UN’AVVENTURA CHE SI CHIAMA ROSETO – capitolo 1

image_pdfimage_print

GENESI DI UN’OPERA

La prima domanda che mi rivolgono i visitatori del “Roseto” è: Come è nato il “Roseto”? Rispondere a questo interrogativo crea sempre un disagio, giacché la sua nascita non è avvenuta in un determinato gior­no come avviene per gli uomini. L’Opera ha certamen­te anch’essa una data, ma i suoi prodromi vanno ricer­cati in alcune idea-forze, che la spinsero alla vita. La prima è nata certamente dalla constatazione di incon­trare persone sole e abbandonate.
Durante la mia attività pastorale, incontravo nei vari paesi dove mi recavo, molte persone anziane po­vere e sole.
La forte emigrazione di giovani dai paesi del Sud verso l’estero o altre terre in cerca di lavoro, lasciava nelle loro case soltanto persone anziane.
Quello spettacolo ha influito fortemente sul mio animo. Mi dicevo: bisogna fare qualcosa per queste persone.
In quegli anni 1962/63 ero assistente (allora si di­ceva Direttore) della Fraternità del Terz’Ordine Fran­cescano di Avellino.
Ereditai una fraternità piuttosto spenta. Dopo qualche tempo veniva eletta come Ministra della Fra­ternità, la Signora Franca Ferrante, ved. Agosta, donna coraggiosa e spiritualmente preparata. In pochi anni il volto della Fraternità cambiò radicalmente. Insieme portammo la Fraternità ad un alto livello di vita spiri­tuale.
In quegli anni il Concilio Vaticano II approfondiva il mistero della Chiesa e la vocazione ecclesiale del lai­cato cattolico.Nella luce della maturità e della coscienza missio­naria dei laici decisi di coinvolgere la Fraternità sul piano della responsabilità e dell’impegno apostolico. La sola testimonianza liturgica che la Fraternità offriva non mi sembrava sufficiente e la sollecitai perciò a dare una prova concreta di amore fraterno.
Questo è stato il contesto spirituale nel quale è spuntata l’idea di realizzare un’Opera sociale che po­tesse venire incontro ai fratelli.

CONVOCAZIONE DISCRETORIO
(Consiglio del TOF)

L’idea di realizzare un’opera, frattanto, cammina­va e andava assumendo di giorno in giorno consisten­za e concretezza, tanto da sottoporre il problema al Ministro Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Napoli.
Il 16 gennaio 1966 viene convocato il Discretorio ed è presente il M. R. Padre Francesco Saverio Toppi da Brusciano, Ministro Provinciale. Sono invitato dal Provinciale ad esporre il problema “Roseto”. Alla mia esposizione il Discretorio si divide in due correnti: fa­vorevoli e contrari. Nella prima corrente sono soltanto le due donne: Ferrante Francesca e Lo Gatto Cassandra; tutti gli altri contrari, per l’enorme spesa che tale realizzazione comportava.
Ricordo che gli interventi che più influirono sul Padre Provinciale furono quelli dei contrari.
Dopo il loro intervento il P. Provinciale mi richia­ma alla realtà e mi dice: Hai ascoltato? Come farai? ed aspettava la mia risposta.
Risposi che le loro osservazioni erano giuste e che il loro discorso aveva una sua logica soltanto da un punto di vista umano, ma che aveva un difetto: non va­lutava la realtà divina, non teneva conto della Provvi­denza. “Mi avete insegnato — conclusi — a credere nella Provvidenza, voglio sperimentarne la bontà”.
Il Padre Provinciale a queste parole non si sente di contraddirmi e dà il suo consenso, dicendo: “Il pro­getto mi sembra un sogno irrealizzabile, ma dò fiducia allo spirito di fede che lo vagheggia”.
Il 12 luglio 1978, 12 anni dopo P. Innocenzo cele­bra il 25° anniversario della sua ordinazione sacerdota­le. La Messa giubilare viene celebrata al “Roseto”. Era stato già realizzato il primo lotto dell’Opera. Numerosi i fedeli, in prevalenza amici e benefattori.
Lo spazio antistante il “Roseto” è trasformato in una ampia e naturale basilica.
Tra i concelebranti v’è anche il M. R. France­sco Saverio Toppi, il quale all’omelia ricorda l’incontro del 16 gennaio 1966. “Faccio pubblica confessione — dice il Padre — della mia diffidenza a credere alla rea­lizzazione dell’Opera. Ecco il sogno irrealizzabile e splendida realtà davanti ai nostri occhi! È stata la fede di P. Innocenzo e di quanti gli sono stati a fianco.
Rin­grazio il Padre d’ogni dono per avermi dato di rispet­tare il carisma di un fratello… Glorifichiamo tutti in­sieme il Signore per questa vittoria della fede che qui ci raccoglie in gioiosa riconoscente celebrazione”.

UN SEGNO DELLA PROVVIDENZA

In questo clima di incertezza e di speranza la Provvidenza un giorno ci invia un segno. La distinta Famiglia Pellegrino De Marco promette di dare all’As­sociazione duemila metri quadrati di suolo ai quali poi si aggiunsero altri tremila per un valore di L. 6.300.000. Per espressa volontà del Padre Provinciale si volle che tutti gli atti giuridici fossero intestati all’Associazione del Terz’ordine, e firmati dalla sua rappresentante.

L’OPERA SARA CHIAMATA “ROSETO”

Con questo nome l’Opera assumeva, anche nella denominazione, una sua nota francescana.
A S. Maria degli Angeli di Assisi esiste un piccolo giardino deno­minato “Roseto”.
Secondo le Fonti francescane quell’angolo di terra era prima un luogo selvaggio, vi dominavano rovi e spine.
Frate Francesco una notte è assalito da una vio­lenta tentazione. Per vincerla, il Santo, non dubita di lanciarsi in quel roveto. Nel duro impatto penitenziale le sue carni si lacerano e perdono sangue mentre la tentazione si assopisce e si estingue.
Al mattino i frati, con meraviglia, scoprono che quel roveto si è trasformato in un roseto, e le sue rose presentano, ancora oggi, sui petali bianchi, macchie rosse come se fosse sangue vivo.
Il simbolismo sta in questo: come quel luogo duro e aspro si trasformò, mediante la penitenza di Francesco, in un giardino fio­rito, così “Roseto” intende dare a tanti fratelli, che hanno lottato e sofferto, tranquillità e pace.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.