GESÙ, IL FIGLIO DI DIO

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Gesù aveva la consapevolezza di essere il Figlio di Dio? Quando ha acquisito questa coscienza?
Come ogni bambino, anche Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia” (Lc 2, 51-52), non ha, quindi, fin dall’inizio, la coscienza di essere il Figlio di Dio.
Gli evangelisti ce lo presentano come un bambino che prende consapevolezza della sua personalità, con il passare degli anni e ciò si evince da alcune tappe fondamentali della sua vita.
Gesù ha sposato la nostra natura umana e, di conseguenza, come ogni bambino della sua età, ha dovuto mettersi alla scuola di due genitori umili – “stava loro sottomesso” (Lc 2,51) – che lo hanno educato nel pieno rispetto della tradizione ebraica che ha scandito le tappe della sua crescita.
A dodici anni, Gesù, come ogni bambino ebraico, è introdotto alla lettura della Torah. Questa era una tappa fondamentale, per la crescita di ogni bambino che, da questo momento, entra nell’età adulta.
In quella circostanza, quando Maria e Giuseppe abbandonarono la carovana che li riportava da Gerusalemme a Nazareth, dopo la festa di Pasqua, trovato Gesù tra i dottori del tempio, “restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole”. (Lc 2, 48-49)
Le parole che Gesù pronunzia hanno un significato molto importante, in particolar modo quando dice “devo occuparmi delle cose del Padre mio”, perché l’ebreo, di Dio non può pronunciare nemmeno il nome, in segno di rispetto: Gesù, invece, lo chiama “Padre”.
Gesù chiama Dio Padre, quasi a contraddire l’insegnamento ebraico che aveva ricevuto dai genitori che, difatti, “non compresero”.Nell’età adolescente, Gesù inizia ad instaurare un rapporto diverso con Dio, discordante dal modo di agire di qualunque altro ebreo a lui contemporaneo.
Dai dodici ai trent’anni, i vangeli non riportano notizie sulla vita di Gesù, ci dicono solo che stava sottomesso ai genitori, ma certamente, in questo tempo, Egli ha maturato sempre più la coscienza di essere il Figlio Unigenito di Dio.
C’è un episodio chiaro in cui si manifesta, chiaramente, la paternità di Dio nei confronti di Gesù: il battesimo ricevuto nelle acque del fiume Giordano.
Dopo il battesimo, mentre Gesù era in preghiera, “vi fu una voce dal cielo: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto»” (Lc 3,22).
Questa fu, per Gesù, come la conferma definitiva della sensazione che aveva avuto fino a quel momento; dal battesimo, quindi, Egli prende piena coscienza di essere l’amatissimo del Padre.
L’aver preso consapevolezza di essere il Figlio di Dio lo spinge ad uscire dal privato, per diventare l’uomo per tutti, iniziando, così, la sua missione di “Messia”.
Con il passare del tempo, Gesù matura anche un’altra convinzione, cioè di essere anche lui onnipotente.
Con la forza che gli proviene dall’unione con il Padre, sceglie gli apostoli e fa tutte quelle azioni che costituiscono la sua missione a beneficio degli altri.
Scopre, però, che questo rapporto d’amore con il Padre lo porterà alla croce e capirà, quindi, che essere Figlio del Padre significa essere figlio della sofferenza.
Nell’ultima cena, Gesù svela il mistero trinitario agli apostoli, invitandoli a prendervi parte e, allo stesso modo, fa con ciascuno di noi, aprendo questo abbraccio trinitario, perché anche noi potessimo essere felici “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28).
Come Gesù cresce in età, sapienza e grazia, lo stesso avviene anche per Maria che capirà come la sua beatitudine non sta nell’aver partorito il Figlio di Dio, ma di fare la sua volontà; capisce, quindi, che deve, anche lei, farsi discepola e comprende quanto sia necessaria, in tutto questo, l’azione dello Spirito Santo.

dalle catechesi di p. Gianluca Manganelli

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