costeranno €. 2.00 ciascuno.
Dopo l’assemblea si è suddivisa in gruppi di lavoro che hanno approfondito gli argomenti della griglia preparata dal consiglio regionale, fino alla celebrazione della S. Messa delle ore 13.00.
Alle 15.30 i lavori sono ripresi con il saluto, a tutto l’Ordine Francescano Secolare della Campania, del vicesindaco di Pietrelcina che ci ha ringraziato, per aver scelto il paese natale di S. Pio, come sede per l’assemblea d’inizio anno.
Il vicesindaco, inoltre, ha comunicato la notizia che Pietrelcina è stata scelta come centro per il dialogo interreligioso dei Paesi del Mediterraneo.
Dopo i saluti dell’amministrazione comunale, c’è stato il resoconto dei capigruppo che hanno riportato, in sintesi, gli argomenti della discussione nei gruppi di lavoro, dove ci si è confrontati su: appartenenza, assistenza spirituale e vita quotidiana.
Prima della conclusione dei lavori, con la preghiera, il Consiglio ha presentato all’assemblea il sito regionale dell’Ofs, rinnovato con nuova grafica e contenuti.