UN’UNICA FAMIGLIA UMANA

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C’è un episodio che vorrei ricordarvi, che riguarda Einstein, lo scienziato. Einstein, ebreo, doveva lasciare la Germania perché era iniziata la persecuzione degli ebrei, dei rom, degli omosessuali. Arrivato all’ufficio immigrazione a New York, gli chiesero i documenti, e un funzionario gli domandò, quasi urlandogli contro: «Di che razza sei?»
Einstein lo guardò sorridendo e rispose: «Umana!»
Io sono un prete, sono un cattolico. Ma prima di tutto, come ogni mio fratello e sorella, appartengo alla razza umana. Ricordate il dibattito sulla questione del crocifisso nelle scuole? Qualche anno fa il movimento universitario leghista ha chiesto al rettore dell’Università di Bergamo l’urgente acquisto di crocifissi da appendere alle pareti delle aule dell’ateneo statale.
Si strepitava con orgoglio padano: «Il crocifisso è simbolo di valori cristiani, ultimo baluardo di fronte al fondamentalismo», come se fossimo alla vigilia di una guerra di religione, come se si stesse per partire per una battaglia di Lepanto.
Ma il crocifisso bisogna portarlo nel cuore o appenderlo ai muri di uno spazio pubblico, anche quando la sua presenza non esprime un sentimento condiviso? La fede è forse salva, in questo modo? Gesù, umile e mite di cuore, non si è mai imposto a nessuno, mentre noi abbiamo la pretesa di appenderlo sul muro delle classi e degli edifici pubblici.
Mi domando ancora: se in questi luoghi non c’è il crocifisso, un cattolico viene meno alla sua fede e forse è esentato dal praticare quotidianamente, tra i fratelli, i consigli evangelici? C’è vera relazione tra il crocifisso ostentato, magari con sentenza del magistrato, e la testimonianza cristiana?Il primato della parola di Dio esige che la Chiesa sappia far sorgere ambiti comunitari, luoghi di libertà, di presa di parola, di comunicazione fraterna, di ascolto dell’altro. Tutto quello starnazzare intorno al crocifisso è veramente sorto per difendere la croce del Vangelo? Non credo proprio!

Il cristiano, nel suo impegno sociale e politico, non creda di costruire il regno di Dio sulla Terra, tanto meno di edificare la città di Dio nella città dell’uomo: il cristiano deve trarre dal regno veniente i criteri di relativizzazione delle realtà quotidiane, la lucidità per il discernimento degli idoli, la distanza critica rispetto all’opera delle proprie mani, l’umiltà di chi si colloca accanto agli altri uomini, non in posizioni di superiorità.
La Repubblica italiana, con la sua Costituzione, è democratica, laica, antifascista (non è un optional, l’antifascismo, per nessun cittadino).
La decadenza della nostra classe politica (di sinistra, di centro, di destra) è preoccupante. Si potranno abrogare tutte le leggi (altre sono in arrivo), ma chi ci salverà da questa vergognosa decadenza da basso impero? Si vuole andare dallo Stato laico, ancora così imperfetto, allo Stato pluriteocratico? Quale ecumenismo si cerca? C’è veramente nell’aria uno Stato confessionale nuovo?
È necessario, oggi più che mai, aprire una riflessione, un vero approfondimento dei segni dei tempi, del nuovo millennio.
I cristiani, con gli altri uomini, riconoscendo di non aver nessun titolo che li abiliti più degli altri a tentare di realizzare qualunque progetto sociale, faranno la fatica della riproposizione, che non è imposizione, dei valori evangelici. Di tempo in tempo, di luogo in luogo, reinventeranno i segni di comunicazione e i segni del linguaggio culturale, ricercheranno una nuova antropologia in mezzo agli altri, apriranno cammini di giustizia e di pace, interculturali, interreligiosi e soprattutto democratici.
La Chiesa non ha bisogno di alleanze strategiche con i responsabili di una società alla deriva, incapace di governarsi, una società smarrita fondata sulla monopolizzazione della comunicazione, la cui arma principale è la menzogna.
L’obiettivo prioritario, a mio avviso, deve essere la lucida difesa della laicità di tutti: apparteniamo tutti a un’unica famiglia umana.
La libertà religiosa per tutti, e per me, prete cattolico, impedire che il pernicioso fascino di una religione civile abbia il sopravvento. Per questo le argomentazioni di chi vuol ridurre il crocifisso a simbolo ed emblema della cultura nazionale mi hanno provocato un’amarezza profonda.
Non sappiamo più «dare a Cesare quel che è di Cesare»… e lo vogliamo dare a Dio.
Sono queste le prospettive del mio cristianesimo?

Don Andrea Gallo
Da “Il Vangelo di un utopista“, Aliberti Editore

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