8 Marzo 2011 SE NON ORA, QUANDO?

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Con la manifestazione del 13 febbraio le donne hanno portato in piazza se stesse, le loro storie, la forza della loro presenza nella società.
Hanno riempito le strade di donne reali, quelle che studiano e lavorano e quelle che si prendono cura degli affetti e della crescita, in famiglia.
Le donne che non compaiono sui giornali, in televisione, sono scese in massa a capovolgere luoghi comuni che non corrispondono alla realtà.
Le donne in Italia sono il 60% dei laureati, il 33% del totale dei ricercatori, meglio che in Europa, ferma al 29%.
Le donne sono il 42% dei magistrati, il 32% dei medici, il 39% degli avvocati, come le loro colleghe europee, a riprova che dove vale il merito, esse si fanno strada,
E ancora, le donne che lavorano in fabbrica, nel sociale, nei servizi, nella scuola, al Nord e al Centro sono il 75%. Solo al Sud il tasso di occupazione delle donne è bassissimo, ma è tutto il Sud ad essere stato abbandonato a se stesso, con conseguenze pesanti sull’occupazione, sia per le donne che per gli uomini e con uno spreco drammatico di risorse giovanili.
In Italia solo in politica e nei cda delle grandi aziende, dove c’è cooptazione, cioè le donne sono scelte da uomini potenti, la presenza delle donne scende vertiginosamente rispetto al resto d’Europa.
Paradossalmente, proprio la politica che dovrebbe rappresentare il paese reale ne è colpevolmente lontana, e quel che è peggio proietta sull’intero paese una immagine minoritaria e poco autorevole delle donne.
Questo 8 marzo acquista un senso nuovo proprio da questa esplosione di realtà, vero antidoto ad un immaginario femminile vecchio e fuori corso, offerto da televisioni e media come unico modello. Un modello che offende tutti, le donne e soprattutto gli uomini.
Dai luoghi della “minorità” in cui le si vorrebbero confinate, le donne sono uscite come un fiume in piena e si sono mostrate quali sono: creative, libere, colte, responsabili, capaci di pensare e proporre un mondo altro, un mondo buono per le donne e per gli uomini.
Esse pensano ad un paese che non abbia al suo centro solo il danaro ed il mercato, ma che sappia tener conto dei bisogni della vita, della sua qualità e dei diritti che la proteggono.
E allora salta agli occhi quanta retorica si fa in Italia sulla famiglia, sul valore dell’educazione della famiglia e quanto poco, invece, si fa per essa e per le donne, sulle quali ricade la totalità del lavoro di cura.
Che ricaduta avranno sulla famiglia e sulle donne gli ultimi provvedimenti di questo governo?
– Taglio dei fondi per le politiche sociali.
– Taglio dei fondi per le politiche per la famiglia.
– L’azzeramento del fondo per gli asili nido.
– Mancato finanziamento della imprenditoria femminile che ha avuto successo al Sud e in modo particolare in Irpinia.
– Cancellazione della legge approvata dal governo Prodi per impedire le dimissioni per le giovani donne lavoratrici in caso di gravidanza.
– Cancellazione del fondo antiviolenza sulle donne.
Per questo
– Pensando ad una idea di futuro diversa sia per gli uomini che per le donne
– Pensando al doppio si delle donne al lavoro e alla maternità
Questo 8 marzo non chiediamo nulla.
Ma, partendo dalla nostra esperienza, della quale ci fidiamo perché legata alla vita e ai nostri saperi, diciamo che:
– Non ci piace il welfare inteso solo come assistenza e non come sostegno allo sviluppo e alla valorizzazione dei diritti di cittadinanza, come ci dice l’Europa.
– Non ci piace l’attuale organizzazione dei tempi di lavoro, in cui è assolutamente ininfluente il punto di vista delle donne.
– Non ci piacciono i contratti che costringono le donne a licenziarsi, in caso di maternità.
– Non ci piacciono “gli assegni familiari”, concessi solo a chi è sposato o lavora, relegando nella povertà le donne ei bambini non protetti.
– Non ci piace che, nelle statistiche, le donne che si occupano del lavoro di cura siano considerate “inattive”.
– Non ci piace, oggi, la maternità punita.
In Italia il tasso di natalità è il più basso d’Europa: 1,4 figlio per donna.
Il 27% delle donne è indotta a lasciare il lavoro dopo il primo figlio.
– Non ci piace che in Campania 70 donne su 100 stiano ferme, a casa e non per scelta.
– Non ci piace un Sud senza progetti, pensato come marginale e improduttivo. Se c’è sviluppo, si creano opportunità di lavoro per tutti: donne e uomini.
– Non ci piace una televisione chiassosa e stordente, falsamente gioiosa, che propone un modello femminile stereotipato e noiosamente ripetuto.
Questo 8 marzo le donne vogliono prendere nelle loro mani la loro vita e quella del loro paese.
Perché questo, così come è, non è un paese per donne
Né un paese per uomini
Né un paese per bambini
Né un paese per vecchi

Centrodonna Avellino

centrodonna.av@libero.it

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